L’avvento dei modelli di intelligenza artificiale generativa sta trasformando radicalmente il modo in cui gli utenti cercano e ricevono informazioni online. Se fino a pochi anni fa l’obiettivo dei brand era scalare la classifica di Google, oggi la sfida è farsi includere nelle risposte sintetiche prodotte da sistemi come ChatGPT, Gemini o Bing Copilot. Questo passaggio, descritto da Boobesh Ramadurai, vicepresidente di LatentView Analytics, durante il podcast «Confessions of a B2B Entrepreneur» condotto da Tom Hunt, segna la nascita di una nuova disciplina: la generative engine optimization.
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Dal search al generative: un cambiamento di paradigma
«Tutte le aziende hanno sempre investito molto nella SEO per arrivare tra i primi dieci risultati di Google», osserva Ramadurai. «Ma il modo in cui cerchiamo sta cambiando: non ci limitiamo più a digitare una parola chiave e scorrere i link, leggiamo direttamente il contesto che l’AI ci fornisce».
Secondo il manager di LatentView, il comportamento degli utenti si è modificato in maniera profonda. Se già il 95% delle persone tendeva a fermarsi alla prima pagina dei risultati, oggi molti non cliccano nemmeno più sui link. L’attenzione si concentra sul testo generato dal modello che sintetizza le informazioni. Il valore del posizionamento tradizionale si riduce e cresce l’importanza di essere riconosciuti dagli algoritmi come fonti autorevoli da includere nelle risposte.
Che cos’è la Generative Engine Optimization
La generative engine optimization non è un semplice aggiornamento del SEO, ma una ridefinizione delle logiche di visibilità. L’obiettivo non è più soltanto comparire in una SERP, ma diventare parte integrante del contenuto che i modelli generano in tempo reale. Per riuscirci, i brand devono fornire ai sistemi informativi chiari, strutturati e coerenti, così da essere considerati attendibili durante il processo di sintesi.
Ramadurai spiega che aziende e professionisti stanno già «imparando a posizionarsi non più nel motore di ricerca, ma nel motore generativo», e questo implica una strategia completamente nuova.
Un diverso modo di cercare e di rispondere
La trasformazione è anche linguistica. Gli utenti non digitano più stringhe di parole, ma formulano domande complesse in linguaggio naturale. I modelli, a loro volta, non restituiscono elenchi, ma un testo che unisce informazioni da più fonti. In questo scenario, la capacità di fornire contenuti che possano essere facilmente interpretati e inclusi diventa decisiva.
Il concetto di rilevanza si sposta: non basta avere un sito ben indicizzato, occorre diventare una fonte che il modello riconosce come affidabile. Da qui la necessità di pensare a contenuti ottimizzati per gli LLM, non solo per i motori di ricerca.
Le nuove leve della visibilità
Per Ramadurai, il futuro della comunicazione digitale si giocherà sulla capacità di nutrire i modelli con dati e contenuti adatti a essere riutilizzati. Questo significa lavorare su più livelli. Da un lato, la struttura tecnica dei siti e dei testi, con l’uso di metadata e markup che consentano all’AI di comprendere meglio il contenuto. Dall’altro, la costruzione di un ecosistema di autorevolezza che renda il brand citabile e credibile.
Nell’intervista emerge anche come il concetto di “brand authority” assuma un peso diverso. Essere menzionati da fonti di rilievo, comparire in contesti digitali affidabili e mantenere coerenza semantica diventa fondamentale per aumentare le probabilità di essere inclusi nelle risposte generate dagli algoritmi.
Dal posizionamento ai test con i prompt
Il lavoro dei marketer non si limita a produrre contenuti. Per verificare l’efficacia delle strategie, Ramadurai suggerisce di utilizzare gli stessi modelli come strumenti di analisi. È possibile formulare domande tipiche nei sistemi generativi e osservare se e come il brand compare. Una sorta di “prompt testing” che sostituisce i tradizionali report di ranking SEO.
In parallelo, le aziende devono sviluppare metodi di monitoraggio delle citazioni all’interno delle risposte AI, in modo da capire la frequenza con cui appaiono, il contesto e la coerenza con l’identità desiderata.
Nuove metriche da misurare
Il passaggio al GEO porta con sé indicatori inediti. Accanto alle metriche tradizionali, come traffico organico e tasso di conversione, diventano rilevanti misure come lo share of generated answer, ovvero la percentuale di risposte in cui il brand viene citato. Anche la qualità della citazione è cruciale: non basta comparire, bisogna verificare come il marchio viene descritto e se l’informazione trasmessa è corretta.
Ramadurai sottolinea che la sfida non riguarda solo i marketer: «Tutte le aziende stanno cercando di capire come entrare nei testi generati dalle AI. È una corsa in evoluzione, e tutti stiamo imparando».
Impatti organizzativi e culturali
La generative engine optimization non è una competenza tecnica confinata al team SEO. Richiede un cambiamento più ampio, che coinvolge comunicazione, PR e gestione dei dati. I contenuti non vanno più pensati solo come pagine web da posizionare, ma come asset di training per i modelli, elementi che contribuiscono a definire il modo in cui l’AI costruisce la sua rappresentazione del brand.
Secondo LatentView, questo cambio di prospettiva comporta anche una ridefinizione del dialogo interno alle aziende. I reparti marketing devono collaborare più strettamente con chi si occupa di dati e con chi cura la reputazione digitale, per assicurare che le informazioni fornite siano non solo tecnicamente corrette, ma anche in linea con l’immagine e i valori del brand.











