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Manifattura 4.0, per il rilancio nel 2023 la sfida è un ecosistema nazionale di eccellenza

Il 2023 si preannuncia un anno decisivo per la concretizzazione delle iniziative legate al PNRR e per il rilancio delle imprese manifatturiere: perché sia così però, è necessario puntare sulla realizzazione di un ecosistema nazionale di eccellenza in cui le aziende potranno operare e investire

Pubblicato il 09 Gen 2023

Enrico Pisino

Ceo del Competence Center CIM4.0

Industrial,Technology,Concept.,Factory,Automation.,Smart,Factory.,Industry,4.0

IL 2023 come anno della conferma e della concretizzazione dei progetti del PNRR, ma soprattutto del rilancio delle imprese manifatturiere e con esse dell’intero ecosistema nazionale. Vorremmo poter raccontare questo tra dodici mesi, ma i dubbi che ciò possa accadere non mancano. Certo abbiamo centrato tutti gli obiettivi del PNRR, i cosiddetti KPI previsti nel 2022, ma la messa a terra dei progetti autorizzati è altra cosa.

Abbiamo bisogno dell’applicazione effettiva e dell’operatività attesa dalle nuove riforme, di coinvolgere realmente e fattivamente le imprese private e sappiamo bene che non tutto è oggi stato raggiunto, e che nei momenti di contrazione la lungimiranza degli imprenditori e dei manager dovrà sempre fare i conti con la cassa e i KPI dei bilanci annuali delle imprese. Non avremmo un’occasione ulteriore nei prossimi anni e onestamente sono convinto che tutte le opportunità offerte dall’Europa sarebbero da considerare strategiche per il rilancio del nostro Paese.

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Digitale e green, il contesto in Italia

Siamo nel mezzo di due transizioni senza opzioni, digitale ed ecologica. Quella digitale, che ancora a fine 2021 ci poneva al venticinquesimo posto nella graduatoria europea con otto punti percentuali di distacco rispetto alla media, è la base anche per realizzare e gestire al meglio quella green. Il ritardo dell’Italia è riconducibile alle carenze strutturali e uno dei freni riguarda l’assenza di competenze digitali diffuse, sia tra i cittadini sia tra le imprese. Divario che si amplia tra PMI e grandi imprese e tra le regioni italiane, quelle del sud rispetto a quelle del nord.

La transizione digitale dell’Italia rappresenta un’occasione unica di rilancio della produttività e quindi della crescita del Paese. In Europa le imprese manifatturiere sono la vera locomotiva dell’economia e quindi determinanti per lo sviluppo dei territori. Secondo l’Istat l’Italia ha fatto segnare una crescita per il 2022 del 3,9% già acquisita, anche se il quarto trimestre dovesse avere un andamento piatto. E considerando il biennio terribile 2021-2022, l’Italia potrebbe toccare complessivamente un incremento del PIL del 10,6%, meglio di tutti gli altri Paesi del G7. Per questo motivo come imprese, aziende manifatturiere in particolare, ci si aspettava più attenzione nella legge di bilancio che di fatto ha addirittura limitato l’azione sul fronte del supporto all’Industria piuttosto che dar un maggior impulso necessario a garantire una derivata costante in termini di crescita.

Ricordo che l’Italia è l’unico paese dell’Unione Europea ad avere al 2021 un livello di PIL pro-capite inferiore rispetto ai livelli del 2000. Inoltre, tutto questo sembra addirittura in contraddizione con la strategia alla base del PNRR dove, anche se non solo per le Imprese ma anche per la PA, sono previsti forti investimenti soprattutto in Italia che è il Paese che alloca il maggior ammontare di fondi alla digitalizzazione (40,7 mld), più della somma di Spagna, Germania e Francia (38 mld).

La priorità per il 2023: un ecosistema nazionale di eccellenza

Quali le priorità o le azioni immediate per poter confermare l’auspicio iniziale? Occorre annullare la tendenza negativa dell’Italia degli ultimi 20 anni, dovuta sia al mancato investimento in ricerca e innovazione ma soprattutto alla cosiddetta produttività multifattoriale, ossia quella componente residuale della crescita non dovuta a variazioni di efficacia di lavoro e capitale, ma piuttosto riconducibile a: pratiche manageriali, al ritardo nei processi di digitalizzazione, alla regolamentazione e agli spillover positivi in termini di ambiente economico.

Ovvero occorre sviluppare e/o consolidare un ecosistema nazionale di eccellenza, che io definirei “world class”, in cui opereranno e si svilupperanno le imprese. Un ecosistema ricco di competenze e conoscenze, di buone pratiche da condividere, di luoghi dove far maturare le idee e le nuove tecnologie, accelerare il trasferimento tecnologico lungo le filiere e attraverso la contaminazione intersettoriale, dove realizzare la formazione continua che non lascerà nessuno indietro e garantirà l’upskilling e il reskilling del capitale umano. Un ecosistema che abiliterà il “digital trust” e quindi l’integrazione dei processi delle imprese con l’esterno (supply chain e clienti) come succede già nei Paesi più competitivi; un ecosistema che supporterà appieno la domanda di Innovazione delle imprese, rafforzando le filiere strategiche (automotive, aerospace, semiconduttori, ecc.) e sostenendo lo sviluppo delle nuove filiere produttive che sapranno sfruttare meglio i paradigmi della sostenibilità e della circular economy (produzione e distribuzione dell’idrogeno ad esempio); un ecosistema che contribuirà in modo naturale alla coesione territoriale di cui l’intero Paese ha bisogno.

I precedenti

Per fortuna non si parte da zero. Molto è stato fatto nei recenti anni. Abbiamo come Paese maturato esperienze positive nella capacità di far lavorare assieme pubblico e privato, accademie, università e imprese. Molte azioni del PNRR ma anche più recentemente dell’Europa andranno a sviluppare e/o a consolidare una vera e propria rete di Hub al servizio delle Imprese e delle PMI in particolare, pensiamo agli European Digital Innovation Hub di recente definizione. Ancora più importante per l’impatto potenziale è quello della rete nazionale dei Competence Center, centri per il trasferimento tecnologico già operativi sui territori ed in grado di realizzare servizi concreti alle imprese quali la formazione continua, la consulenza di alta specializzazione e la sperimentazione di applicazioni basata sulle nuove tecnologie digitali e dell’Industry 4.0: dalla Cyber security all’Intelligenza Artificiale, dalla Manifattura Additiva alla XReality e molto altro ancora.

Tutte queste realtà ulteriormente potenziate in dimensioni e numerosità, dovrebbero essere coordinate attraverso un’azione centrale o magari attraverso la nascita di una federazione nazionale che unisca centri di ricerca applicata e di trasferimento tecnologico che potrà di fatto rappresentare per l’Italia ciò che i Fraunhofer Institute in Germania o altri istituti simili in Francia e in UK rappresentano per i rispettivi territori. Abbiamo bisogno di sfruttare le eccellenze e le alte specializzazioni senza spreco alcuno, fare massa critica per poter rispondere alla fame di innovazione delle Imprese e soprattutto garantire l’accessibilità ai servizi senza vincoli territoriali o dimensionali.

Conclusione

In sintesi, valorizziamo e acceleriamo Transizione 4.0, mettiamo a terra i progetti selezionati dal PNRR ma facciamo in modo che le accademie, gli ecosistemi regionali, i competence center ad alta specializzazione, gli Hub dell’Innovazione digitale, le Imprese private leader, sviluppino un ecosistema nazionale “world class” vivo e attrattivo, dove nel tempo e ben oltre l’orizzonte del PNRR, le imprese pubbliche e private trovino risposta ai propri fabbisogni di innovazione, sia sul fronte della domanda sia dell’offerta, dove nuove imprese possano facilmente svilupparsi, dalle startup nazionali ai player internazionali. Un ecosistema “world class” riconosciuto dagli investitori a livello internazionale. Che il Made in Italy non sia un’azione di protezione dei nostri prodotti, della nostra industria manifatturiera ma un’eccellenza del nostro territorio capace di competere sui mercati internazionali.

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