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Stablecoin in euro, cosa bolle in pentola: ecco profili fiscali e iniziative



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La notizia che Bancomat sarebbe intenzionata a lanciare la propria stablecoin in euro entro il 2026 porta a riflettere sull’attenzione che il tema delle valute digitali sta assumendo per il settore bancario. Ecco la situazione

Pubblicato il 12 nov 2025

Alberto Franco

Professore a Contratto di Diritto Tributario presso l’Università di Torino, Ph.D. Of Counsel, Genta & Cappa



euro digitale; fondi transizione 5.0; stablecoin

Negli ultimi contributi pubblicati su questa testata si è illustrato come le stablecoin europee, o meglio quelle denominate in euro e conformi al regolamento MiCA, stiano riscuotendo un crescente interesse da parte degli operatori.

Se a fine settembre un consorzio di nove banche europee, tra cui UniCredit e Banca Sella, ha annunciato il lancio di una stablecoin conforme al MiCA, a fine ottobre è arrivata la notizia che anche Bancomat intende lanciare la propria stablecoin in euro entro fine 2026. Segno evidente dell’attenzione crescente del settore bancario verso questo tema.

Euro digitale in ritardo: un’opportunità per le stablecoin

Del resto, secondo le ultime notizie, l’euro digitale non sarà pronto prima del 2029, è inevitabile che gli operatori europei non stiano fermi a guardare l’avanzata delle stablecoin denominate in dollari. Quattro anni sono un’era geologica nel mondo crypto, e questa tempistica, prospettata dalla BCE, alimenta i numerosi dubbi che aleggiano su questo progetto europeo.

Tempistiche del progetto BCE e criticità operative

Ripercorriamo infatti brevemente le tappe che dovrebbero condurre all’emissione dell’euro digitale nel 2029. La fase di preparazione è stata avviata nel novembre 2023 e si è conclusa nell’ottobre 2025, dopodiché, se il regolamento relativo all’istituzione dell’euro digitale verrà adottato nel corso del 2026, una prima emissione dell’euro digitale potrebbe avvenire nel 2029. Quindi, almeno sei anni per sviluppare il progetto dell’euro digitale, nell’assunto che il regolamento arrivi effettivamente nel 2026, altrimenti si andrebbe con ogni probabilità anche oltre il 2029.

Stablecoin e MiCA: le banche si muovono

Un po’ too much, come direbbero le giovani generazioni. Soprattutto, sono tempi incompatibili non sono con l’evoluzione globale del settore, ma anche con la concorrenza che in tal caso possono muovere gli operatori privati. Ricordiamo che ai sensi del regolamento MiCA (semplifichiamo per chiarezza) non è così complicato né eccessivamente lungo per una banca essere autorizzata ad emettere una propria stablecoin, lo è semmai per gli operatori non bancari che devono passare per una trafila autorizzativa decisamente più lunga.

Peraltro, le banche e gli altri operatori finanziari hanno tutto l’interesse a sviluppare proprie stablecoin che si pongano in concorrenza con l’euro digitale, dato che (per usare un eufemismo) il settore bancario non ha certo accolto con entusiasmo la quantificazione degli oneri relativi all’euro digitale per le banche.

Se per la BCE il limite di detenzione individuale di 3.000 euro in forma digitale non danneggerà la stabilità finanziaria e i depositi delle banche, è anche vero che il “conto” per questi soggetti probabilmente non si spingerà verso i 18 miliardi stimati inizialmente, ma potrebbe comunque arrivare fino a 5,8 miliardi. È vero che l’euro digitale potrebbe aprire nuovi servizi, e nuovi mercati (ad esempio, il servizio di custodia) per gli istituti bancari, però è altrettanto vero che mentre i costi si “vedono” subito le fonti di ricavo sono per loro natura delle ipotesi.

Il legislatore italiano apre alle stablecoin in euro

Ad ogni modo, del fatto che, in attesa dell’euro digitale, non si possano ignorare le stablecoin in euro – ed anzi vadano in qualche modo incentivate rispetto a quelle denominate in dollari – sembra essersi accorto anche il legislatore italiano, che ha inserito delle norme ad hoc nella bozza della legge di bilancio per il 2026.

Premettiamo al riguardo che la legge di bilancio 2025 (legge n. 207/2024) già contempla espressamente, all’articolo 1, comma 24, l’aumento della tassazione sulle plusvalenze da cripto-attività dal 26% al 33%. Tale norma, approvata circa un anno fa e – si ricorda – tutt’ora in vigore, prevede infatti che “sulle plusvalenze e sugli altri proventi di cui alla lettera c-sexies) del comma 1 dell’articolo 67 del testo unico delle imposte sui redditi […] realizzati a decorrere dal 1° gennaio 2026, l’imposta sostitutiva di cui agli articoli 5, 6 e 7 del decreto legislativo 21 novembre 1997, n. 461, è applicata con l’aliquota del 33 per cento”.

Sbaglia quindi chi sostiene che è la legge di bilancio ad oggi in discussione a prospettare l’aumento della tassazione sulle plusvalenze da cripto-attività: quest’aumento è già previsto, se la legge di bilancio per il 2026 non disporrà diversamente l’aumento sarà per così dire “automatico”. È pur vero che in questi giorni gli operatori del settore si stanno muovendo per “disinnescare” l’aumento della tassazione, ma per chiarezza occorre tener presente che l’aumento della tassazione dal 2026 era stato definito per legge un anno fa (a seguito delle polemiche emerse dopo le prime indicazioni che avevano previsto l’aumento della tassazione al 42%) per cui, si ripete, occorrerebbe necessariamente una norma che modifichi o abroghi la disposizione sopra citata, la quale – in assenza di modifiche o abrogazioni – entrerà automaticamente in vigore dal 1° gennaio prossimo.


La bozza di legge di bilancio 2026 e la tassazione agevolata

In questo contesto, nella bozza di legge di bilancio per il 2026 è stata inserita una norma secondo cui la tassazione delle plusvalenze si applica “con l’aliquota del 26 per cento, in luogo di quella ordinaria del 33 per cento, ai redditi diversi e agli altri proventi di cui alla lettera c-sexies) […] derivanti da operazioni di detenzione, cessione o impiego di token di moneta elettronica denominati in euro, di cui all’articolo 3, paragrafo 1, numero 7), del Regolamento [MiCA]. Ai fini del presente comma, per token di moneta elettronica denominati in euro si intendono i token il cui valore è stabilmente ancorato all’euro e i cui fondi di riserva sono detenuti integralmente in attività denominate in euro presso soggetti autorizzati nell’Unione europea. Non costituisce realizzo di plusvalenza o minusvalenza la mera conversione tra euro e token di moneta elettronica denominati in euro, né il rimborso in euro del relativo valore nominale”.

È prematuro commentare una norma ancora in attesa di approvazione definitiva come se già fosse in vigore (specie dopo l’esperienza della scorsa legge di bilancio proprio in relazione alla tassazione dei criptoasset), tuttavia si possono certamente effettuare alcune considerazioni sull’ambito e sulla portata di questa bozza di disposizione.

Secondo la relazione illustrativa, “la disposizione intende, innanzitutto, escludere l’applicazione delle disposizioni previste dall’articolo 1, comma 24, della legge n. 207 del 2024 (legge di bilancio per il 2025), per le plusvalenze e gli altri proventi derivanti da rimborso, cessione a titolo oneroso, permuta o detenzione di token di moneta elettronica, come definiti dall’articolo 3, paragrafo 1, numero 7), del regolamento (UE) n. 2023/1114 (Markets in crypto – assets regulation – MICAR), che fanno riferimento al valore dell’euro. Su tali redditi, l’imposta sostitutiva di cui agli articoli 5, 6 e 7, del decreto legislativo n. 461 del 1997, continuerà, quindi, ad applicarsi nella misura del 26 per cento”.

Ci sono tuttavia seri dubbi che questa prospettata disposizione raggiunga gli scopi previsti dalla relazione illustrativa. Infatti, se lo scopo principale era rendere la permuta tra criptovalute come Bitcoin, Ethereum etc. e stablecoin denominate in euro tassabile al 26%, mentre la permuta con stablecon in dollari rimarrebbe tassata al 33%, la formulazione letterale della norma non convince affatto.

Verso un trattamento fiscale più chiaro e competitivo

La formulazione attuale della norma contenuta nella legge di bilancio 2026 parla infatti delle “operazioni di detenzione, cessione o impiego di token di moneta elettronica denominati in euro”, ma non menziona la permuta. Ci sono pertanto seri dubbi sul fatto che la permuta in stablecoin-euro possa differire da quella in stablecoin-dollari, ed anzi, probabilmente la stessa formulazione letterale della norma non lo contempla.

Come auspicato da alcuni commentatori, sarebbe quindi il caso che detta norma venga modifica, se effettivamente il legislatore vuole incentivare la conversione in stablecoin europee, perché la formulazione attuale della norma di fatto non reca che vantaggi piuttosto contenuti per le stablecoin-euro, laddove “aprire” a un trattamento fiscale differenziato per la permuta potrebbe invece rappresentare un vantaggio molto significativo.

Ad ogni modo, è comunque importante che il legislatore italiano si sia reso conto del ruolo che possono avere le stablecoin europee e che abbia avuto una particolare attenzione nell’incentivarne l’utilizzo. È sicuramente un segnale positivo, anche se restiamo in attesa, con l’approvazione finale della legge di bilancio, di comprendere le effettive dimensioni di questo favor legislativo, ovverosia se si limiterà solo ad aspetti circoscritti oppure, con l’espressa apertura ad un trattamento differenziato per la permuta in stablecoin-euro, se avrà un impatto più ampio.

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