Periodicamente riaffiorano preoccupazioni riguardo al dark web, comunemente definito come la “zona oscura di Internet”.
Queste ansietà emergono frequentemente in concomitanza con fatti di cronaca nera capaci di attirare l’attenzione e generare sgomento tra il pubblico generale e nei mezzi d’informazione.
Il termine, però, viene spesso impiegato in modo approssimativo, mentre le rappresentazioni nei media appaiono più orientate a suscitare emozioni che a fornire informazioni concrete.
Indice degli argomenti
Surface, deep e dark web: le tre dimensioni di internet
È essenziale, innanzitutto, definire con precisione cosa si intende quando si menziona il “dark web”.
Nonostante la sua natura globale e dinamica, Internet è utilizzato da persone sottoposte alle legislazioni dei loro Paesi di residenza. Questo perché le identità digitali e le loro azioni online, specialmente attraverso gli indirizzi IP, possono essere ricondotte a individui o organizzazioni reali. Per questo motivo, l’anonimato digitale, ovvero l’impossibilità di collegare direttamente un’identità virtuale a una persona fisica, costituisce una caratteristica problematica.
Considerando il parametro pubblico vs privato e il parametro responsabilità vs anonimato, si può suddividere Internet in tre principali livelli o “strati”: il surface web, il deep web e il dark web.
Benché nel discorso quotidiano questi termini vengano frequentemente scambiati tra loro, essi identificano realtà con proprietà tecniche, funzionali e storiche profondamente diverse, che richiedono un esame approfondito.
Il surface web (clearnet)
Il surface web (clearnet) corrisponde alla sezione di Internet utilizzata quotidianamente dalla maggioranza degli utenti, comprendente tutte le pagine indicizzate dai motori di ricerca convenzionali come Google, Bing e Yahoo, quindi facilmente accessibili attraverso semplici ricerche. Tecnologie di crawling e algoritmi di indicizzazione permettono di navigare agevolmente in questi spazi. Un programma di crawling è un software automatizzato che naviga il web seguendo i link tra le pagine. La sua funzione principale consiste nel raccogliere e catalogare i contenuti online, semplificando la memorizzazione e il recupero delle informazioni per i motori di ricerca.
I crawler trovano impiego anche nel data mining e nell’analisi dei dati per estrarre informazioni mirate dal web.
Il surface web comprende i siti più popolari e frequentati di carattere istituzionale, commerciale, ricreativo e informativo, caratterizzandosi per un’elevata trasparenza. Costituisce un segmento pubblico della rete che consente un’immediata tracciabilità delle azioni e, conseguentemente, l’attribuzione di responsabilità. Questa porzione della rete rappresenta unicamente una frazione ridotta del contenuto totale presente online. Secondo le stime dell’Agid, corrisponde approssimativamente al quattro-cinque percento dell’intero ecosistema digitale.
Il deep web
Al contrario, il deep web include tutti quei contenuti non indicizzati dai comuni motori di ricerca, ma raggiungibili con i browser ordinari conoscendone l’URL specifico. Questa area comprende materiali che, per motivi di sicurezza o confidenzialità, non sono raggiungibili mediante ricerche convenzionali. Vi rientrano piattaforme protette da credenziali d’accesso, scambi di messaggi privati (quali email o chat), operazioni finanziarie online, archivi accademici e altre informazioni non accessibili al pubblico. A differenza del surface web, si distingue per il suo carattere riservato, pur mantenendo la possibilità di risalire alle responsabilità. Il deep web è sostanzialmente più ampio del surface web e costituisce la porzione preponderante dei contenuti disponibili su Internet.
Il dark web
Il dark web, infine, costituisce una porzione esigua della rete che, analogamente al deep web, non risulta indicizzata dai motori di ricerca tradizionali. L’accesso a questo strato non dipende dall’utilizzo di credenziali ma richiede l’impiego di strumenti tecnologici dedicati, tra cui i più comuni sono il browser Tor, la rete I2P (Invisible Internet Project) e l’applicazione mobile Orbot per dispositivi Android.
Questa sezione di Internet è stata progettata per assicurare un elevato grado di anonimato e protezione dei dati degli utenti. Si prenda ad esempio la rete Tor: le risorse presenti risiedono su domini con estensione “.onion”, inaccessibili mediante browser standard o ricerche convenzionali. Il cuore del sistema risiede nella tecnica dell’“onion routing”, che applica una crittografia stratificata ai dati: ogni livello di cifratura viene decodificato in maniera sequenziale attraverso una serie di nodi distribuiti globalmente, rendendo il flusso informativo sostanzialmente anonimo. Tale meccanismo impedisce l’identificazione diretta sia del mittente sia del destinatario, oltre a oscurare il percorso seguito dai pacchetti di dati.
Dark web e principio di reponsabilità
Il carattere distintivo del dark web risiede nel principio di responsabilità.
A differenza del surface web – dove l’accessibilità pubblica e l’indicizzazione garantiscono tracciabilità – e del deep web – protetto da credenziali ma comunque associabile a identità reali – questa dimensione compromette intenzionalmente il legame tra identità digitale e soggetto fisico/giuridico.
Per chiarire con alcuni esempi: l’accesso a un portale d’informazione pubblica rientra nel surface web; la consultazione di archivi universitari protetti caratterizza il deep web; la navigazione in ambienti dove contenuti e identità sono occultati volontariamente definisce il dark web.
La tecnologia sottostante, originariamente sviluppata dal Dipartimento della Difesa statunitense per comunicazioni riservate, è stata resa accessibile alla società civile nel 2006. Questo ha generato un duplice effetto: da un lato, ha favorito applicazioni legittime legate alla tutela della privacy e alla libertà d’espressione, particolarmente cruciali in contesti politicamente repressivi; dall’altro, ha agevolato attività illecite grazie all’opacità del sistema.
Dark web: crimine organizzato e mercato nero
Una rappresentazione mediatica che riduce il dark web a ricettacolo di criminalità risulta quindi fuorviante. Questa rete ospita infatti una varietà comparabile al web convenzionale: comunità di attivismo politico, repository di documenti censurati e piattaforme per il giornalismo investigativo coesistono con mercati illegali. I fenomeni criminali (dal traffico di stupefacenti alla pedopornografia) rischiano tuttavia di eclissare le criticità insite in un web completamente governato da algoritmi e soggetto a controllo centralizzato, specialmente in regimi autoritari.
Le statistiche sulle attività illecite rimangono allarmanti, con un volume significativo di transazioni riguardanti armi, droghe e materiale abusivo. Questi dati impongono una valutazione equilibrata che riconosca tanto i rischi quanto le potenzialità democratiche insite nella tecnologia.
Il dark web rappresenta oggi una delle frontiere più complesse e sfuggenti nel rapporto tra legalità e illegalità, offrendo uno spazio in cui la criminalità organizzata può operare con modalità nuove e difficilmente tracciabili.
Attraverso piattaforme come Silk Road, AlphaBay e numerosi altri marketplace digitali, le organizzazioni criminali hanno trovato un ambiente ideale per espandere traffici illeciti di ogni genere, dalla droga alle armi, fino ai servizi di hacking e riciclaggio di denaro.
L’anonimato garantito da strumenti come Tor e dalle criptovalute ha reso possibile la nascita di economie parallele, dove le regole del mercato legale vengono sistematicamente aggirate e la responsabilità individuale si dissolve in una rete di identità digitali difficilmente rintracciabili.
In questo contesto, la mafia italiana e altre organizzazioni internazionali simili hanno dimostrato una notevole capacità di adattamento, integrando competenze informatiche e strategie digitali per gestire affari illeciti su scala globale, superando i confini nazionali e le barriere giuridiche.
Dark web: un laboratorio sommerso per nuove forme di criminalità
Il dark web, dunque, non è solo un luogo di scambio di beni e servizi illegali, ma anche una sorta di “laboratorio sommerso” in cui si sperimentano nuove forme di criminalità. Rappresenta quindi un ambiente dove la distinzione tra lecito e illecito si fa sempre più sottile e la sfida per le istituzioni è quella di riuscire a intervenire in un contesto che per sua stessa architettura sfugge ai tradizionali strumenti di controllo e repressione.
In questo scenario, il rapporto tra dark web e legalità appare profondamente ambiguo: da un lato, questa rete offre opportunità senza precedenti per la tutela della privacy e della libertà di espressione, dall’altro, costituisce un terreno fertile per l’innovazione criminale, mettendo costantemente alla prova la capacità di risposta degli ordinamenti giuridici e delle forze dell’ordine.
Pedopornografia nel dark web: dalla dimensione individuale a quella comunitaria
Uno dei fenomeni criminali più preoccupanti è certamente la circolazione, produzione e conservazione di materiali ritraenti abuso su persone di minore età.
Negli ultimi decenni il fenomeno della pedopornografia ha subito una trasformazione profonda, strettamente legata allo sviluppo delle tecnologie digitali e ai cambiamenti che esse hanno introdotto. Prima dell’era di Internet, la distribuzione di materiale pedopornografico avveniva principalmente attraverso riviste o videocassette, la cui acquisizione comportava un rischio concreto di identificazione da parte delle autorità. Già con la digitalizzazione dei contenuti e delle modalità di produzione e scambio, la diffusione di questi materiali era diventata più semplice e rapida. Parallelamente, la crescente presenza di minori in spazi digitali come social e forum ha facilitato sia l’individuazione sia il contatto diretto con potenziali vittime da parte degli abusatori.
Internet, inoltre, rende più agevole il mascheramento dell’identità e l’inganno, anche senza ricorrere a strumenti particolarmente sofisticati. Tuttavia, è con l’introduzione di sistemi di anonimato digitale – resi possibili dal dark web e, in precedenza, da reti peer-to-peer come eMule e Torrent – che l’accesso, la condivisione e la vendita di materiale pedopornografico sono diventati meno rischiosi per chi li pratica. Sebbene questi strumenti non offrano una protezione totale, garantiscono comunque un livello di anonimato elevato e sono relativamente semplici da usare, riducendo così sia le difficoltà tecniche sia i rischi legali, sociali e reputazionali associati a tali attività. Allo stesso tempo, il numero di minori online è aumentato in modo esponenziale, spesso senza un’adeguata educazione ai rischi della rete e in ambienti poco controllati (un aspetto, questo, al centro del Progetto SAFELY – Social media Awareness For Education and Legal Youth coordinato dal CRID all’Università di Modena e Reggio Emilianel contesto dello Spoke 8 “Risk Management and Governance” della Fondazione SERICS).
Questo scenario ha portato a un incremento dei casi di abuso su minori e di consumo, scambio o acquisto di materiali collegati.
La pervasività della digitalizzazione, la dimensione “on-life” della quotidianità e le tecniche di anonimizzazione avanzata non solo hanno fatto crescere il numero di casi, ma hanno anche modificato profondamente i luoghi, le modalità e i profili dei soggetti coinvolti in questi reati. Alla nascita di vere e proprie comunità digitali dedite a queste pratiche si è affiancato un crescente interesse mediatico e una crescente difficoltà da parte delle istituzioni nel contrastare il fenomeno.
A testimonianza della portata del problema, basti pensare al caso della piattaforma Boystown, che prima della chiusura nel 2021 contava oltre quattrocentomila utenti registrati, o a quello di PLAYPEN, che ne aveva circa duecentomila prima dello smantellamento nel 2015. Questi spazi non sono solo luoghi di scambio di immagini e video di abusi, ma veri e propri forum strutturati per argomenti e discussioni, dove si affrontano temi legati allo sfruttamento sessuale minorile.
Gli utenti non si limitano a condividere contenuti, ma discutono strategie operative, misure di sicurezza e tecniche per eludere le indagini delle forze dell’ordine. I forum diventano così ambienti di socializzazione in cui i partecipanti – osservatori, utenti attivi e membri con ruoli organizzativi – condividono conoscenze pratiche, che spaziano dall’anonimato digitale alle tecniche di adescamento.
La trasmissione di competenze tecniche e la creazione di reti sociali all’interno di questi spazi contribuiscono a rafforzare un senso di identità comune tra i membri, dando vita a una vera e propria “subcultura” digitale basata sulle pratiche di abuso sessuale su minori.
La principale criticità della transizione della pedopornografia sul dark web risiede proprio in questo passaggio: da un fenomeno prevalentemente individuale si è arrivati a una dimensione collettiva e comunitaria, con la formazione di reti strutturate e consolidate, difficili da smantellare e contrastare.
Equilibrio tra anonimato democratico e controllo della criminalità digitale
L’anonimato offerto dal Dark web facilita dunque una serie di attività criminose e rappresenta quindi una sfida per quanto riguarda la legalità degli ambienti e dei comportamenti digitali.
Ciononostante, è fondamentale adottare sempre una prospettiva critica e consapevole, per fare in modo che questi fenomeni non offuschino completamente le possibilità democratiche e di partecipazione attiva abilitate da queste stesse reti.