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Il fascicolo informatico: ecco perché la conservazione digitale dipende dai processi e non dai documenti

La normativa in tema di eGov avvicina sempre di più i mondi dell’archivistica, del diritto e delle nuove tecnologie.
I tre contesti sono sicuramente estremamente differenti tra loro quanto a linguaggio usato, approcci alle problematiche, tempi di evoluzione e background culturale delle figure coinvolte

Pubblicato il 28 Giu 2016

Nicola Savino

esperto digitalizzazione a norma dei processi aziendali

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La triade delle regole tecniche: sulla gestione documentale, sulla conservazione e sulla formazione dei documenti informatici ha dato fornito tutti i criteri normativi e tecnici cui attenersi per una PA sempre più da configurarsi come uno sportello unico erogatore di servizi al cittadino.

E’ significativo, infatti, leggere insieme l’articolo 3 comma 1 del CAD e l’articolo 43 del DPR 445/00 di cui si riporta uno stralcio:

Art. 3 (comma1) Diritto all’uso delle tecnologie

1. I cittadini e le imprese hanno diritto a richiedere ed ottenere l’uso delle tecnologie telematiche nelle comunicazioni con le pubbliche amministrazioni

Art. 43 Accertamenti d’Ufficio

Le amministrazioni pubbliche e i gestori di pubblici servizi sono tenuti ad acquisire d’ufficio le informazioni oggetto delle dichiarazioni sostitutive di cui agli articoli 46 e 47, nonche’ tutti i dati e i documenti che siano in possesso delle pubbliche amministrazioni, previa indicazione, da parte dell’interessato, degli elementi indispensabili per il reperimento delle informazioni o dei dati richiesti, ovvero ad accettare la dichiarazione sostitutiva prodotta dall’interessato

La ratio che emerge dalla lettura congiunta di questi articoli è quella di avere un punto di contatto unico per il cittadino che oggi ha il diritto, ma con quello che si prospetta essere il nuovo CAD tale diritto diventerà un obbligo poco alla volta, di richiedere tramite canali telematici l’erogazione dei servizi.

La situazione voluta o situazione as to be nel gergo della gestione aziendale è ben rappresentata dalla figura di seguito:

In un simile contesto in particolare nella parte di back end della PA, ma non solo in quanto la problematica che ci accingiamo a descrivere riguarda anche il mondo del privato e le interazioni tra PA e soggetti privati, è quanto mai importante sottolineare che la strutturazione e l’organizzazione delle informazioni assume un ruolo cruciale.

Senza scomodare le teorie informatiche sulla normalizzazione dei dati, data mining ed estrazione di informazioni secondo i processi delle teorie sui big data, soffermiamoci un attimo sulla necessità di andare in qualche modo a definire un’unita atomica di informazione sulla quale andare a costruire i flussi informativi per la gestione, ma anche e soprattutto sulla conservazione dei dati.

E’ qui che ci viene in aiuto un concetto fondamentale dell’archivistica: il fascicolo.

La normativa vigente non ne da una vera e propria definizione…nel DPR 445/00 si sottolinea che almeno annualmente il responsabile della gestione documentale provvede a mandare in conservazione i fascicoli relativi a procedimenti o affari già conclusi:

Art. 67 Trasferimento dei documenti all’archivio di deposito

1. Almeno una volta ogni anno il responsabile del servizio per la gestione dei flussi documentali e degli archivi provvede a trasferire fascicoli e serie documentarie relativi a procedimenti conclusi in un apposito archivio di deposito costituito presso ciascuna amministrazione.

2. Il trasferimento deve essere attuato rispettando l’organizzazione che i fascicoli e le serie avevano nell’archivio corrente.

3. Il responsabile del servizio per la gestione dei flussi documentali e degli archivi deve formare e conservare un elenco dei fascicoli e delle serie trasferite nell’archivio di deposito.

La prima definizione di fascicolo fa capo al regio decreto 35 del 1900 che recita agli articoli 34 e 37:

Art. 34 – Chiamasi fascicolo la riunione ordinata per data o per numero degli atti ricevuti e spediti per il medesimo affare.

Art. 37 – Se l’atto è il primo di un affare, si formerà con esso un fascicolo nuovo: se ebbe precedenti si unirà al fascicolo che lo contiene.

Ebbene, già nel 1900 era evidente la necessità di strutturare la granularità dell’informazione raggruppando insieme i documenti che riguardassero uno stesso procedimento o uno stesso affare (e quindi il concetto può tranquillamente applicarsi non solo al mondo della PA).

In una pubblica amministrazione una necessità informativa ai fini di un accesso agli atti, a scopo storico o anche come controllo da parte dell’attività giudiziaria difficilmente si soddisferà in un singolo documento, quanto piuttosto in un insieme di informazioni riguardanti l’affare in questione. Analogamente in una società di assicurazioni tutte le informazioni relative, ad esempio, alle pratiche automobilistiche saranno organizzate in fascicoli uno per ciascuna vettura, mentre per la contabilità ci aspetteremo di trovare un fascicolo delle fatture o similari.

Lo stesso codice dell’amministrazione digitale, a dire il vero ben prima delle regole tecniche di cui sopra, ha ribadito l’obbligatorietà del fascicolo informatico all’articolo 41 introducendo come suoi metadati obbligatori:

a) il nome dell’amministrazione titolare del procedimento, che cura la costituzione e la gestione del fascicolo medesimo;

b) l’elenco delle altre amministrazioni partecipanti;

c) il nome del responsabile del procedimento;

d) l’oggetto del fascicolo;

e) l’elenco dei documenti contenuti, ferma restando la necessità di fornire profili autorizzativi differenziati per la conoscenza dell’elenco e dei contenuti del fascicolo;

f) dell’identificativo del fascicolo medesimo

Le Linee Guida dell’AGID sul fascicolo informatico rafforzano questi concetti introducendo anche i seguenti metadati per un fascicolo:

-data di apertura (o di istruzione);

-data di chiusura;

-i riferimenti di classificazione;

-le coordinate geografiche della posizione fisica dei fascicoli cartacei dove sono

contenuti gli originali analogici riconducibili al fascicolo informatico;

-i riferimenti (link) ad altri documenti informatici, con la possibilità di accedervi;

-i riferimenti (link) ad altri fascicoli corrispondenti a procedimenti connessi a quello

oggetto del fascicolo principale, con la possibilità di accedervi;

-i riferimenti (link) ad eventuali sotto fascicoli.

E’ importante notare come le linee guida AGID si preoccupino fin da subito di come gestire i cosiddetti fascicoli ibridi ovvero composti sia da documenti informatici che cartacei.

Da quanto detto possiamo immaginarci un fascicolo come un documento informatico che relaziona altri documenti tra di loro (ed eventualmente altri fascicoli) che potrà, in linea generale, essere pensabile, a livello di interfaccia utente, come un oggetto del sistema di gestione documentale cliccando il quale sarà possibile richiamare i documenti di interesse i fascicoli connessi, i sottofascicoli o scoprire dove sono i documenti cartacei riferiti al fascicolo stesso.

E’ abbastanza evidente come al cuore della digitalizzazione ci sia proprio non tanto e non solo il documento informatico in generale, ma soprattutto il fascicolo al quale bisogna pensare sempre di più come ad un’unita atomica di archiviazione. Con buona pace, infatti, di alcune eccezioni, come il registro giornaliero di protocollo da mandare in conservazione entro il giorno successivo alla sua formazione è abbastanza difficile immaginarsi un’attività di conservazione che prescinda dal fascicolo e che sia orientata soltanto al documento. Un approccio di questo tipo assimilerebbe il ruolo del conservatore a poco più di un “deposito”, mentre è molto più naturale pensare ad esso come un gestore (eventualmente in outsourcing) di servizi di archiviazione.

In questo contesto viene abbastanza spontanea la risposta alla domanda: “Ogni quanto tempo occorre mandare i documenti in conservazione?”

Per le PA c’è, evidentemente una risposta normativa abbastanza forte nel citato articolo 67 del DPR 445/00: cadenza almeno annuale e memorizzazione su base fascicolo.

Già in un precedente articolo avevamo messo in luce il legame tra il responsabile della conservazione ed il responsabile della gestione documentale disegnando un diagramma di interazione tra i due soggetti:

E’ quindi abbastanza naturale identificare, con poche eccezioni, la fase del passaggio del pacchetto di versamento tra responsabile della gestione documentale e della conservazione con il passaggio dei documenti all’archivio di deposito come identificato dall’articolo 67 del DPR 445/00.

Fin qui è tutto fantastico sulla carta, ma allora dov’è il problema…

Bisogna dire che molti fornitori di servizi di conservazione in outsourcing decidono autonomamente il tempo entro il quale un documento può essere versato in conservazione (in alcuni casi i tempi sono ben inferiori rispetto alla chiusura dei procedimenti e quindi dei rispettivi fascicoli), ragionando, quindi, su base documento e non su base fascicolo.

In molti casi si manda soprattutto da parte delle PA un documento in conservazione molto prima rispetto alla chiusura dei fascicoli perché, ad esempio, si teme che il pacchetto di versamento sia rifiutato a causa della possibile scadenza delle firme sui documenti…rinunciando, pertanto, alla conservazione del fascicolo o mandando quest’ultimo in conservazione solo molto dopo. A rigor di logica bisogna dire, doverosamente, che un documento protocollato e pertanto contenente i metadati di protocollo dovrebbe essere accettato in conservazione se alla data del protocollo la firma risultava valida.

Per realizzare ciò, non è necessario standardizzare il pacchetto di versamento o rendere il processo standard secondo convenzioni restrittive fornite dal conservatore accreditato, ma si potrà scegliere un formato ad hoc idoneo alla segnatura di protocollo, che dovrebbe essere analizzato in fase di controllo del pacchetto di versamento, secondo quanto sottoscritto tra cliente e fornitore del servizio. Il pacchetto di versamento dovrebbe infatti essere sempre visto come un processo, come del resto lo standard OAIS conferma. Si può e si potrà certamente standardizzare il modo di versamento, una volta che il cliente e il fornitore del servizio di conservazione digitale hanno trovato il modus operandi, ma sarà molto difficile poter replicare lo stesso metodo di versamento anche per altri clienti. Se al contrario avviene una standardizzazione verso tutti i clienti da parte del fornitore, vuol dire che si sta guardando al singolo documento e non all’intero archivio e quindi all’informazione e ai dati, cosa che implica un errore di concetto e di proposizione errata. D’altra parte il versamento di documenti in conservazione presso un fornitore molto prima della fine di un procedimento, implica che gli stessi debbano essere tenuti comunque anche nel sistema di gestione documentale contravvenendo ai principi di necessità e non eccedenza nel trattamento dei dati di cui agli articoli 3 ed 11 dell’ancor vigente D.Lgs. 196/2003.

A nostro modesto avviso anche un capitolato per l’affidamento dei servizi di conservazione in outsourcing dovrebbe tener conto di queste cose nei requisiti da porre ai fornitori.

Nella sostanza, il suggerimento è di cambiare il modo di approcciare le problematiche della conservazione, ma siamo fiduciosi che il tempo e la collaborazione tra diverse figure professionali insegnerà tanto in una disciplina così giovane.

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