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Governance AI: così Cina e Usa si contendono l’ordine globale



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La proposta cinese di una governance multilaterale sull’IA entra in conflitto con il modello statunitense basato su contenimento e alleanze. Si delinea una contesa globale per il controllo normativo e tecnologico dell’intelligenza artificiale

Pubblicato il 29 lug 2025

Gabriele Iuvinale

Senior China Fellows at Extrema Ratio

Nicola Iuvinale

Senior China Fellows at Extrema Ratio



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Nel contesto della Conferenza mondiale sull’intelligenza artificiale 2025 a Shanghai, la Cina ha lanciato la proposta di istituire un’Organizzazione mondiale per la cooperazione sull’IA, promuovendo un modello di governance multilaterale basato sulla “sovranità informatica” e sull’uso dell’IA come bene pubblico globale, con implicazioni evidenti sul controllo narrativo.

In risposta, gli Stati Uniti, con il piano “Winning the AI Race”, mirano a rafforzare la propria supremazia tecnologica attraverso alleanze e severe restrizioni sulle esportazioni verso la Cina. Questo scontro non si limita all’innovazione, ma definisce due visioni opposte per il futuro dell’IA e dell’ordine globale, con profonde ricadute etiche, militari e geopolitiche, mentre altri attori come l’Unione Europea cercano una “terza via”.

La proposta cinese di governance multilaterale dell’IA

Nel cuore del XXI secolo, l’intelligenza artificiale (IA) è emersa non solo come la tecnologia più trasformativa dei nostri tempi, ma anche come il nuovo epicentro di una contesa geopolitica sempre più accesa tra le due maggiori economie mondiali: Cina e Stati Uniti. Questa rivalità trascende il mero sviluppo tecnologico, riflettendo visioni fondamentalmente divergenti sulla futura governance globale e sull’ordine internazionale stesso. Mentre Pechino, con una mossa strategica annunciata il 27 luglio scorso, propone la creazione di un organismo di cooperazione globale sull’IA per plasmare le regole del gioco a proprio vantaggio, Washington risponde con un piano, “Winning the AI Race“, focalizzato sul mantenimento della propria supremazia tecnologica e su un rigoroso contenimento degli avversari.

L’iniziativa cinese non è un fatto isolato, ma si inscrive in una più ampia strategia del Partito Comunista Cinese (PCC) per rimodellare il sistema internazionale esistente. Attraverso un’azione diplomatica mirata, che include il posizionamento di funzionari in ruoli chiave presso agenzie ONU come l’ITU e l’ICAO, la Cina cerca di riscrivere le norme globali, promuovendo concetti come la “sovranità informaticain netto contrasto con l’ideale occidentale di un Internet libero e aperto. Dall’altra parte, gli Stati Uniti, attraverso il loro piano d’azione sull’IA presentato il 23 luglio 2025, puntano a rafforzare la collaborazione con gli alleati e, al contempo, a imporre severe restrizioni sulle esportazioni di tecnologie IA e semiconduttori, specialmente verso la Cina. Questa dinamica sta creando due schieramenti distinti, con Pechino che cerca di unire il “Sud del mondo” e i paesi della “Belt and Road” sotto un ombrello di governance dell’IA favorevole ai propri interessi, e Washington che mira a consolidare un blocco di alleati basato sulla propria leadership tecnologica e su una politica di contenimento.

Questa corsa non è priva di profonde implicazioni etiche, di sicurezza e di impatto sui diritti umani, specialmente quando l’IA viene impiegata per la sorveglianza o in contesti militari. Inoltre, la reazione di altri attori globali, come l’Unione Europea, sarà cruciale nel determinare la futura architettura della governance dell’IA. Per comprendere appieno la portata di questa contesa e le sue implicazioni globali, l’analisi si concentra sulle strategie, le motivazioni e le mosse concrete di entrambe le superpotenze. L’iniziativa cinese per un nuovo organismo sull’IA si presenta come la punta di diamante di una ben più complessa e ambiziosa strategia per plasmare l’ordine internazionale del futuro.

L’espansione della strategia cinese negli organismi internazionali

La Conferenza mondiale sull’intelligenza artificiale 2025 (WAIC 2025) e l’Incontro di alto livello sulla governance globale dell’IA si sono tenuti a Shanghai dal 26 al 28 luglio in diverse sedi prestigiose, tra cui il Centro Expo, il Centro Espositivo e Congressuale della World Expo e l’area West Bund nel distretto di Xuhui. Giunta alla sua settima edizione, la WAIC si è confermata una delle principali piattaforme internazionali dedicate all’innovazione, alla collaborazione e allo scambio di idee nel campo dell’intelligenza artificiale.

L’evento ha mostrato la notevole spinta cinese nel settore: hanno partecipato oltre 800 aziende, di cui più della metà provenienti da fuori Shanghai o dall’estero. I visitatori hanno avuto l’opportunità di scoprire più di 3.000 prodotti IA d’avanguardia, tra cui oltre 40 modelli linguistici su larga scala, 50 dispositivi smart, 60 robot smart e oltre 100 nuove tecnologie presentate per la prima volta in Cina o a livello mondiale. Già nella giornata di apertura, il 26 luglio, robot e altri prodotti all’avanguardia sono stati al centro dell’attenzione, con oltre 80 nuove creazioni che hanno fatto il loro debutto. La conferenza ha accolto oltre 1.570 ospiti da 73 paesi e regioni, con un’area espositiva che ha raggiunto una superficie record di 70.000 metri quadrati.

La conferenza è stata articolata in quattro padiglioni principali, ciascuno dedicato a un diverso ambito dell’ecosistema dell’IA:

  • Tecnologie di base (H1). Una vetrina delle innovazioni IA più avanzate proposte da leader mondiali come Google, Amazon Web Services e Cisco, accanto ai principali innovatori cinesi come Alibaba, Huawei, Ant Group, SenseTime e iFLYTEK.
  • Applicazioni industriali (H2). Un’esposizione delle applicazioni concrete dell’IA nei settori produttivi e dei servizi, con la partecipazione di aziende come China Mobile, China Unicom e China Telecom, insieme a colossi internazionali come Siemens e Tesla, e a case automobilistiche di punta come Li Auto e Geely.
  • Terminali intelligenti (H3): Uno sguardo sul futuro della robotica e dell’intelligenza incarnata. I visitatori hanno potuto interagire con robot di Unitree Robotics, Fourier Intelligence e Mech-Mind, oltre a occhiali smart di XREAL e Lingban Technology e postazioni di gioco immersive.
  • Connessioni universali (H4): Uno spazio dedicato a startup, investitori e collaboratori intersettoriali, con eventi di matchmaking, incontri riservati, lanci di prodotti, richieste di acquisto e demo dal vivo.

La WAIC 2025 ha proposto anche oltre 100 forum tematici, con la partecipazione di più di 1.200 esperti da tutto il mondo, inclusi 12 vincitori del Premio Nobel o del Premio Turing, tra cui spicca Geoffrey Hinton, riconosciuto come il “padre dell’IA”. Per la prima volta, la conferenza ha incluso sessioni dedicate ai giovani pensatori, riunendo CEO, innovatori emergenti e leader di pensiero internazionali per discutere argomenti come l’evoluzione dei grandi modelli di IA, l’intelligenza incarnata e il calcolo quantistico. I premi aggiornati hanno visto il prestigioso Premio SAIL registrare una forte partecipazione internazionale (17% delle 240 candidature dall’estero) e il Premio per il Miglior Articolo Giovane raccogliere 199 contributi, in gran parte da autori sotto i 30 anni, con numerosi articoli già pubblicati in riviste accademiche di alto profilo.

Infine, l’iniziativa “WAIC City Walk” ha proposto percorsi tematici distribuiti nei 16 distretti di Shanghai, con 128 checkpoint interattivi, invitando i visitatori a esplorare l’area tematica “WAIC Li”, dove robot hanno scritto calligrafie, suonato tamburi tradizionali, servito bevande e preparato piatti, fondendo tradizione culturale e tecnologie all’avanguardia. Nel “Mercato delle applicazioni”, il pubblico ha potuto sperimentare da vicino le potenzialità dell’IA, con robot comandati vocalmente che cucinavano, installazioni artistiche che reagivano all’umore e occhiali smart capaci di cambiare display con un semplice comando vocale, offrendo un’anteprima della vita intelligente del futuro.

In questo contesto di grande visibilità e ambizione tecnologica, lo scorso 27 luglio, il premier Li Qiang ha divulgato un piano d’azione globale per l’IA. Questo documento non è solo un’ambiziosa tabella di marcia per lo sviluppo tecnologico interno, ma anche un appello esplicito alla cooperazione internazionale nella regolamentazione e nello sviluppo dell’IA. Il premier Li, nel suo discorso inaugurale, ha ufficialmente proposto la creazione di un’Organizzazione mondiale per la cooperazione sull’intelligenza artificiale, volta a promuovere la collaborazione globale e la governance condivisa nello sviluppo dell’intelligenza artificiale.

Li ha annunciato la disponibilità della Cina a collaborare con altre nazioni nella ricerca tecnologica congiunta e a promuovere una crescita inclusiva nel settore dell’intelligenza artificiale. “Non importa quanto scienza e tecnologia cambino, dovrebbero essere utilizzate e controllate dagli esseri umani e sviluppate nella direzione del bene e dell’inclusività”, ha affermato. “L’intelligenza artificiale dovrebbe anche diventare un prodotto pubblico internazionale a beneficio dell’umanità”. Questa iniziativa, parte del più ampio piano cinese “AI plus”, mira a integrare profondamente la tecnologia IA in tutti i settori dell’economia e della società. Il premier Li ha inoltre ribadito la direttiva del presidente Xi Jinping di promuovere l’innovazione dell’intelligenza artificiale, dando priorità al suo impiego sicuro ed etico. Una dichiarazione rilasciata dal Ministero degli Affari Esteri cinese ha evidenziato il riferimento di Li ai rapidi progressi nei modelli linguistici di grandi dimensioni, nei sistemi di intelligenza artificiale multimodale e nell’intelligenza incarnata come forze trasformative che stanno rimodellando le economie e la vita quotidiana, sottolineando come queste scoperte presentino sia opportunità che rischi senza precedenti, rendendo necessari sforzi coordinati a livello globale.

Li ha delineato tre priorità strategiche per questa nuova governance:

  1. Ampliare il libero accesso alle tecnologie di intelligenza artificiale.
  2. Rafforzare la cooperazione internazionale nella ricerca e nello scambio di talenti.
  3. Stabilire un quadro di governance globale unificato per l’intelligenza artificiale.

La Cina si è esplicitamente detta disposta a offrire assistenza ad altre nazioni, in particolare quelle del cosiddetto “Sud del mondo” – ovvero le economie meno sviluppate e quelle al di fuori dell’orbita tradizionale statunitense ed europea – per l’implementazione di questa tecnologia. Questo approccio riflette una chiara intenzione di costruire alleanze e guadagnare influenza attraverso la condivisione tecnologica, posizionando la Cina come leader di un nuovo ordine tecnologico globale. Tale strategia si lega strettamente alla più ampia iniziativa cinese della “Digital Silk Road”, che mira a esportare infrastrutture digitali e, con esse, potenzialmente anche i modelli di governance dei dati e di sorveglianza che Pechino applica a livello nazionale. A rafforzare l’appello cinese per un più ampio consenso sulla governance dell’intelligenza artificiale, è arrivato un messaggio registrato del Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, che ha ribadito la necessità di uno sviluppo dell’intelligenza artificiale inclusivo e sicuro attraverso una forte collaborazione internazionale.

L’istituzione di un organismo internazionale sull’IA sotto l’egida cinese non è un evento isolato, ma si inserisce in una strategia più vasta e di lungo termine del Partito Comunista Cinese (PCC). L’obiettivo ultimo è rimodellare l’ordine internazionale esistente e consolidare un’egemonia globale che sia più allineata ai propri principi e interessi. Il presidente Xi Jinping ha apertamente dichiarato l’intento della Cina di “guidare la riforma del sistema della governance globale”.

Il sistema internazionale attuale, forgiato dopo la Seconda Guerra Mondiale e basato su norme e standard “liberali” (inclusi i diritti umani universali), è percepito dal PCC come problematico. Il Partito, che si pone al vertice della piramide sociale e si considera al di sopra della legge, ha una visione dei diritti individuali che è intrinsecamente diversa da quella occidentale. Di conseguenza, Pechino mira a modificare la governance sovranazionale – quell’insieme di norme e istituzioni che guidano la cooperazione e la risoluzione pacifica delle controversie tra gli Stati – per allinearla ai propri principi autoritari e alla propria visione del mondo.

La tattica cinese: rimodellare le organizzazioni internazionali dall’interno

Per realizzare questa ambiziosa visione, il PCC ha dispiegato un vero e proprio “esercito” diplomatico. Questa strategia implica il posizionamento sistematico di funzionari cinesi in ruoli di leadership all’interno di organismi internazionali che definiscono standard tecnici e settoriali. Parallelamente, la Cina ha creato nuove entità internazionali, descritte come aventi obiettivi settoriali simili, ma concepite per invitare rappresentanti governativi e aziendali stranieri, estendendo così la propria rete di influenza.

L’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) è stata un obiettivo primario di questa strategia. Già nel 2019, un Libro Bianco sulla politica estera del Consiglio di Stato cinese ha affermato che “le Nazioni Unite sono al centro del sistema di governance globale”. L’appello di Xi Jinping per una riforma del diritto internazionale indica chiaramente l’obiettivo di modificare il sistema stesso delle Nazioni Unite. Questa campagna è in pieno svolgimento, e Pechino sta ottenendo guadagni significativi in numerose istituzioni internazionali.

Un esempio lampante è il controllo di leadership: già nel 2020, la Cina guidava quattro delle quindici agenzie dell’ONU:

  • Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO)
  • Unione internazionale delle telecomunicazioni (ITU)
  • Organizzazione delle Nazioni Unite per lo sviluppo industriale (UNIDO)
  • Organizzazione per l’aviazione civile internazionale (ICAO)

La Cina è inoltre abile nel posizionare cittadini cinesi a livelli intermedi all’interno di queste istituzioni, ampliando ulteriormente la propria influenza. Il disimpegno degli Stati Uniti da molte di queste organizzazioni ha, di fatto, fornito alla Cina maggiori opportunità per assumere posizioni di leadership e promuovere i propri interessi. Il PCC sta sfruttando ogni leva a sua disposizione per riformare dall’interno il sistema delle Nazioni Unite, riconoscendo il potere intrinseco di tali organismi nel plasmare il comportamento degli Stati.

L’approccio cinese è diventato molto più assertivo e sofisticato nelle sue tattiche di lobbying all’interno dell’ONU. Pechino ha iniziato a promuovere attivamente le proprie iniziative anche nel Consiglio per i Diritti Umani, con l’obiettivo esplicito di riscrivere le regole globali secondo il proprio modello di governance. La Cina ha imparato a costruire coalizioni elettorali efficaci, ad esempio, fornendo livelli più elevati di assistenza allo sviluppo agli Stati che votano in linea con le sue posizioni all’Assemblea Generale dell’ONU. Come membro permanente del Consiglio di Sicurezza, la Cina, spesso in concerto con la Russia, ha utilizzato il suo diritto di veto in diverse occasioni, paralizzando l’organismo e impedendo l’adozione di decisioni cruciali su questioni come la Siria, la Corea del Nord, il Venezuela, l’Iran e, più recentemente, l’invasione dell’Ucraina.

I funzionari cinesi a capo delle agenzie ONU sfruttano queste posizioni per promuovere gli interessi nazionali cinesi:

  • Presso l’ICAO, la Cina ha bloccato la partecipazione di Taiwan come osservatore, impedendo la condivisione di informazioni cruciali per un importante hub aeronautico.
  • Presso l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), Taiwan è stata esclusa come osservatore a causa della ferma opposizione della RPC.
  • Presso l’ITU, la Cina ha promosso standard che rafforzano il ruolo dello Stato, cercando di rimuovere i riferimenti alla “libertà di espressione” e al termine “democratico” a favore di una visione “multilaterale” invece di “multistakeholder” (che include anche la società civile e le imprese).

La sovranità informatica come leva della governance globale dell’IA

In particolare, la Cina promuove una “sovranità informatica“, un concetto che giustifica la censura, la localizzazione dei dati e altre pratiche che contrastano con un Internet libero e aperto. Con un numero crescente di Stati interessati a questo approccio, Pechino mira a un ruolo sempre più importante delle Nazioni Unite nella governance di Internet. Se a livello nazionale il PCC esercita un controllo capillare sull’ambiente informativo, a livello globale i leader cinesi desiderano che il sistema di governance conferisca a Pechino il massimo spazio di manovra per mantenere e operare tali controlli. Per la Cina “il cyberspazio è diventato un nuovo campo di competizione per la governance globale e [essa] deve rafforzare in modo completo gli scambi internazionali e la cooperazione nel cyberspazio per spingere la proposta cinese di governance di Internet a raggiungere il consenso internazionale”. L’ONU è un punto focale di questo sforzo.

La Strategia internazionale di cooperazione nel cyberspazio di Pechino del 2017 sostiene che “le Nazioni Unite, in quanto canale importante, dovrebbero svolgere un ruolo di primo piano nel coordinamento delle posizioni delle varie parti e nella creazione del consenso internazionale” su questo. Melanie Hart, esperta di politica cinese, avverte che “la Cina sta promuovendo norme di governance di Internet sulla ‘sovranità statale’ che consentono la censura e altre forme di controllo delle informazioni digitali” e che “tutto ciò va, pericolosamente, in conflitto con principi universalmente riconosciuti, tra cui la libertà di parola e la libertà di informazione”. Contrariamente agli Stati Uniti, che auspicano un Internet globale, aperto e sicuro, la Cina ha promosso la “sovranità informatica” come principio organizzativo della governance di Internet, come confermato da Adam Segal del Council on Foreign Relations. Pechino immagina un mondo di Internet nazionali, con il controllo del governo giustificato da diritti sovrani, e punta a indebolire il modello di governance dal basso verso l’alto guidato dal settore privato, ovvero l’approccio multistakeholder sostenuto dagli Stati Uniti e dai loro alleati.

L’IA come strumento di propaganda e controllo narrativo: il caso NewsGuard

A dimostrazione dei fini che Pechino intende perseguire, il recente rapporto di NewsGuard sui modelli di intelligenza artificiale generativa cinesi è un campanello d’allarme non solo sulle prestazioni tecniche, ma anche su come la tecnologia possa essere cooptata per servire gli interessi statali, fungendo da cassa di risonanza per la propaganda del Partito Comunista Cinese (PCC). Al di là dei numeri – un preoccupante tasso di errore del 60% sulle narrazioni pro-Pechino – emerge un quadro più oscuro: l’IA cinese non è neutrale, ma un veicolo strategico per plasmare la percezione globale.

Il dato più inquietante dello studio di NewsGuard è il comportamento quasi identico dei chatbot sia in inglese che in mandarino. Questo suggerisce non un difetto casuale, ma una promozione intrinseca delle narrazioni di Pechino incorporate nella loro progettazione. Non si tratta di “errore” nel senso tradizionale, ma di risposte che riflettono fedelmente una linea editoriale predefinita e imposta. L’intelligenza artificiale, anziché essere uno strumento per la conoscenza obiettiva, si trasforma in un megafono digitale per la politica estera e interna cinese.

Consideriamo le risposte sulla sovranità di Taiwan: frasi come “Taiwan fa parte della Cina” o “non esiste un ‘presidente taiwanese'” non sono affermazioni fattuali imparziali, ma dichiarazioni politicamente cariche e ideologiche. La scelta di questi modelli di evitare domande dirette (ad esempio, sull’identità di Lai Ching-te) per ribadire il dogma di “una sola Cina” è una tattica di elusione delle informazioni che devia dalla ricerca della verità per imporre una specifica narrazione. Questo è il cuore della propaganda: non necessariamente negare apertamente (anche se a volte accade, come nel caso del 40% di ripetizione diretta), ma modellare il contesto e il linguaggio per indurre un’interpretazione specifica.

Il PCC sta sfruttando l’IA per diversi obiettivi di propaganda:

  • Normalizzazione di falsità e narrazioni ufficiali. La costante ripetizione di affermazioni come la “non esistenza” del presidente taiwanese, o la proprietà cinese dei territori contesi nel Mar Cinese Meridionale, mira a normalizzare queste posizioni agli occhi di un pubblico globale. Se un’IA, percepita come fonte autorevole, ripete costantemente una narrazione, questa acquisisce un velo di legittimità.
  • Controllo narrativo interno ed esterno. Sebbene il rapporto si concentri sull’output esterno, è ragionevole presumere che questi modelli rafforzino anche il controllo narrativo all’interno della Cina, dove l’accesso a fonti di informazione alternative è già severamente limitato dal “Grande Firewall”. A livello internazionale, l’obiettivo è presentare una visione del mondo allineata agli interessi di Pechino, influenzando il discorso pubblico e geopolitico.
  • Vantaggio competitivo e dipendenza tecnologica. La promozione di questi modelli di IA “economici e open-source” in paesi del Medio Oriente e dell’Europa non è solo una strategia commerciale. È anche un tentativo di creare una dipendenza tecnologica che, a sua volta, facilita la diffusione delle narrazioni del PCC. Se le infrastrutture digitali di altri paesi si basano sull’IA cinese, la loro capacità di resistere alla propaganda potrebbe essere compromessa.
  • Sminuire la fiducia in fonti alternative. La presentazione costante di una “verità” unidimensionale, in contrasto con la pluralità di vedute offerte dai modelli occidentali, può implicitamente minare la fiducia in fonti di informazione indipendenti. Se gli utenti si abituano a risposte “coerenti” (anche se propagandistiche) da parte dei chatbot cinesi, potrebbero percepire informazioni più sfumate come “complicate” o persino “errate”.

Le conseguenze di questa strategia sono significative:

  • Erosione della verità e del pensiero critico. Se l’IA, uno strumento sempre più utilizzato per la ricerca e l’informazione, non può fornire risposte neutrali e basate sui fatti, erode le fondamenta stesse del pensiero critico e della ricerca della verità. La disinformazione veicolata dall’IA può essere percepita come più autorevole e meno sospetta rispetto a quella diffusa attraverso i canali tradizionali.
  • Impatto geopolitico. La propaganda basata sull’IA ha implicazioni dirette per le dinamiche geopolitiche. Se i chatbot diffondono versioni distorte di eventi come le controversie nel Mar Cinese Meridionale o le questioni di Taiwan, possono influenzare l’opinione pubblica globale, le decisioni politiche e le alleanze internazionali.
  • Rischio di normalizzare l’autoritarismo. L’uso dell’IA per promuovere la censura statale e la propaganda rischia di normalizzare le pratiche autoritarie. Se le società si abituano a sistemi di IA che filtrano o manipolano le informazioni in nome dell’interesse statale, la libertà di espressione e l’accesso a informazioni complete e accurate sono minacciati a livello globale.

È quindi fondamentale, quando si valutano i modelli di IA, specialmente quelli provenienti da regimi autoritari, esercitare una rigorosa due diligence non solo sulla sicurezza informatica e sulla privacy, ma anche sull’allineamento etico e sulla potenziale strumentalizzazione propagandistica.

Impatti etici e diritti umani nella governance dell’IA

Le strategie contrastanti di Cina e Stati Uniti in materia di IA hanno profonde implicazioni etiche e per i diritti umani. La “sovranità informatica” promossa dalla Cina, sebbene giustificata come protezione degli interessi nazionali, apre la porta a pratiche come la censura diffusa, la localizzazione forzata dei dati e la sorveglianza di massa. Questo modello, se esportato e adottato su larga scala tramite l’influenza cinese negli organismi internazionali, potrebbe seriamente erodere principi universalmente riconosciuti come la libertà di parola, la libertà di informazione e la privacy individuale. La paura è che l’IA possa diventare uno strumento per rafforzare regimi autoritari, creando sistemi di controllo sociale e politico che minano le libertà civili.

Dall’altro lato, anche l’approccio statunitense, pur invocando la libertà e la democrazia, solleva interrogativi. Le preoccupazioni del presidente Trump riguardo ai presunti “bias woke” nei modelli di IA e la spinta all’implementazione della tecnologia statunitense all’estero richiamano l’attenzione sulla necessità di garantire che lo sviluppo dell’IA sia equo e non discriminatorio. La sfida per entrambi i blocchi è assicurare che l’IA non amplifichi disuguaglianze esistenti o crei nuove forme di discriminazione algoritmica, indipendentemente dal contesto politico.

Corsa agli armamenti e IA militare: scenari futuri

Un’altra dimensione critica della competizione IA riguarda il settore militare e della sicurezza. Sia la Cina che gli Stati Uniti stanno investendo massicciamente nello sviluppo di IA per scopi di difesa. Questo include lo sviluppo di armi autonome, capacità avanzate di cyber warfare, sorveglianza intelligente e sistemi decisionali automatizzati. L’idea di armi autonome letali (LAWS), in grado di identificare e ingaggiare bersagli senza intervento umano, solleva gravi preoccupazioni etiche e legali a livello internazionale, innescando un dibattito sulla necessità di un trattato globale per la loro regolamentazione o proibizione.

La corsa all’IA militare rischia di innescare una nuova corsa agli armamenti, con implicazioni potenzialmente destabilizzanti per la sicurezza globale. Entrambi i paesi cercano di ottenere un vantaggio strategico attraverso l’IA, il che potrebbe portare a una maggiore imprevedibilità e a una riduzione dei tempi di reazione nei conflitti futuri. La capacità di negare l’accesso ai chip avanzati per l’IA, come tentato dagli Stati Uniti, è una tattica diretta per rallentare il progresso militare avversario, ma la Cina sta dimostrando una notevole resilienza nello sviluppo di alternative nazionali, come testimoniato dall’apprezzamento di Jensen Huang di Nvidia per i chip cinesi.

La strategia statunitense di contenimento e leadership tecnologica

In netto contrasto con l’approccio multilaterale cinese, gli Stati Uniti, sotto l’amministrazione Trump, hanno delineato una strategia sull’IA fortemente incentrata sulla supremazia americana e su un approccio più unilaterale, con un’enfasi marcata sulla limitazione dell’accesso alla tecnologia da parte degli avversari, in particolare della Cina.

Il 23 luglio 2025, la Casa Bianca ha presentato “Winning the AI Race: America’s AI Action Plan“, un documento che articola le azioni politiche federali previste dall’amministrazione Trump in materia di Intelligenza Artificiale. Il piano si basa su tre pilastri interconnessi: “Accelerare l’innovazione”, “Costruire un’infrastruttura di IA americana” e “Essere leader nella diplomazia e nella sicurezza internazionale”. Quest’ultimo pilastro è particolarmente rivelatore, poiché prevede significative modifiche ai controlli sulle esportazioni. L’obiettivo è duplice: promuovere l’utilizzo della tecnologia americana da parte dei paesi alleati, rafforzando così l’influenza statunitense, e al contempo mantenere restrizioni rigorose verso avversari strategici. Il piano sottolinea una chiara e costante attenzione dell’amministrazione Trump sull’intensificazione delle restrizioni alle esportazioni e sull’applicazione delle misure relative alla Cina.

Le azioni specifiche raccomandate per la politica di esportazione includono:

  • Collaborazione rafforzata con l’industria. Identificare pacchetti completi di esportazione di tecnologia IA che possano essere inviati in modo sicuro ai paesi alleati, cementando l’uso della tecnologia statunitense nel blocco occidentale.
  • Approcci innovativi all’applicazione delle norme. Implementare un monitoraggio più stringente sull’utilizzo finale e sulla posizione dei calcoli avanzati di IA di origine statunitense, per prevenire un uso improprio o un trasferimento non autorizzato a entità non gradite.
  • Estensione dei controlli sui semiconduttori. Sviluppare nuovi controlli sulle esportazioni anche per i sottosistemi di produzione dei semiconduttori, integrandoli con i controlli esistenti sui sistemi principali. Questa mossa mira a bloccare l’intera catena di approvvigionamento a monte, rendendo ancora più difficile per gli avversari la produzione di chip avanzati.
  • Utilizzo di strumenti di controllo estensivi. Impiegare strumenti legali e politici come la Foreign Direct Product Rule (FDPR) e le tariffe secondarie per incoraggiare l’allineamento internazionale sui controlli delle esportazioni di tecnologie IA sensibili. La FDPR, in particolare, è uno strumento potente che permette agli Stati Uniti di estendere il controllo anche a prodotti fabbricati all’estero, purché utilizzino tecnologia o software americani.
  • Misure di protezione tecnologica plurilaterali. Sviluppare nuovi controlli congiunti con alleati chiave per proteggere l’intera “stack tecnologica” dell’intelligenza artificiale, creando un fronte unito per la salvaguardia delle tecnologie sensibili.

In sintesi, le azioni politiche americane perseguono due obiettivi principali: promuovere la supremazia americana nell’intelligenza artificiale attraverso una maggiore collaborazione con gli alleati e garantire vantaggi economici per le aziende statunitensi; e imporre pesanti restrizioni all’accesso da parte degli avversari, in particolare della Cina, alle tecnologie e agli strumenti chiave dell’intelligenza artificiale e dei semiconduttori. L’applicazione rigorosa delle normative sulle esportazioni, con un’attenzione particolare ai rischi di elusione e alle aziende non statunitensi, rimane uno strumento chiave di questa politica.

Il ruolo di attori terzi nella definizione della governance IA

Come osservato da George Chen, partner dell’Asia Group, si stanno delineando “due schieramenti” distinti nel panorama geopolitico dell’IA. Da un lato, la Cina promuove un approccio multilaterale, cercando di coinvolgere una vasta gamma di partecipanti, attingendo potenzialmente ai paesi della sua iniziativa “Belt and Road”. Al contrario, gli Stati Uniti mirano a consolidare il proprio campo, contando sul sostegno dei suoi alleati tradizionali come Giappone e Australia.

Questa divergenza strategica è palpabile anche nella politica dei semiconduttori: mentre gli Stati Uniti hanno cercato di limitare l’accesso della Cina ai chip avanzati essenziali per l’addestramento dei modelli di IA, c’è stata una recente concessione, con Nvidia che ha ottenuto il permesso di riprendere le spedizioni di un chip meno avanzato alla Cina dopo una pausa di circa tre mesi. Tuttavia, Pechino ha già sviluppato alternative nazionali, che persino il CEO di Nvidia, Jensen Huang, ha elogiato come “formidabili”.

In questo scenario polarizzato, il ruolo di altri attori globali è cruciale. L’Unione Europea, ad esempio, si sta posizionando come una “terza via”, cercando di promuovere un approccio etico e centrato sull’uomo alla regolamentazione dell’IA, come testimoniato dall’approvazione del suo AI Act, la prima legislazione globale sull’intelligenza artificiale. L’UE, con la sua enfasi sui diritti e sulla protezione dei dati, potrebbe attrarre paesi che desiderano evitare l’allineamento con una delle due superpotenze. Anche nazioni come l’India, il Brasile o il Giappone stanno navigando in questo complesso panorama, cercando di bilanciare le proprie esigenze di sviluppo tecnologico con le preoccupazioni di sicurezza e allineamento geopolitico. La loro capacità di negoziare spazi propri o di formare alleanze diversificate sarà determinante per la futura architettura della governance dell’IA.

Limiti interni e sfide nella competizione USA-Cina sull’IA

Nonostante le ambizioni e le strategie delineate, sia la Cina che gli Stati Uniti devono affrontare sfide interne significative. Per la Cina, le principali difficoltà potrebbero risiedere nella dipendenza a lungo termine da forniture esterne per i semiconduttori più avanzati, nonostante gli sforzi per l’autosufficienza. Inoltre, un controllo statale eccessivo potrebbe, paradossalmente, soffocare quella creatività e quell’innovazione aperta che sono spesso alla base dei progressi più rivoluzionari nell’IA.

Per gli Stati Uniti, le sfide includono la necessità di superare la frammentazione regolamentare interna, la gestione dello scetticismo pubblico verso alcune applicazioni dell’IA e la garanzia di un flusso costante di talenti qualificati. La capacità di mantenere un consenso bipartitico sulla strategia IA sarà cruciale per la sua attuazione efficace.

Governance IA come nuovo fronte nella ridefinizione dell’ordine globale

La proposta cinese di un organismo globale sull’IA è un elemento cardine nella sua strategia di plasmare l’ordine internazionale. Attraverso l’uso abile degli organismi sovranazionali e la promozione di un modello di “sovranità informatica” – con esempi concreti come l’uso dell’IA per il controllo narrativo e la propaganda, come evidenziato dal rapporto NewsGuard – il PCC mira a legittimare e diffondere i propri principi, garantendo al contempo un vantaggio competitivo decisivo nello sviluppo e nella regolamentazione delle tecnologie emergenti. Questa mossa non è una semplice risposta alla competizione tecnologica con gli Stati Uniti, ma un passo calcolato verso un’egemonia globale, sfruttando le istituzioni esistenti e creandone di nuove per servire i propri interessi strategici a lungo termine.

Mentre la Cina cerca di unire il “Sud del mondo” e i paesi della “Belt and Road” sotto un ombrello di governance dell’IA a suo favore, gli Stati Uniti tentano di solidificare un blocco di alleati basato sulla supremazia tecnologica e sulle restrizioni all’accesso per gli avversari. Il futuro della governance dell’IA e, più in generale, dell’ordine internazionale, dipenderà in larga misura dall’efficacia con cui queste due visioni contrapposte riusciranno a imporsi o a trovare un punto di compromesso.

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