Per oltre vent’anni, l’e-commerce si è fondato su un gesto tanto semplice quanto potente: digitare una parola nella barra di ricerca. “Scarpe da corsa nere”, “cuffie bluetooth”, “giacca di pelle donna”: dietro quelle stringhe testuali si è costruita un’economia multimiliardaria, fatta di algoritmi di ranking, SEO, SEM e pubblicità mirata. Ma se quel gesto fosse destinato a diventare obsoleto?
Con l’annuncio di Amazon Lens Live, oggi disponibile soltanto negli Stati Uniti, il colosso di Seattle ha mostrato un futuro alternativo: si tratta di una funzione che va oltre la scansione degli oggetti con la fotocamera e materializza una tendenza ben più profonda. È il passaggio dall’e-commerce testuale all’e-commerce visuale, un cambio di paradigma che sposta il baricentro dalla parola scritta all’immagine, dal linguaggio al riconoscimento visivo.
Non è la prima volta che si parla di visual search. Google Lens, Pinterest Lens e numerose app di fashion retail hanno già sperimentato questo approccio. Naturalmente però, quando a spingersi in questa direzione è Amazon, con la sua capacità di distribuzione globale e il suo catalogo praticamente infinito, la posta in gioco cambia radicalmente. Vale dunque la pena chiedersi: è questo il futuro dello shopping online? E, soprattutto, quali promesse, quali rischi e quali implicazioni porta con sé?
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E ora si compra anche in Chatgpt
OpenAI apre lo shopping diretto dentro ChatGPT
Dal 29 settembre 2025 gli utenti americani di ChatGPT possono acquistare prodotti senza mai uscire dal chatbot. OpenAI ha infatti annunciato Instant Checkout, una nuova funzione che consente di comprare articoli da venditori statunitensi su Etsy e da alcuni merchant su Shopify direttamente all’interno della conversazione.
La novità è accompagnata dal lancio dell’Agentic Commerce Protocol, uno standard open source che permette ai negozi di integrare facilmente i propri prodotti in ChatGPT e renderli acquistabili in pochi click. I pagamenti sono gestiti da Stripe, che trasferisce i dati direttamente ai merchant, i quali mantengono così il controllo della relazione con i clienti.
Per il momento il servizio supporta solo l’acquisto di singoli articoli. Amazon e Walmart non hanno ancora aderito al protocollo, ma OpenAI punta a un futuro in cui gli agenti AI potranno gestire in autonomia l’intero processo d’acquisto, dall’ordine di un regalo fino alla prenotazione di un volo.
Con circa 700 milioni di utenti settimanali – il 9% della popolazione mondiale – e oltre un decimo degli utenti già interessati a fare acquisti, ChatGPT diventa sempre più un assistente personale per lo shopping. Una mossa che potrebbe ridisegnare l’equilibrio tra e-commerce tradizionale e intelligenza artificiale.
Come funziona la visual search e cosa cambia con Lens Live
La visual search si fonda sull’intelligenza artificiale applicata alla computer vision: le immagini, statiche o in movimento, diventano query di ricerca. Non occorre più che l’utente descriva con parole sue ciò che desidera acquistare perché è l’algoritmo a interpretare ciò che la fotocamera inquadra.
Nel caso di Amazon Lens Live, l’utente apre l’app Amazon Shopping, punta la fotocamera verso un oggetto e il sistema riconosce le caratteristiche visive in tempo reale, le confronta con miliardi di prodotti presenti sul catalogo e restituisce immediatamente un carosello di risultati. A supporto interviene Rufus, l’assistente conversazionale di Amazon, che arricchisce l’esperienza con spiegazioni sintetiche, confronti tra alternative e risposte a domande specifiche.
La differenza rispetto al “vecchio” Amazon Lens è sostanziale: non si tratta più di scattare una foto o caricare un’immagine e aspettare una risposta, perché qui l’esperienza è continua, fluida, immersiva e ogni contesto fisico diventa un potenziale punto vendita Amazon. In altre parole, Lens Live sposta la ricerca da un atto consapevole e puntuale a una pratica quotidiana, costante e pervasiva.
La promessa: shopping più naturale, più rapido, più intuitivo
La visual search nasce per risolvere un limite strutturale della ricerca testuale. Il linguaggio umano infatti è impreciso, culturalmente determinato, spesso incapace di descrivere in modo univoco ciò che desideriamo. Provare a tradurre in parole un oggetto che vediamo può essere un esercizio frustrante: una giacca che reputiamo beige può essere definita “sabbia”, “corda” o “tortora” da chi la vende; le dimensioni, i dettagli, lo stile rischiano di non essere considerati e andare perduti.
L’immagine riduce questa ambiguità perché è un linguaggio universale, comprensibile oltre le barriere linguistiche. Non spetta all’utente “indovinare” le parole giuste, ma basta mostrare l’oggetto, e ciò rende la ricerca più naturale e intuitiva, soprattutto in settori come la moda, l’arredamento, il design o l’elettronica, dove i dettagli visivi fanno la differenza.
Dal punto di vista del consumatore, la promessa è senza dubbio affascinante, per:
– l’immediatezza: l’esperienza di “vedo, inquadro, compro” accorcia drasticamente la distanza tra desiderio e azione.
– la possibilità di scoprire alternative e varianti che non sarebbero mai emerse digitando semplici keyword.
– la personalizzazione resa possibile dall’integrazione con un assistente AI come Rufus, che interpreta le preferenze implicite e suggerisce prodotti affini.
Si tratta sostanzialmente di un ecosistema che promette di anticipare i bisogni prima ancora che vengano espressi.
I rischi per il consumatore: dal sovraccarico agli acquisti impulsivi
Dietro questa apparente perfezione si celano però criticità significative. La prima riguarda il rischio di sovraccarico cognitivo: essere bombardati da un flusso costante di alternative visive può disorientare l’utente. Se già oggi molti consumatori si sentono sopraffatti dalle infinite opzioni di un motore di ricerca, cosa accadrà quando ogni oggetto intorno a noi si trasformerà in decine di possibili offerte simultanee?
Un secondo rischio è quello degli acquisti impulsivi. Amazon ha già reso celebre il “one-click purchase”, riducendo la frizione tra desiderio e transazione e, con Lens Live, porta questo principio all’estremo: basta un’inquadratura e un tap per portare a termine un acquisto. La dinamica non favorisce certo il consumo consapevole, ma spinge verso la gratificazione immediata e il consumo compulsivo.
Infine, c’è un tema di fiducia e trasparenza. L’utente può davvero sapere se i prodotti proposti sono i più rilevanti rispetto all’oggetto inquadrato, oppure se l’algoritmo privilegia brand che hanno pagato per la visibilità o marchi proprietari di Amazon? La mancanza di chiarezza sui criteri di ranking rischia di minare la credibilità dell’intero sistema.
Impatto sul retail fisico: lo showrooming 2.0
Il fenomeno dello showrooming (osservare un prodotto in un negozio fisico per poi acquistarlo online, magari a prezzo più conveniente) non è certo nuovo, ma con il visual search viene portato ad un livello superiore.Con una semplice inquadratura, ogni scaffale di un negozio tradizionale diventa automaticamente un catalogo Amazon. Questo significa che i retailer fisici rischiano di diventare, loro malgrado, showroom gratuiti per il marketplace, in cui il cliente entra, guarda, prova e poi con un gesto rapidissimo compra altrove, bypassando la filiera tradizionale.
Per i brand, la situazione può essere ancora più critica. Se non vendono su Amazon, rischiano di essere invisibili. Anche se il prodotto inquadrato è loro, il sistema proporrà comunque equivalenti presenti sul catalogo Amazon. Il risultato è una marginalizzazione dei marchi indipendenti e una concentrazione crescente a favore di chi accetta le regole del marketplace.
Questa dinamica è commerciale, ma anche politica. È legittimo che un singolo player possa trasformare l’intera esperienza fisica del consumo in un’estensione invisibile del proprio ecosistema digitale? Sembra un interrogativo che prima o poi arriverà sui tavoli delle autorità antitrust.
Privacy e sicurezza: la fotocamera, una finestra permanente
Il cuore pulsante del visual search è la fotocamera dello smartphone che diventa una finestra aperta sul mondo e, per questo, inevitabilmente, solleva delicate questioni di privacy e sicurezza.
Quando l’utente inquadra un oggetto, non viene catturato solo ciò che è in primo piano, ma anche lo sfondo e ciò che vi è intorno: ambienti domestici, volti, spazi privati. Questi dati contestuali, se raccolti e trattati, rappresentano una fonte di informazioni di straordinario valore per chi li controlla. Amazon dichiara che parte del riconoscimento avviene sul dispositivo, tuttavia non è chiaro fino a che punto i dati vengano trasmessi ai server centrali e con quali finalità.
Il rischio è quello di una profilazione avanzata, basata sia su ciò che cerchiamo o acquistiamo, ma anche su ciò che ci circonda quotidianamente. Un sistema che “vede ciò che noi vediamo” può costruire profili comportamentali e socio-economici con un livello di dettaglio senza precedenti.
In Europa, normative come il GDPR e il Digital Markets Act impongono vincoli molto più stringenti rispetto agli Stati Uniti. Se e quando Lens Live arriverà sul mercato europeo, le autorità dovranno valutare con attenzione proporzionalità, trasparenza e legittimità del trattamento dati. La domanda è se la tecnologia possa conciliarsi con un quadro regolatorio così rigoroso o se serviranno nuovi strumenti normativi.
La questione concorrenza: chi decide cosa vediamo?
La visual search non è atto neutrale, visto che chi controlla la lente attraverso la quale osserviamo i prodotti, controlla anche l’accesso al mercato.
Se Amazon gestisce la piattaforma, può decidere quali prodotti mostrare, in quale ordine e con quale priorità con il rischio del self-preferencing, ovvero la tendenza a privilegiare i propri marchi o i venditori più redditizi. In questo scenario, la concorrenza rischia di essere distorta, con un effetto lock-in che intrappola consumatori e brand dentro l’ecosistema Amazon.
Il pericolo più ampio è quello di un oligopolio tecnologico. Solo i grandi player globali hanno le risorse per sviluppare sistemi di visual search basati su AI e modelli di riconoscimento su scala planetaria. La conseguenza potrebbe essere una progressiva concentrazione del potere, che rende sempre più difficile per attori indipendenti entrare in gioco.
Etica e cultura del consumo: oltre la tecnologia
La visual search pone questioni culturali ed etiche, oltre che tecnologiche o regolatorie.
Se ogni cosa che vediamo può trasformarsi istantaneamente in potenziale acquisto, rischiamo di ridurre il mondo a un catalogo di prodotti. La bellezza di un oggetto, l’esperienza estetica di un capo d’abbigliamento o di un arredo, finiscono immediatamente inglobate nella logica del consumo, in una logica in cui vedere diventa possedere.
In questo scenario lo spazio per il consumo consapevole si riduce drasticamente. Il desiderio non ha più il tempo di sedimentare, perché viene immediatamente tradotto in transazione. La riflessione critica, che dovrebbe accompagnare ogni atto d’acquisto (“ne ho davvero bisogno?”, “questo prodotto ha un ciclo di vita sostenibile?”, “quali sono le condizioni di produzione?”) rischia di essere cancellata da un flusso di gratificazione istantanea.
La visual search, nella misura in cui accelera il ciclo desiderio-acquisto, potrebbe alimentare modelli di consumo iper-accelerati e poco sostenibili. Se ogni oggetto diventa immediatamente acquistabile, si moltiplicano le opportunità di accumulo, spreco e sostituzione prematura di beni ancora perfettamente funzionali. L’impatto ambientale di questo modello è evidente: più spedizioni, più resi, più packaging, più prodotti a breve ciclo di vita.
L’interfaccia della visual search privilegia l’immediatezza e raramente offre informazioni sul ciclo produttivo, sull’origine dei materiali, sull’impronta ecologica del prodotto. Il rischio è che il consumatore sia educato a guardare solo l’estetica e il prezzo, dimenticando gli impatti nascosti lungo la filiera.
Eppure, la stessa tecnologia potrebbe anche essere usata in senso opposto: come strumento per educare a un consumo più consapevole, se si immagina una visual search che non mostri solo prodotti simili, ma evidenzi anche il loro punteggio di sostenibilità, la durabilità dei materiali, o che proponga alternative circolari e di seconda mano. La tecnologia resterebbe la stessa ma la differenza la farebbe il modo in cui viene progettata e nelle metriche che privilegia. In questo senso la visual search potrebbe diventare un’occasione come alleata per una nuova cultura della responsabilità. Dipenderà dalle scelte dei grandi player e dalla
Il lusso davanti alla visual search: efficienza o esperienza?
Se l’e-commerce tradizionale ha già ridefinito profondamente le abitudini di acquisto di milioni di persone, il lusso resta un segmento più refrattario a logiche di pura efficienza transazionale. In questo settore la partita non si gioca soltanto sull’accessibilità del prodotto, ma sulla costruzione di un’esperienza di relazione e di fiducia.
Il cliente del lusso non cerca semplicemente “la borsa più simile” a quella vista per strada. Desidera comprendere la storia del brand, il valore dei materiali, la rarità del modello. Ancora di più, vuole sentirsi parte di una comunità esclusiva, in dialogo con un venditore di fiducia capace di interpretare non solo i bisogni espressi, ma anche quelli latenti.
In questo contesto, la visual search rischia di apparire come uno strumento troppo impersonale. Puntare la fotocamera su una borsa Hermès e ricevere in risposta una lista di alternative “simili” su Amazon tradisce lo spirito stesso del lusso, che vive di differenza, non di equivalenza. Il lusso non si compra per somiglianza, ma per unicità.
Eppure, sarebbe riduttivo liquidare la questione come incompatibilità totale, perché una fascia di clienti più giovane, digital-first e culturalmente fluida potrebbe apprezzare strumenti che semplificano la ricerca di prodotti iconici, magari come punto di partenza prima di approdare alla boutique. In questo senso, la visual search potrebbe diventare un ponte tra scoperta digitale e acquisto fisico, non un sostituto del rapporto personale.
La vera sfida per i marchi di lusso è come declinare questa tecnologia. Integrarla come servizio di ispirazione, di “catalogo intelligente”, o come strumento di storytelling visivo potrebbe rafforzare l’esperienza complessiva, senza che vada a sostituire la componente relazionale e rituale che resta centrale.
In sintesi, il cliente del lusso probabilmente non amerà usare Lens Live per acquistare un prodotto esclusivo con un tap, però potrebbe apprezzare la possibilità di utilizzare la visual search per esplorare collezioni, confrontare dettagli o avvicinarsi al brand, prima di vivere in boutique quel momento irripetibile che distingue il lusso dal consumo di massa.
Scenari futuri: dall’AR al metaverso
Il prossimo sviluppo del visual search sembra già essere l’integrazione con la realtà aumentata (AR), che, con strumenti come il virtual try-on (già diffuso in moda, beauty, arredamento, gioielli, automotive, healthcare), consente di provare varianti di colore, dimensioni e stile direttamente in sovrapposizione visiva. Il commercio ibrido fisico-digitale potrebbe spingere i negozi ad “accettare” la logica Lens, integrando ad esempio il flusso Amazon nel percorso d’acquisto dei clienti.
Altri settori, dall’automotive all’arredamento fino al turismo, potrebbero sfruttare la visual search per rendere più immediata l’esperienza d’acquisto e l’interoperabilità con visori AR/VR aprirebbe scenari ancora più radicali: basterebbe guardare un oggetto attraverso un visore per ricevere offerte personalizzate e immediate.
Una lente che ingrandisce le contraddizioni – Amazon Lens Live e, più in generale, la visual search, sono una lente che ingrandisce le contraddizioni del nostro tempo. Per i consumatori, rappresenta la promessa di una semplicità e di un’immediatezza mai viste prima, ma questa stessa immediatezza rischia di trasformarsi in un meccanismo di dipendenza. L’acquisto non è più un atto meditato ma un gesto istintivo, quasi riflesso, e questo riduce lo spazio per il consumo consapevole.
Per i retailer, la visual search è al tempo stesso un’opportunità e una minaccia. Opportunità, perché consente di raggiungere nuovi pubblici e di trasformare ogni contesto in un potenziale punto vendita digitale. Minaccia, perché se a dominare l’infrastruttura sono i grandi marketplace, i negozi fisici rischiano di essere relegati a semplici showroom inconsapevoli, spogliati della capacità di governare il percorso d’acquisto.
Per i regolatori, infine, questo è un terreno scivoloso che richiede nuove cornici normative. La velocità con cui l’innovazione tecnologica procede rischia di lasciare indietro il diritto, proprio laddove il bilanciamento tra tutela del consumatore, concorrenza e innovazione è più delicato.
La visual search è senza dubbio destinata a rappresentare il futuro dell’e-commerce e, in larga parte, già lo vediamo accadere. La questione decisiva chi avrà il potere di governare questa tecnologia e questo futuro, con quali regole e in quale direzione.
Non siamo affatto lontani dalle sagge quanto ciniche riflessioni di Don Draper in Mad Men, quando affermava: “Advertising is based on one thing: happiness… It’s freedom from fear. It’s a billboard on the side of the road that screams with reassurance that whatever you’re doing is okay.” La pubblicità, negli anni ’50 – ‘60, non vendeva solo prodotti, ma emozioni, rassicurazioni, desideri ancora inespressi. Oggi la visual search promette di fare esattamente questo, ma con la forza degli algoritmi, anticipando i nostri desideri latenti e trasformando lo sguardo stesso in atto di consumo.
La domanda, allora, resta aperta: siamo davvero disposti a delegare alle piattaforme la soddisfazione dei nostri bisogni e persino la loro anticipazione?











