il commento

Innovare l’Italia, Noci: “Questo è il cambio politico necessario”

Per l’Italia è l’ultima chiamata, dice il docente del Politecnico di Milano. Serve una nuova governance del digitale e un’attuazione con le Regioni al centro e un forte change management. Ecco come

Pubblicato il 28 Mag 2018

Giuliano Noci

Politecnico di Milano

italia digitale

Gli ultimi dati del Desi 2018 parlano chiaro. Se da un lato possiamo riconoscere numerose progettualità di successo promosse dall’AgID negli ultimi anni, che hanno portato a importanti risultati, dall’altro appare evidente la necessità di un cambiamento sistemico per ridurre il divario che si è venuto a creare tra l’Italia e il resto dell’Europa.

Ci troviamo di fronte ad un’importante sfida che deve essere affrontata non solo sul piano dell’execution, ma soprattutto su un piano strategico: per affermare il cambiamento, in senso digitale, necessario nel nostro Paese serve un cambio di prospettiva.

Il cambio di prospettiva politica che è necessario

Occorre, in primo luogo, che si affermi nel mondo politico un cambio di prospettiva rispetto al tema della trasformazione digitale del nostro Paese, che deve essere vissuta non tanto e solo come fatto tecnico quanto piuttosto come obiettivo chiave per l’affermazione e consolidamento dell’asset più importante dal punto di vista infrastrutturale dei prossimi decenni. In altre parole, così come in passato abbiamo creato l’ANAS per l’attuazione di investimenti infrastrutturali di interesse nazionale, dobbiamo ora pensare ad un modello attuativo che metta al centro lo sviluppo delle dorsali digitali della nuova società: da SPID passando per PagoPA fino ad arrivare a tutti quei servizi che svolgono ruolo trasversale di abilitazione delle funzioni degli enti locali del nostro Paese.

Una nuova Governance del digitale

La struttura di governance del digitale deve, in questa prospettiva, essere ripensata e semplificata, identificando responsabilità chiare: un luogo decisionale che definisce le priorità e le strategie da perseguire e un soggetto che le traduce in regole chiare e ne fa vigilanza. In termini concreti, ritengo che la responsabilità politica del cambiamento debba essere incardinata a livello di Presidenza del Consiglio – per l’impatto pervasivo della trasformazione digitale in atto nella società e nell’economia – mentre il ruolo di attuativo – di definizione delle regole specifiche e di organizzazione dei servizi trasversali abilitanti (di cui sopra) – debba essere incardinata nell’AgID.

L’attuazione con le Regioni al centro

Da un punto di vista attuativo, l’erogazione di servizi all’utenza va a mio avviso ripensata secondo un modello semplificato che mette al centro le Regioni secondo una prospettiva di integrazione tra obiettivi e regole definite a livello centrale e il delivery dei servizi a livello locale. A questo riguardo ritengo indispensabile riflettere circa l’opportunità di un’architettura istituzionale in cui operano Comuni di piccole dimensioni, quando il resto dell’economia ci suggerisce che il passaggio ad aggregazioni sovra-comunali consentirebbe l’aumento di efficienza ed efficacia soprattutto in termini servizi digitali. Non dimentichiamo inoltre l’assoluta necessità di andare verso un approccio di standardizzazione dei servizi: al 2018 è davvero eccessivo pensare che gli enti locali possano muoversi con soluzioni proprie, spesso poco efficienti ed efficaci. Da questo punto di vista, la messa a regime di un approccio sostenibile al riuso appare davvero indispensabile.

Non vi è che dire: si tratta di un deciso cambio di passo rispetto al percorso di trasformazione digitale portato avanti negli ultimi anni. Per la sua affermazione, non è sufficiente avere un disegno strategico chiaro e l’introduzione di leggi/norme e strumenti sanzionatori – così come è sempre stato fatto fino ad oggi -; è invece necessario rendersi conto che abbiamo a che fare con un grande progetto di change management di rilevanza nazionale: il più rilevante del dopoguerra. In questa prospettiva, è quindi fondamentale lavorare sulle risorse umane coinvolte nel cambiamento; due sono le direttrici su cui è opportuno lavorare: affermazione di competenze manageriali e di gestione del tema digitale nel personale della PA – attraverso un piano di assunzioni che preveda l’innesto di competenze gestionali e l’introduzione di una scuola nazionale per la PA digitale – e introduzione di un sistema di misurazione delle performance e incentivi rivolti a dirigenti e funzionari della PA che attribuisca un rilievo importante agli obiettivi specifici di trasformazione digitale dell’ente di appartenenza.

Ultima chiamata per l’Italia

Chiudo questa mia riflessione con una puntualizzazione: quante volte la politica ha fatto promesse in questo senso; troppe anche se spesso fissando obiettivi piuttosto timidi e parziali. Io credo che siamo vicini alla last call: se non saremo in grado di introdurre una vera discontinuità nei prossimi anni, il nostro tessuto socio-economico ne uscirà con le ossa rotte. Produttività del lavoro, processi di innovazione e qualità dei tessuti urbani dipendono infatti ormai in modo imprescindibile e strutturale dal livello di digitalizzazione di infrastrutture e servizi resi disponibili dalla PA.

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