Direttiva Omnibus

False recensioni online, la Ue dice basta: le novità per eCommerce e consumatori

In applicazione dal 28 maggio (anche se l’Italia deve ancora adeguarsi) la Direttiva Omnibus introduce nuove tutele per i consumatori che sempre più spesso, prima di effettuare un acquisto, leggono le recensioni di altri utenti. Molti ignorano che queste possono essere pilotate a fini di marketing: ecco cosa cambia

Pubblicato il 14 Lug 2022

Monia Donateo

Polimeni.Legal

ecommerce

Oltre il 90% degli utenti dichiara di procedere con un acquisto dopo aver letto le recensioni. Quindi senza dubbio le recensioni sono una componente fondamentale del nostro processo di acquisto e selezione delle aziende.

Le modalità con cui vengono collezionate e presentate all’utente sono decisive, tant’è che la Commissione europea è intervenuta ponendo delle regole con la Direttiva UE 2019/2161 in vigore dal 7 maggio 2020 e in applicazione dal 28 maggio scorso.

False recensioni online, così alterano il mercato: quali tutele per acquisti sicuri

La Direttiva introduce anche regole fondamentali a tutela dei consumatori in materia di indicazione dei prezzi dei prodotti ovvero l’obbligo di evidenziare il mutamento dei prezzi negli ultimi 30 giorni.

Certamente ogni nuova regola può apparire per il titolare di eCommerce gravosa ed onerosa da implementare, ma in realtà può tramutarsi in un’opportunità di fidelizzazione. L’adeguamento, oltre che per evitare sanzioni, è un ottimo strumento di marketing per accrescere la fiducia nei propri consumatori. Parola chiave: trasparenza!

L’iter legislativo e ambito di applicazione

La Direttiva Omnibus è entrata in vigore il 7 maggio 2020 con termine di recepimento da parte di tutti gli Stati europei entro il 28 maggio 2022. Alcuni Stati europei, come Francia e Germania, hanno già apportato le modifiche nel proprio ordinamento. In Italia, ad oggi, il disegno di legge che delega il Governo alla ricezione è ancora in esame in commissione parlamentare.

Probabilmente, il contenuto della nostra legge, per quanto concerne le recensioni e la nuova politica sui prezzi, sarà recepito così com’è, senza ulteriori dettagli applicativi.

L’obiettivo della normativa è una migliore applicazione e modernizzazione delle norme dell’Unione in materia di protezione dei consumatori, difatti questa direttiva, che si applica appunto ai rapporti commerciali B2C, fa parte del programma di “Revisione del diritto dei consumatori dell’UE” (New Deal).

Nel concreto, le principali novità possono riassumersi così:

  • recensioni: i merchant dovranno informare i consumatori se hanno o non hanno implementato sulla propria piattaforma procedure che garantiscano che le recensioni siano verificate, ovvero provengano da consumatori reali;
  • offerte a pagamento: se la piattaforma di vendita compara le offerte è obbligata ad indicare i principali parametri che determinano la classificazione e quindi se vi sono “posizioni a pagamento”;
  • personalizzazione dei prezzi: i professionisti possono personalizzare il prezzo delle loro offerte per determinati consumatori o specifiche categorie di consumatori sulla base di processi decisionali automatizzati e di profilazione del comportamento, a patto che ci sia un’informativa ad hoc;
  • sconti: ogni annuncio di riduzione di un prezzo deve indicare il prezzo precedente applicato per un determinato periodo di tempo (comunque non inferiore a 30 giorni) prima dell’applicazione di tale riduzione (il sito Zalando è un esempio “virtuoso” di applicazione su tale fronte);
  • garanzie dei rimedi a tutela del consumatore: il consumatore deve poter ottenere il risarcimento dei danni e, se pertinente, una riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto, in modo proporzionato ed efficace.

Recensioni: qualche dato per comprendere il fenomeno

Da un autorevole studio condotto su 3.099 partecipanti provenienti da Italia, Germania, Olanda, Francia e Spagna, è ormai assodato che il 90% di tutti noi legge le recensioni prima del click di pagamento.

Ma quanti – anche leggendo più e più recensioni – si chiedono “Saranno reali? Ci si può fidare?”

Il dubbio è lecito, basti pensare agli store di like e recensioni positive o allo scandalo di Tripadvisor di qualche anno fa dove la gran parte delle recensioni si scoprirono essere state acquistate.

Molti marketplace, come Amazon, ogni anno investono miliardi per intercettare pratiche commerciali di compravendita di recensioni false che potrebbero andare dritte sulla propria piattaforma. Ciononostante, il fenomeno risulta ancora dilagante.

Anche la Commissione Europea ha condotto uno screening sulle recensioni. Ebbene:

  • 104 su 223 dei siti esaminati non informano i consumatori sulle modalità di raccolta e trattamento delle recensioni.
  • Solo 84 siti rendono tali informazioni accessibili ai consumatori nella pagina di recensione stessa, mentre il resto le menziona in “caratteri piccoli”, ad esempio nei loro termini e condizioni legali.
  • 118 siti non contengono informazioni su come prevenire le recensioni false. In questi casi i consumatori non hanno la possibilità di verificare se le recensioni siano state scritte da consumatori che hanno effettivamente utilizzato il prodotto o servizio.
  • 176 siti indicano che alcune recensioni sono stimolate (ad es. dietro corrispettivo di un buono).

Un passo indietro: pratica commerciale scorretta

Prima della Direttiva, era lecito inserire in maniera arbitraria le recensioni? Certamente no.

In attesa del recepimento della nuova normativa, allo stato, sebbene non ci siano specifiche indicazione su come raccogliere e mostrare le recensioni, la precedente Direttiva 2005/29/CE e il nostro attuale Codice del Consumo (D.lgs. 206/2005, artt. 21-23) configurano come pratica commerciale sleale qualsiasi comportamento dell’operatore online che incida negativamente sul comportamento dell’utente medio (“una pratica è sleale quando falsa o è idonea a falsare in misura rilevante il comportamento economico del consumatore medio in relazione al prodotto”).

In particolare, l’art. 7 (Omissioni ingannevoli) della Direttiva 2005/29/CE recita “È considerata ingannevole una pratica commerciale che nella fattispecie concreta…ometta informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno in tale contesto per prendere una decisione consapevole di natura commerciale e induca o sia idonea ad indurre in tal modo il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso… Una pratica commerciale è altresì considerata un’omissione ingannevole quando un professionista occulta o presenta in modo oscuro, incomprensibile, ambiguo o intempestivo le informazioni rilevanti di cui al paragrafo 1 … o non indica l’intento commerciale della pratica stessa, qualora non risultino già evidenti dal contesto e quando, in uno o nell’altro caso, ciò induce o è idoneo a indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.”

Se ne deduce che anche l’assertività, ovvero cercare di persuadere l’utente medio circa la attendibilità delle recensioni, configura un’informazione ingannevole soggetta a sanzione.

Tuttavia, l’assenza di una politica specifica e dettagliata sulle recensioni ha dato seguito a contrasti giurisprudenziali in relazioni a medesimi casi di specie, in particolare, ricordiamo il citato caso Tripadvisor.

Nel 2014, l’AGCM condannava la società per non essersi attivamente adoperata a verificare le recensioni o quantomeno ad informare i propri utenti circa l’assenza di idonee garanzie sull’attendibilità delle stesse.

Successivamente il TAR di Roma, nel 2015, annulla il provvedimento sanzionatorio e dispensa la società – e in genere tutte quelle che non impiegano strumenti di controllo delle recensioni – dalla responsabilità correlata a recensioni fake, assumendo come sufficiente l’avviso “in ordine alla natura orientativa dei commenti”.

È indubbio che, in questo senso, la Direttiva UE 2019/2161, mette un punto e risolve a monte questo tipo di “diatribe”.

Recensioni secondo la direttiva Ue 2019/2161: come mettere in pratica le disposizioni

La nuova regola dispone testualmente che “se un professionista fornisce l’accesso alle recensioni dei consumatori sui prodotti, sono considerate rilevanti le informazioni che indicano se e in che modo il professionista garantisce che le recensioni pubblicate provengano da consumatori che hanno effettivamente acquistato o utilizzato il prodotto”.

Recensioni online fasulle, problema cronico: ecco come difendersi

Come si tramuta in applicazione pratica sul proprio ecommerce? Chiariamo subito che la nuova legge non introduce alcun obbligo di implementazione di un sistema di verifica o certificazione delle recensioni nell’iter di raccolta e loro pubblicazione.

Di contro, vige l’obbligo di informare specificamente se non si adotta alcuna procedura in tal senso, con lo scopo di rendere consapevoli i consumatori che la piattaforma non può assicurare, ad esempio, che i pregi e le qualità di un prodotto o servizio si basino su acquisti verificati. In questo modo, l’acquisto diventa più consapevole e non indotto in maniera automatica solo da ciò che si legge nei commenti di altri utenti.

Quindi, in questi casi, occorre inserire una dicitura del seguente tenore sia accanto al box recensioni che nei termini e condizioni (si consiglia l’inserimento di una clausola ad hoc):

“Purtroppo non possiamo verificare l’autenticità di tutte le recensioni che riceviamo”.

Se ci sono meccanismi di verifica “adeguati e proporzionati”, occorre invece spiegare quali sono e come funzionano o quale tool/plugin viene utilizzato in grado di garantire l’applicazione di sistemi di verifica idonei.

Ad esempio: “Utilizziamo XXX come un fornitore di servizi indipendente per ottenere recensioni. XXX ha adottato misure per garantire che queste recensioni siano genuine. Leggi qui più informazioni (link al fornitore terzo)

Rimane ovviamente salvo il divieto di inserire recensioni false (si rientra nella previgente disciplina della pratica commerciale scorretta ai sensi degli artt. 21-23 del Codice del Consumo).

In sintesi:

  • sono vietate, in genere, le recensioni false per scopo di marketing;
  • è vietata qualsiasi attività mirata ad incitare le raccomandazioni positive (non si può chiedere di ricevere una recensione positiva né one to one né su grandi numeri). Tuttavia, se la recensione viene stimolata a seguito di un rapporto contrattuale come quello di influencer marketing, affiliazione etc., occorre scriverlo espressamente;
  • è vietata ogni pratica di manipolazione delle recensioni, quindi, ad esempio, non si possono selezionare recensioni inserendo sole le migliori sulla propria piattaforma (come nel caso in cui vengono importate da Facebook o Google);
  • è vietato estrapolare i commenti e i like dai social non verificati senza segnalare che la piattaforma non può garantire l’autenticità degli stessi;
  • se la recensione è stimolata da premio o buono sconto, questo dovrà essere segnalato nella recensione stessa (quindi occorre specificare ad esempio che “questo utente ha ricevuto un buono sconto” inserendo la dicitura tra parentesi, sotto il nome dell’utente che ha recensito);
  • l’eCommerce, se esplicita di utilizzare strumenti di verifica delle recensioni, deve essere realmente in grado di dimostrare – in caso di controllo da parte dell’autorità – che le stesse pervengono da acquirenti reali;
  • è vietato attribuire, quindi forzare, una recensione positiva su prodotti diversi da quelli a cui era destinata (si rientra nel divieto di manipolazione).

Sanzioni

Posto che, nel momento in cui si scrive, l’Italia è in fase di recepimento della Direttiva e che questa prevede ulteriori oneri a carico degli operatori online (come, ad esempio, l’avviso sul mutamento degli sconti nei 30 giorni precedenti all’ultimo prezzo pubblicato) l’iter predisposto dall’UE prevede uno screening dei siti per identificare le violazioni del diritto dei consumatori in un determinato mercato online. In particolare, le autorità nazionali dovranno chiedere ai professionisti di intraprendere azioni correttive in assenza delle quali verranno applicate sanzioni sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive.

La Direttiva delega l’entità delle sanzioni a ciascun paese e stabilisce come minimo edittale (da cui partire per sanzionare) il 4% del fatturato annuo della società sanzionata tenendo in considerazione, caso per caso, la natura e la durata della violazione. Si dovrà tenere in considerazione, ai fini dell’applicazione della sanzione, il comportamente assunto dalla piattaforma quindi degli eventuali rimedi posti in essere e di eventuali azioni “recidive”.

Conclusioni

Anche se l’Italia non si è ancora adeguata, il cambiamento è dietro l’angolo. Il suggerimento è quello di considerare queste novità come un’opportunità – e non solo per evitare future sanzioni – con l’ottica di migliorare il rapporto con i propri clienti. Per farlo occorre già iniziare ad analizzare il proprio sito ed apportare eventuali correzioni o integrazioni in tempo utile.

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