antitrust e privacy

Authority vs i big del web, tutto inutile se non rimettiamo l’utente al centro della rete

Il mercato digitale deve essere meglio regolamentato per garantire un più severo controllo sulle attività dei big del web, a tutela della privacy ma anche della concorrenza. Una strada percorribile potrebbe essere quella di restituire all’utente la proprietà dei propri dati. Ma serve anche più educazione digitale

Pubblicato il 13 Set 2019

Federica Maria Rita Livelli

Business Continuity & Risk Management Consultant//BCI Cyber Resilience Committee Member/CLUSIT Scientific Committee Member/FERMA Digital Committee /ENIA Scientific Committee Member/ BeDisruptive Training Center Director

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È oramai sempre più evidente – anche alle Autorità d’oltreoceano – che i Big Four della Rete (Amazon, Google, Facebook e Apple) hanno il controllo del commercio, dei contenuti e delle comunicazioni online. La sana concorrenza è in pericolo ed è urgente regolamentare il mondo digitale se non vogliamo che le loro “posizioni dominanti” rendano i mercati particolarmente concentrati e caratterizzati da sempre più elevate barriere d’entrata che sfavorirebbero nuovi operatori.

Si vedono segnali sempre più forti del netto cambio di posizione delle Autorità di garanzia nei confronti dei Big Four, che sono stati definiti, senza pietà, come dei “gangster digitali”, bollati come società che stanno generando profitti e fagocitando i concorrenti minori e gli sviluppatori che si appoggiano alle loro piattaforme.

Negli Usa, a Bruxelles ed in altri paesi europei, le varie autorità della Privacy e dell’Antitrust hanno inferto recentemente condanne ai Big Four della Rete e continuano ad avviare indagini al fine di stabilire se essi abbiano abusato del proprio potere e della propria forza economica per eliminare ogni forma di concorrenza ed espandere ulteriormente il loro dominio sui mercati in oltraggio alle regolamentazioni vigenti in materia di privacy.

Analizziamo brevemente, caso per caso, quali sono state le motivazioni che hanno determinato le contestazioni fatte, ad oggi, ai Big Four della Rete.

Amazon

  • Concorrenza sleale che porta a privilegiare i propri prodotti (Amazon Label – circa cento quaranta prodotti) rispetto a quelli dei rivenditori presenti sulla propria piattaforma (Antitrust Tedesca)
  • Mancata richiesta di autorizzazione per alcuni servizi di recapito postale (Antitrust Italiana).

A carico di Amazon Italia è stata recentemente aperta l’istruttoria per abuso di posizione dominante nel mercato dei servizi di logistica.

Apple

  • Condanna per l’obsolescenza programmata e per non aver correttamente informato i consumatori sulla deteriorabilità delle batterie al litio presenti su iPhone (Antitrust Italiana).

Apple è sotto indagine da parte dell’Antitrust Olandese per sospetto abuso della propria posizione dominante per aver favorito le proprie applicazioni in modo sleale a danno dei concorrenti.

Facebook

  • Abuso di posizione dominante (Commissione Europea)
  • Violazione del codice del consumo a fronte della poca trasparenza offerta agli utenti in merito alle scelte disponibili (Antitrust Tedesca) e all’impiego dei propri dati (Antitrust Italiana)
  • Violazione norme della privacy – scandalo Cambridge Analytica (Federal Trade Commission – FTC, USA)

Google

La Commissione Europea ha inferto condanne per:

  • abuso di posizione dominante nel campo della pubblicità on-line, che avrebbe ridotto la possibilità di scelta da parte degli utenti, l’accesso a prezzi più vantaggiosi ed a prodotti maggiormente innovativi;
  • promozione del suo servizio di comparazione acquisti direttamente dai risultati del suo motore di ricerca, sottraendo visibilità a siti analoghi;
  • abuso della sua posizione dominante nei sistemi operativi per telefoni cellulari, servendosi di Android come “cavallo di Troia” per imporre i propri motori di ricerca sui dispositivi mobili e monopolizzando in questo modo gli ricavi delle pubblicità sugli smartphone;

Sono in atto indagini contro i Big Four della Rete da parte dei vari organismi Antitrust europei e dalla Federal Trade Commission (FTC) negli USA, pronti a sanzionarli pesantemente qualora venissero evidenziati comportamenti anticoncorrenziali e in contrasto alle regole antitrust. Le autorità concentreranno l’indagine sull’impatto delle piattaforme online e dei relativi algoritmi, sulla concorrenza dei mercati digitali, sulla riservatezza e la capacità di scelta del consumatore e sul pluralismo informativo.

Rivedere le regole antitrust per spezzare i monopoli digitali

Negli USA, Elisabeth Warren, candidata alle primarie democratiche per le presidenziali del 2020, ha proposto una revisione delle regole antitrust per promuovere il “break up”, ossia la frammentazione delle grandi imprese che operano sul web, in nome di una maggiore concorrenza.

Negli ultimi dieci anni, di fatto, Google, Amazon e Facebook hanno acquisito circa trecento società, evidentemente con l’obiettivo di eliminare potenziali concorrenti. E’, pertanto, necessario varare leggi che permettano alle autorità dell’Antitrust di valutare tali operazioni di concentrazione che, ad oggi, non sono soggette ad un obbligo di notifica in quanto le imprese acquisite non generano fatturati elevati.

Nel nostro Paese Agcom, Agcm e Garante Privacy hanno avviato dal 2017 un’indagine congiunta sui Big Data per comprendere gli impatti sulla concorrenza, sul pluralismo informativo e sulla privacy e poter pubblicare linee guida per contrastare al meglio tali problematiche.

Forme di profilazione sempre più sofisticate

La stessa capacità di illecito si evolve di continuo: Amazon qualche anno fa, ad esempio, ha registrato un brevetto di “anticipatory package shippingche renderà possibile determinare cosa il cliente potrebbe acquistare (on-line ed off-line) effettuando la consegna della merce “identificata” come se il cliente avesse effettivamente ordinato, salvo (bonta loro!), qualora gli articoli non riflettessero l’ipotetico ordine, la facoltà per il cliente di restituire la merce. Dunque, la nuova “scelta di mercato” in realtà consisterebbe nel “non comprare” ricevendo direttamente a casa i propri presunti desiderata (e pagandoli).

Quanto sopra ci porta a prendere consapevolezza del grado di “sofisticatezza” delle forme di profilazione del dato e l’urgenza di regolamentare il mondo digitale, ossia la necessità di trattare il dato non solo dal punto di vista della privacy, ma anche dalla valorizzazione economica dello stesso.

Nell’utilizzare le piattaforme dei Big della Rete noi, di fatto, beneficiamo di una serie di servizi che ci vengono messi a disposizione, illudendoci di aver ricevuto tutto in modo gratuito. In realtà noi “doniamo” la nostra sovranità digitale in cambio di servizi e socialità; comunichiamo i nostri dati, informazioni relative ai nostri gusti, alle nostre abitudini. In questo modo le piattaforme conoscono i nostri comportamenti e, conseguentemente, gestiscono al meglio la loro strategia di marketing monetizzando così i nostri dati.

Ricordiamoci che nel momento dell’accesso i nostri dati vengono “scambiati” a fronte di una transazione commerciale in atto. Uno scambio implicito: accesso servizi vs. nostri dati. In altri termini, possiamo affermare che in questo modo “ipotechiamo i nostri acquisti”, ci stiamo di fatto impegnando a consumare in futuro in base ai dati che mettiamo a disposizione e che permetteranno promozioni personalizzate. Ci deve essere chiaro che il prodotto siamo noi e, grazie agli algoritmi, le varie piattaforme sono in grado di associare a una tipologia target l’individuo che ha di fronte.

Proprietà e controllo dei dati

Siamo veramente disposti a rinunciare al nostro libero arbitrio? A permettere che la proprietà del dato che noi generiamo risieda, non nelle nostre mani, bensì nelle mani delle piattaforme che sono in grado di elaborarlo secondo i propri fini?

La disponibilità dei dati in un’economia data driven diventa sempre più strategica e la capacità di analisi ed elaborazione ha creato forme di sfruttamento economico del dato e generato una sua valorizzazione per la profilazione algoritmica legata ai diversi scopi commerciali. Risultato: la creazione di concentrazioni di potere che vanno a ledere i diritti fondamentali della Persona, la concorrenza, il pluralismo, in buona sintesi, la democrazia, che comprende anche la tutela delle sovranità nazionali.

Da qui la necessità di tutelare la privacy ma, al contempo, altrettanto urgente è salvaguardare le regole di una corretta concorrenza, messe a rischi da qualsiasi forma di monopolio.

Una possibile soluzione

Sarebbe auspicabile restituire all’utente-consumatore la proprietà dei propri dati, attribuendo ad essi un valore di mercato, “sdoganando” lo scambio del dato, rendendolo più esplicito in base ad una regolamentazione adeguata di “mercato del dato” che contribuisca a contrastare il potere contrattuale dei Big della Rete e a facilitare la nascita di forme aggregate di domanda da parte dei consumatori-utenti.

Penso che questa potrebbe essere una strada percorribile ed utile per rafforzare e definire meglio i diritti di proprietà sui nostri dati restituendone ad ognuno di noi il controllo e, in un certo modo, costringerci a capire meglio l’utilizzo del dato e la sua profilazione e ad affrontare in modo più strutturato l’aspetto della profilazione algoritmica del dato e, di conseguenza, garantire la salvaguardia del pluralismo online, superando la selezione personalizzata dei contenuti che sono filtrati dall’algoritmo e, soprattutto, utilizzando ognuno di noi la capacità di ragion critica, di verifica e di ricerca.

Le varie istituzioni a livello europeo stanno, comunque, reagendo e sembrano l’avamposto globale idoneo ad organizzare un contesto di norme più severe per riequilibrare i rapporti tra detentori dei Big Data ed utenti-consumatori e ad eliminare i vantaggi fiscali e le relazioni industriali di cui beneficiano attualmente i Big della Rete.

Non dimentichiamoci che, se da un lato sono necessarie regolamentazioni più severe in termini di salvaguardia della privacy, della concorrenza, del pluralismo e della democrazia, dall’altro lato è altrettanto fondamentale l’educazione “digitale” del popolo della rete in modo da diffondere la cultura necessaria per attuare questo processo di regolamentazione.

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