tecnologia e società

AI, ora la rivoluzione industriale è democratica: ma servono competenze e investimenti



Indirizzo copiato

L’AI domina l’attuale rivoluzione industriale caratterizzandola per il fattore di democratizzare la tecnologia, dati i bassi costi che la rendono accessibile anche a PMI e micro imprese. Ma gli elementi per un vero salto devono contemplare anche competenze, investimenti mirati e uno scenario di rinascita per l’UE

Pubblicato il 12 nov 2025

Nicoletta Pisanu

Giornalista professionista, redazione AgendaDigitale.eu



chip supercomputer ai microchip oltre il silicio; AI e industria

L’AI ha patinato l’idea di rivoluzione industriale, portandoci a relegare le immagini della fuliggine e delle bottiglie di gin abbandonate in vicoli sciatti alle pagine di Dickens. E in questo restyling dell’immaginario comune, se si vuole individuare un concetto per caratterizzare il cambiamento socio-economico in corso, dominato dall’intelligenza artificiale, si può parlare di democrazia. Più di innovazione, più di disruption, è questo principio a rendere diverso quanto ci sta accadendo rispetto al passato: “Siamo in un momento di estremo cambiamento e, anche nel settore manifatturiero, il vento dell’AI porterà una nuova rivoluzione. Una rivoluzione democratica, molto più di quelle precedenti”, racconta ad AgendaDigitale.eu Floriano Masoero, presidente e CEO di Siemens.

Perché l’AI costa poco, è accessibile, veloce e può essere messa a disposizione di grandi industrie ma anche PMI e micro imprese. Una risorsa che, al di là delle migliorie in fabbrica, può essere pensata anche per il percorso verso una sovranità tecnologica e digitale europea. Ma, come sempre, un solo elemento non basta mai. Serve un ecosistema adeguato: “La sovranità si realizza anche con la capacità di investire, innovare e puntando sui buoni talenti”, spiega Masoero. Nei prossimi mesi questo, insieme ai trend tecnologici della physical AI e degli agenti AI, sarà fondamentale.

AI e industria, la democratizzazione dello sviluppo

L’AI come veicolo di democratizzazione dello sviluppo, alla portata di ogni realtà produttiva: “Durante le precedenti rivoluzioni industriali c’era la necessità di forti investimenti, mentre l’AI porta una democratizzazione della tecnologia in quasi tutti i contesti, dato il costo molto limitato – spiega Masoero -. La differenza è proprio che, prima di tutto, l’AI è democratica, ha grandi vantaggi ed è accessibile a tutti”.

La sfida è stare al passo, perché la competitività si misurerà sempre più sulla capacità di implementare e concretizzare l’innovazione. La velocità infatti è un’altra caratteristica di questa rivoluzione.

AI nell’industria, le possibilità per PMI e micro

Democratizzazione della tecnologia significa che tutte le imprese, di qualsiasi dimensione, possono cogliere le opportunità dell’innovazione: “L’utilizzo dell’AI è una grande opportunità soprattutto per le micro imprese, le medie e le piccole, permette di automatizzare i processi nelle fabbriche e di usare le poche risorse a disposizione comunque per innovare”, spiega Masoero. E questa è un’opportunità enorme per l’Italia “che nel proprio tessuto produttivo ha soprattutto PMI e imprese”.

Il ruolo dell’AI industriale nella sovranità tecnologica UE

Sull’ampia scelta di opportunità di sviluppo date dall’AI industriale alle imprese italiane, si staglia però l’ombra della dipendenza tecnologica da realtà extra UE. E del resto quello della sovranità tecnologica è un tema di grande attualità: “Si tratta di un obiettivo che viene raggiunto con la capacità di innovare a livello europeo. Nel campo dell’AI, Usa e Cina sono in vantaggio perché hanno investito capitali enormi e hanno le competenze. L’UE può giocare un ruolo fondamentale sui fronti dell’industrial AI e della physical AI“, commenta Masoero.

Si tratta infatti, in questo caso, “di una rivoluzione un po’ più lenta, in cui l’UE non è in ritardo ma può giocarsi le sue carte, anche perché il know how a disposizione è incredibile: Italia e Germania sono i Paesi più industrializzati e dispongono di grandi competenze, oltre che grandi gruppi, quindi sicuramente l’UE può ricoprire un ruolo importante”, precisa.

Uno strumento utile per favorire questi aspetti è semplificare: “Dobbiamo togliere un po’ di burocrazia. Non vuol dire che non dobbiamo mettere barriere etiche, ma non dobbiamo mettere troppo burocrazia sull’innovazione – racconta Masoero -. Abbiamo grande capacità di capitali che vengono però poco indirizzati sull’innovazione. In Germania, Siemens con altre sessanta aziende, si sono unite per presentare al Governo le proprie richieste all’UE, dicendosi disponibili a investire capitali”.

Industrial AI e investimenti

E poi c’è il nodo delle competenze. Il know how in Europa è forte, ma in più la congiunzione geopolitica attuale permette anche di attrarre talenti da Paesi extra, come gli Usa, situazione che effettivamente si sta verificando. Per esempio, racconta Masoero che “abbiamo appena portato in Siemens uno dei massimi esperti di AI al mondo, guidava l’AI gen in Amazon Aws”. E numerose sono state le iniziative governativo, come in Italia per il rientro dei cervelli o nei Paesi Bassi per facilitare l’arrivo di esperti d’Oltreoceano.

Queste azioni però devono comprendere anche la creazione di nuovi talenti ma “Italia e UE deve investire sui progetti: solo l’8,2% delle imprese italiane ha fatto partire progetti di AI rispetto a una media del 14,5% europea. E questo ci dice che l’Italia è in ritardo nell’investire”. Dunque il problema non è solo lo skill mismatch: “Certo si fanno fatica a trovare persone che abbiano le competenze giuste, ma molto spesso le aziende partono implementando progetti AI che sono piloti, con il rischio di fallire. Si prova, il progetto non viene come si vorrebbe e però non ci si riprova. C’è quindi un elemento quindi di ripetitività di piloti invece di un vero processo strutturato e un reassessment dell’AI”. L’AI però è una tecnologia “matura, da considerare nei costi. Penso debba diventare uno standard nell’industria e che l’AI debba sempre essere più utilizzata quando si parla di investimenti”.

Industrial AI e cybersecurity

Parlando di costi e investimenti, non si può trascurare la cybersecurity. Ad oggi l’AI nel mondo industrial ha raggiunto un buon livello di affidabilità e “sono stati fatti grandi passi avanti sulla consapevolezza della sicurezza – commenta Masoero -, grazie anche a regolamenti come la direttiva NIS2 ogni azienda è stata portata a gestire la cybersecurity come un elemento fondamentale. Abbiamo visto come un attacco può bloccare la produzione per diverse settimane”, ma è fondamentale continuare a fare divulgazione, e, aggiunge il CEO, “trattare l’argomento della sicurezza e AI come parte integrante della cultura aziendale. La cybersecurity è come la sicurezza sul lavoro, deve essere by design ed integrata culturalmente”.

Industrial AI, i trend 2026

Parlando dell’anno nuovo, physical AI e agenti AI sono gli elementi su cui si vede un enorme potenziale di sviluppo nel contesto industriale. Per Masoero, “esprimere l’AI in modo fisico può davvero essere un passo importante. Sempre di più è qualcosa che entrerà nell’automation: avere sempre più fabbriche che diventano autonome nella presa di decisione e utilizzo dati, building sempre più autonome, reti di distribuzione elettriche sempre più autonome”, spiega.

Le politiche industriali devono supportare lo sviluppo e gli investimenti in queste tendenze: “Le esigenze delle aziende sono di avere norme e supporto all’industria che siano semplificate, che permettano una maggiore velocità all’accesso ai finanziamenti, legati non solo ad hardware ma anche software, componenti come l’AI devono rientrare in queste iniziative – precisa -. E sicuramente dobbiamo guardare alla competizione globale in modo attento, la filiera di costruttori di macchine deve essere preservata” e dobbiamo stare attenti a evitare di subire quello che è accaduto nel mondo automotive”.

Lo scenario europeo

Tuttavia, lo scenario non può non includere sviluppi anche sul piano della geopolitica: “Nei prossimi mesi mi auguro che ci sia una rinascita dell’UE – commenta Masoero -. Un’UE che sappia sfruttare la nuova consapevolezza acquisita di dover essere indipendente per accelerare le varie trasformazioni e mettere in piedi investimenti”.

Dunque un 2026 di rilancio: “In UE abbiamo un mercato di talenti, con università importanti e una diversità di culture che nessun’altra regione ha – conclude – ed è importante capire che poter contare su popolazione con origini e competenze diverse è arricchente”. La diversità è ancora un valore capace di fare la differenza.

guest

0 Commenti
Più recenti
Più votati
Inline Feedback
Vedi tutti i commenti

Articoli correlati