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Agenti AI per lo shopping: paradiso per gli utenti, sfida per i brand



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L’arrivo degli agenti AI sta trasformando l’e-commerce: non più ricerche e clic, ma dialoghi intelligenti che ridefiniscono il rapporto tra brand, consumatori e piattaforme digitali

Pubblicato il 23 ott 2025

Alessio Pecoraro

coordinatore PAsocial Emilia-Romagna, marketing & communication manager



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Negli ultimi mesi stiamo assistendo a un cambio di rotta nell’e-commerce: l’ascesa degli “agenti” di acquisto basati sull’intelligenza artificiale. Non più semplici motori di ricerca interni o sistemi di raccomandazione, ma veri e propri assistenti digitali capaci di interpretare bisogni complessi, confrontare opzioni, fare domande di chiarimento e proporre soluzioni su misura. OpenAI, Perplexity e Google sono in prima linea nel lanciare queste funzionalità, e le conseguenze per le aziende e i loro brand e retailer si preannunciano dirompenti.

“Il potenziale è enorme, sia per il consumatore, con un modo di accedere alle informazioni sicuramente più human-like rispetto all’esperienza Google-like a cui eravamo abituati, sia per le aziende, perché possono trasformare il loro modo di lavorare aumentando anche l’efficienza e, per chi riesce, farne un fattore competitivo importante” spiega Daniele Sghedoni, Technology Strategy Lead di Publicis Sapient.

Dal keyword searching all’assistenza conversazionale

Per oltre vent’anni la scoperta di servizi e prodotti online si è basata su keyword e algoritmi di raccomandazione tarati sulle abitudini di comportamento. L’utente cercava una parola chiave, riceveva una lista di prodotti e doveva districarsi tra centinaia di opzioni, spesso poco differenziate.

Secondo i dati di Semrush, il motore di ricerca per il marketing, quasi il 60% delle ricerche europee su Google non genera più un clic. Gartner prevede che il volume dei motori di ricerca tradizionali diminuirà del 25% entro la fine del 2026.

L’esperienza personalizzata del personal shopper digitale

Oggi, invece, gli agenti AI si pongono come veri mediatori: un utente può chiedere ad esempio: “Mi serve un outfit per un matrimonio a settembre, elegante ma non troppo formale, entro i 200 euro” e ricevere una selezione ragionata, con link diretti all’acquisto e magari alternative ordinate per prezzo, qualità o stile. L’AI non restituisce più un elenco neutro di opzioni, ma una sintesi argomentata, basata su criteri conversazionali che simulano il dialogo con un consulente umano.

“Stiamo già vedendo piattaforme che, grazie all’AI, non si limitano a ‘suggerire’ un prodotto, ma guidano davvero l’utente dal bisogno fino al pagamento. Penso ai chatbot che ormai non sono più solo bottoni automatici, ma veri e propri assistenti digitali che ti ‘capiscono’ e ti consigliano. La novità più interessante, secondo me, è la personalizzazione estrema: non più il classico consiglio per gli acquisti perché già altri utenti lo hanno comprato, ma un’esperienza che tiene conto del tuo stile, delle tue abitudini, dei tuoi gusti. È come se ogni utente avesse il proprio personal shopper digitale e perdipiù sempre disponbile” spiega Luca Pelati, CEO dell’agenzia digitale Ventie30.

Verso un e-commerce senza interruzioni

Questa trasformazione cambia radicalmente la user experience: si passa dalla logica del “cercare e confrontare” a quella del “chiedere e ottenere”. In prospettiva, il tempo speso dall’utente nella ricerca diminuirà, mentre aumenterà il valore attribuito all’affidabilità delle risposte. E ciò significa che i punti di contatto tradizionali del marketing digitale potrebbero ridursi o addirittura sparire.

Luca Pelati: “Il futuro dell’e-commerce lo vedo molto ‘frictionless’, senza interruzioni: non si passa più da cinque piattaforme diverse per scoprire, scegliere e pagare, ma tutto avviene in un flusso unico. Questo rende l’acquisto più naturale. Penso anche che a tendere la maggior parte della fruizione di contenuti web in senso generale avverrà attraverso un tool di AI, quindi, cambieranno radicalmente il modo di concepire siti web (ed e-commerce) e del concetto stesso di SEO”.

Le strategie dei giganti tecnologici

OpenAI ha rilasciato una versione aggiornata del suo sistema di shopping Operator, ribattezzato Agent, che può completare le attività all’interno di un browser web, evidenziando lo shopping come uno dei suoi principali casi d’uso. Perplexity ha lanciato di recente il suo browser agente Comet, che completa attività su diverse app sul desktop, come calendari, siti web ed e-mail… Google, dal canto suo, non può permettersi di restare indietro: le nuove funzionalità di Search Generative Experience e Shopping Graph vanno proprio nella direzione dell’acquisto assistito dall’AI, inserendo prodotti e recensioni direttamente all’interno della conversazione.

Il dato interessante è che questi attori non si limitano a competere tra loro, ma stanno definendo un nuovo standard di interfaccia. Non è un caso che Amazon e Shopify stiano sperimentando a loro volta agenti conversazionali interni, consapevoli che il futuro dell’e-commerce non sarà più fatto solo di cataloghi e carrelli, ma di interazioni, sempre più intelligenti e personalizzate.

Nuove competenze per un mercato in evoluzione

Per Daniele Sghedoni il grande pro della questione è la possibilità di accorciare le distanze tra competenze verticali: “designer che grazie al vibe coding possono sviluppare concept o versione base di un prodotto (MVP) in codice e sviluppatori che diventano sempre più partner di business. Come sostiene Matt Palmer c’è una richiesta folle di persone in grado di comprendere e spiegare la tecnologia in modo convincente”.

Quando l’AI diventa il vero intermediario

Qui arriva il vero punto critico: se gli agenti diventano gli intermediari principali, il brand perde parte del controllo sul racconto del prodotto. Non è più il consumatore a digitare un nome o a scorrere una vetrina digitale, ma un agente che filtra, seleziona e racconta al posto del marchio. In altre parole: il posizionamento non dipenderà solo da SEO e advertising, ma anche – e soprattutto – dalla capacità di essere riconosciuti come rilevanti dall’AI.

Autenticità e contenuti strutturati come fattori competitivi

“Se prima i brand dovevano farsi notare con grandi campagne e con tanti soldi in advertising, oggi conta sempre di più la capacità di raccontarsi bene, in modo autentico e vicino alle persone. L’AI, con i suoi strumenti permette di creare contenuti su misura e di arrivare in modo mirato al pubblico di riferimento” il punto di vista di Pelati.

Per i marketer e gli uffici comunicazione delle aziende e dei loro brand la sfida non è però solo costruire uno storytelling accattivante, ma spostare l’attenzione dal convincere il consumatore finale al convincere l’agente AI. Ciò significa schede prodotto curate, dati strutturati, recensioni dettagliate e verificate, contenuti facilmente interpretabili dai modelli di linguaggio, siti internet tarati sulla velocità più che sulla quantità di contenuto. La trasparenza e la chiarezza delle informazioni diventeranno fattori competitivi tanto quanto la creatività. Un titolo ambiguo o una descrizione incompleta rischiano di tradursi in invisibilità, perché l’agente non avrà elementi sufficienti per considerare quel prodotto pertinente.

Ripensare la pubblicità nell’era degli agenti

Un altro aspetto cruciale riguarda la pubblicità. Se gli agenti diventano i veri custodi della discovery, la logica delle inserzioni dovrà adattarsi. Non basterà “comprare” uno spazio visibile: bisognerà capire come entrare nelle risposte generate dall’AI, probabilmente con nuovi modelli di sponsorizzazione che integreranno trasparenza e qualità del dato. Il rischio, per i brand, è che un eccesso di pubblicità percepita come invasiva mini la fiducia dell’utente verso l’agente stesso.

Il fenomeno degli influencer virtuali

Già nel 2021 Seth Godin, il guru mondiale del marketing, sentenziava la fine degli influencer. Oggi, strumenti di produzione di intelligenza artificiale di qualità cinematografica stanno contribuendo a lanciare migliaia di avatar digitali, o “influencer AI”, nell’economia dei creatori, che si stima valga oltre 250 miliardi di dollari.

Siamo già in un mercato dinamico che si rivolge all’economia dei creatori di intelligenza artificiale, tra cui studi focalizzati sulla generazione di personaggi virtuali e sulla gestione delle loro narrazioni, e gruppi pubblicitari che mettono in contatto le aziende e i loro brand con influencer virtuali.

Lil Miquela, una delle prime influencer virtuali, è stata creata dai creativi di Brud, agenzia con sede a Los Angeles, che chiede fino a centinaia di migliaia di dollari per accordi con brand come Burberry, Prada e Givenchy.

Il fenomeno però merita prudenza, secondo i dati di Emarketer il 65% degli adulti si sente a disagio di fronte alle pubblicità generate dall’intelligenza artificiale e ad influencer virtuali.

Un mercato più aperto e competitivo

Le conseguenze non si limitano alla comunicazione. Gli agenti AI rendono il mercato più competitivo perché abbassano le barriere all’ingresso. Se prima un brand poteva distinguersi grazie alla forza del proprio sito e delle proprie campagne, ora un prodotto sconosciuto ma ben descritto e con ottime recensioni può emergere nella selezione di un agente tanto quanto quello di un marchio consolidato. Questo riequilibrio rischia di minare la fedeltà al brand, sostituendola con una fedeltà all’agente e alla sua capacità di proporre sempre la “migliore opzione”.

Per i retailer, inoltre, sarà fondamentale ripensare il ruolo del customer journey. Se l’interazione primaria è con un agente, il punto di contatto diretto si riduce alla fase finale della transazione o della consegna. Come mantenere la relazione con il cliente in un contesto in cui la scoperta e la decisione avvengono altrove? Probabilmente con strategie di fidelizzazione post-acquisto, servizi aggiuntivi e community capaci di rafforzare il legame con il brand.

Le opportunità per i brand piccoli e autentici

Un’opportunità anche per le aziende e i brand meno strutturati perché la tecnologia abbassa le barriere: se sei creativo, se sai raccontare la tua storia in modo sincero, l’AI ti aiuta a moltiplicare l’efficacia dei tuoi messaggi. Non è più una gara a chi urla più forte, ma a chi riesce a costruire relazioni più personali. E qui i piccoli, spesso, hanno un vantaggio: la vicinanza e l’autenticità che i grandi fanno più fatica a comunicare.

Il bilanciamento tra sponsorizzazioni e rilevanza

“I grandi brand avranno sempre budget più importanti e pagheranno le AI per avere visibilità – chiarisce Pelati – però c’è una differenza sostanziale rispetto ad ora: con l’AI l’utente si aspetta un’interazione più utile e personalizzata, non solo pubblicità. Se un bot proponesse solo il brand che ha pagato di più, perderebbe credibilità. Quindi le piattaforme stesse avranno interesse a bilanciare: da una parte gli spazi sponsorizzati, dall’altra la rilevanza delle risposte”.

E qui si apre una finestra per i brand piccoli: se riescono a raccontare bene i propri valori e a lavorare su nicchie specifiche, possono diventare più forti proprio perché più autentici.

Le sfide organizzative dell’integrazione AI

L’e-commerce si avvia verso una fase in cui i consumatori interagiranno, presto, solo con il ‘motore di risposte’ e gli agenti diventeranno i principali visitatori dei siti web e di Internet.

“Tuttavia il percorso di maturazione è ancora lungo, in quanto le aziende non stanno ridisegnando i propri workflow per sfruttare il potenziale dell’AI, bensì la aggiungono a processi già esistenti di fatto esponendola agli errori fatti fino ad oggi” chiarisce Daniele Sghedoni che aggiunge “senza affrontare il debito organizzativo il potere della tecnologia resta bloccato”.

Il futuro del marketing: una triangolazione necessaria

È una sfida e un’opportunità insieme: i brand capaci di integrarsi in questo nuovo ecosistema potranno arrivare al consumatore in modo più mirato ed efficiente, sfruttando la capacità dell’AI di abbattere la complessità. Chi invece resterà ancorato ai vecchi paradigmi, rischia di essere oscurato da un algoritmo che non lo considera rilevante.

In questo scenario il marketing non scompare, ma cambia pelle. Non si tratta più solo di persuadere con una narrazione emozionale, ma di costruire un dialogo a tre: brand, agente e consumatore. Una triangolazione che richiede nuove competenze, dall’ottimizzazione semantica dei contenuti fino alla comprensione di come i modelli linguistici elaborano e restituiscono l’informazione.

La vera partita del marketing digitale nei prossimi anni si giocherà qui: non più (o non solo) sulle campagne paid e sul branding tradizionale, ma sulla capacità di dialogare efficacemente con gli agenti AI che stanno ridisegnando le regole dell’e-commerce. Un terreno ancora in costruzione, ma che già oggi offre una certezza: ignorarlo significa restare indietro in un mercato che si muove con la velocità, e l’intelligenza, delle macchine.

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