­Bitcoin? Molto più di una moneta

La tecnologia alla base della criptomoneta sta dando vita a una serie di nuovi servizi decentrati, che puntano a eliminare gli intermediari e il controllo dall’alto di servizi e applicazioni

Pubblicato il 14 Mar 2014

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La chiusura improvvisa di Mt. Gox, uno dei cambiavalute più popolari di Bitcoin, è stata senz’altro un duro colpo per l’immagine della criptomoneta, anche se probabilmente la crisi verrà superata come altre del passato. Bitcoin è stata infatti la rivelazione del 2013, e anche nel nuovo anno la crescita della sua popolarità non accenna a diminuire, pur restando in bilico tra alti e bassi, entusiasmi e critiche, e quotazioni molto volatili. Tuttavia c’è un aspetto della moneta digitale più di moda che è ancora trascurato pur essendo fondamentale. Si dice infatti che Bitcoin sia una moneta e un sistema di pagamento in qualche modo rivoluzionario – anche se molti economisti lo reputano inaffidabile e lo guardano con diffidenza. Ma la sua novità sta soprattutto nell’elemento tecnologico. Che ora sempre più persone pensano di applicare anche ad altri ambiti, e non solo per costruirci sopra una moneta digitale senza banche. Magari per sviluppare invece un sistema di comunicazione decentrato e a prova di National Security Agency, cioè di programmi di sorveglianza e monitoraggio. Oppure per implementare un sicuro sistema di voto elettronico.

Alla base del conio di bit sta infatti un protocollo crittografico open source che opera attraverso una rete di pari a pari (P2P), quelle che gli utenti hanno imparato a conoscere con i sistemi di file sharing per condividere musica o altro. Siccome la rete è distribuita, non ha server centrali e quindi centri di controllo e potere, deve trovare un sistema per verificare che le transazioni effettuate siano valide, autentiche e non replicabili. Come ottiene tutto ciò? Con il blockchain, un meccanismo che certifica la singola transazione con l’applicazione di una marca temporale (timestamp), includendola in blocchi che formano una catena e che non possono esser cambiati. Alla base del funzionamento di Bitcoin ci sono essenzialmente operazioni matematiche: risorse messe a disposizione dai cosiddetti minatori del network che vengono così ricompensati della proprio disponibilità con della moneta digitale. Ma alla fine tutto ciò non è altro che un sistema di verifica del consenso all’interno di una rete distribuita, nonché di autenticazione delle operazioni che vi avvengono. Infatti l’inserimento di una transazione in un blocco implica che sia di fatto impossibile falsificarla, a meno di possedere più della metà della somma di tutto il potere computazionale di tutti gli altri presenti nel network.

“La maggior parte delle tecnologie “derivate” da Bitcoin si basano sullo stesso principio base (che è l’aspetto più importante della critpomoneta), cioè sulla blockchain”, spiega ad Agendadigitiale.eu Thomas Bertani, esperto della valuta digitale e fondatore del servizio online BitBoat. “L’aspetto più rivoluzionario del protocollo è il fatto di poter prendere decisioni democratiche senza bisogno di un’unità centrale che coordini il tutto. Per esempio in Bitcoin questo aspetto viene sfruttato per scegliere se una transazione è legittima o meno. In pratica i minatori agiscono come tanti notai: se più della metà sceglie di ritenere affidabile una transazione, di fatto questa diventa tale per tutti”.

Per questo motivo sempre più sviluppatori stanno provando a sfruttare tale caratteristica del protocollo Bitcoin per creare una nuova serie di applicazioni e servizi. Namecoin ad esempio è un sistema DNS (Domain Name System) che vorrebbe costituire un’alternativa anticensura al sistema tradizionale coordinato dall’Icann. Un DNS serve per tradurre i nomi di dominio (www.agendadigitale.eu) in corrispondenti indirizzi IP. Il Namecoin fa questa operazione senza usare server centrali, che teoricamente potrebbero essere soggetti a censure di governi o altre restrizioni. Per implementare un registro distribuito dei nomi di dominio dei siti usa quindi una versione modificata del software Bitcoin.

In pratica l’idea è che sostituendo l’oggetto su cui si raggiunge il consenso – che si tratti di transazioni monetarie o di altro – si può usare il protocollo Bitcoin come una serie di mattoni con cui costruire dei sistemi distribuiti affidabili. Un esempio del tutto diverso dalla moneta digitale è Twister, una specie di Twitter decentrato e attento alla privacy degli utenti. Ideato dallo sviluppatore Miguel Freitas, impiega sia il protocollo P2P BitTorrent che la tecnologia alla base della criptomoneta. Il risultato è una piattaforma di microblogging molto simile a Twitter nel funzionamento per gli utenti, ma che dietro la facciata non si appoggia a server centrali, bensì a una rete di computer che gestiscono l’invio dei messaggi ed i post. Il problema nel caso di Freitas era come verificare in modo decentrato che i post e i messaggi privati degli utenti fossero correttamente “autenticati”, che un post o un messaggio fossero veramente dell’utente che diceva di averli fatto. Per risolvere la questione ha implementato il meccanismo di verifica del blockchain che in questo caso non controlla transazioni monetarie ma la pubblicazione dei contenuti. I minatori della situazione, chi “regala” risorse computazionali al network facendo da nodo, non verrà quindi premiato con monete Bitcoin ma con la possibilità di inviare messaggi promozionali, pubblicità nel network.

Anche Bitmessage è un nuovo sistema di comunicazione decentrato che sfrutta alcune idee alla base di Bitcoin. Serve per mandarsi messaggi criptati in modo asincrono, quindi più simile a una mail che a una chat, ed è molto facile da usare. Ed ha il merito di rendere l’invio di messaggi criptati qualcosa di estremamente immediato: per scambiarsi comunicazioni blindate sul network non serve infatti la conoscenza necessaria a implementare una casella di posta con PGP. Anche se non mancano problemi di stabilità del network e problemi di usabilità: gli indirizzi dei propri contatti sono lunghe stringhe alfanumeriche.

Di tutt’altro genere Ethereum, una piattaforma per generare operazioni finanziarie e contratti di ogni tipo, che permette l’interazione diretta tra contraenti, senza intermediari, nata qualche settimana fa. Anche qui alla base c’è un software open source, un database distribuito fra i nodi della rete, e l’uso della crittografia.

Ma le applicazioni possono essere anche molto compless. Due ricercatori, Jeremy Clark della Carleton University e Aleksander Essex della University of Waterloo, hanno proposto in un paper un sistema chiamato CommitCoin che, permettendo di verificare temporalmente una certa azione, potrebbe essere usato per garantire il voto elettronico, rendendo impossibile le frodi attraverso il meccanismo del blockchain.

Uno dei progetti più in crescita è infine Ripple. Si tratta di una criptomoneta che aggiunge alla rete del peer-to-peer il principio di funzionamento dei social network. Una volta “iscritti” alla rete si cercano i propri contatti già registrati e a loro si attribuisce un credito, in base al livello di fiducia, conoscenza e stabilità finanziaria. E gli altri faranno lo stesso col nuovo iscritto. Si crea quindi un sistema di credito peer-to-peer su base sociale che fa sì che un debito non sia contratto da chi deve pagare, ma dai suoi amici/garanti. Il sistema permette tra le altre cose di fare da exchange naturale per i bitcoin (e altre monete), eliminando gli intermediari: un’esigenza particolarmente sentita negli ultimi tempi, e rinnovata ora dalla chiusura rovinosa di Mt. Gox. “Ripple si basa sui ‘ledger’ che sono dei nodi che hanno uno storico completo del balance degli account e di tutto il resto. Quindi non è completamente basato sulla blockchain come Bitcoin, ma ne eredita il concetto. È uno dei progetti derivati più interessanti, e tra l’altro ha ancora molto da dare”, precisa Bertani.

A livello concettuale la frontiera del processo innescato con la tecnologia Bitcoin si chiama DAC (Distributed Autonomous Corporations): c’è chi ritiene che la criptomoneta sia il primo esempio di DAC. In ogni caso è stato il blockchain – ovvero un registro di tutte le transazioni, aperto ma insieme blindato dalla crittografia, e distribuito su tutti i nodi – ad aprire la porta alla ricerca su queste corporation distribuite e autonome. Ma cosa sono dunque? Di fatto una sorta di azienda o società decentrata e smaterializzata su una rete di computer che svolge un’attività economica senza una direzione umana. Lo scambio di valuta in modo decentralizzato, un sistema di votazione anonima e insieme verificabile sono solo alcuni esempi di applicazioni pratiche di DAC.

Quasi tutti questi concetti e sistemi “derivati” sono ancora in fase sperimentale ma sicuramente mostrano che il futuro della criptomoneta potrebbe essere molto più variegato e complesso della sua immagine attuale. Che in fondo rispecchia una tecnologia giovane e acerba, ma dal grande potenziale.

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