Le organizzazioni stanno affrontando l’evoluzione sempre più dirompente e rapida dell’Intelligenza Artificiale (IA) secondo modelli diversi, che, semplificando, puntano soltanto all’efficienza e definiscono sulla base di questa l’utilizzo dell’IA e il ruolo attribuito alle persone, oppure ridisegnano processi e lavori insieme al personale, in una logica di partecipazione e di potenziamento delle capacità e del ruolo delle persone nell’organizzazione.
Il cambiamento è profondo in tutti gli ambiti sociali ed economici e nelle organizzazioni che, con passo più o meno rapido e approccio più o meno profondo, sono nel percorso di trasformazione digitale. Si pone quindi il tema di come affrontare questo cambiamento, che richiede prima di tutto una nuova visione.
Non si tratta di nuove opportunità offerte dalle tecnologie, ma di qualcosa di nuovo e pervasivo. Cambiano alcuni elementi di fondo nel governo e nella guida della trasformazione. Cambiano, di conseguenza, alcuni aspetti fondamentali delle competenze di e-leadership per cui ne diventa necessaria una rimodulazione. Una rimodulazione che tenga conto dell’estrema dinamicità della trasformazione dei lavori e dei compiti, e ponga ancora di più al centro delle organizzazioni, in modo strutturale, le persone e quindi i processi di sviluppo e gestione della conoscenza.
Con il testo “Come cambia l’e-leadership con l’Intelligenza Artificiale” mi propongo di contribuire principalmente a questo obiettivo.
Indice degli argomenti
La necessità di un approccio, fuori dai miti
Gli ultimi anni hanno fatto sì che la questione dell’IA diventasse un tema “popolare”, nel senso più ampio di tema presente e discusso anche dai media generalisti, entrando così anche nei dibattiti dei non tecnici. E questo certamente è positivo, come sempre quando un tema per soli specialisti diventa accessibile ai più.
D’altra parte, se questo processo non è accompagnato e supportato adeguatamente per la comprensione critica del fenomeno, rischia di favorire percezioni estreme, adoranti o apocalittiche. Con un elemento comune, di mitizzazione. Su questo fronte ci sono certamente diverse azioni in corso, ma l’attenzione, strutturale, deve essere maggiore, perché abbiamo bisogno di diffusa consapevolezza digitale e di puntare al superamento dell’analfabetismo funzionale, oggi presente in proporzioni drammatiche nella popolazione, tali da mettere in discussione la capacità stessa delle comunità e degli individui di comprendere appieno i problemi e la complessità della nostra società. E di conseguenza di comprendere e affrontare la portata e le implicazioni della rivoluzione dell’IA.
Nel mondo tecnico e scientifico sembra prevalere invece una percezione sulla diffusione e l’evoluzione delle tecnologie di IA che si sta rapidamente polarizzando su due posizioni:
- una che vede i progressi dell’IA come naturalmente positivi e tesi alla costruzione di un futuro ipertecnologico in cui l’umano certamente avrà benefici se saprà adattarsi e utilizzare al meglio le opportunità offerte dalla rivoluzione digitale;
- l’altra che ritiene necessario intervenire sull’evoluzione dell’IA in modo che il suo uso possa essere incanalato su un sistema di controlli e regole, tale da evitare derive e utilizzi rischiosi per la società, oltre che favorire uno sviluppo “centrato sulla persona”, con l’incorporamento dell’approccio etico nei sistemi stessi di IA.
Queste due posizioni condividono, però, una stessa interpretazione dell’evoluzione dell’IA: un’evoluzione che ha sia un verso che una direzione e che può essere rallentata, irregimentata, come una strada con i guard-rail, per rendere meno rischioso il percorso, ma nel contesto di un percorso già tracciato dalla tecnologia stessa.
È come se ci trovassimo di fronte a una tecnologia in grado di autodeterminare il proprio futuro, per cui l’intervento umano fosse possibile soltanto nel senso del miglioramento degli impatti, dell’addolcimento delle asperità e degli aspetti negativi, della massimizzazione della capacità di controllo.
Lo scenario dell’utilizzo dell’IA
Credo che la postura verso le tecnologie digitali e verso l’IA debba essere diversa, pur con la consapevolezza che senz’altro l’IA sta producendo e produrrà cambiamenti molto più profondi e pervasivi delle tecnologie che si sono fin qui succedute, tanto da poter etichettare come rivoluzione antropologica l’attuale rivoluzione digitale. Diversa nell’approccio e nell’intenzione.
Nell’approccio, poiché occorre considerare che l’evoluzione attuale dell’IA è determinata in larga parte dalle logiche di profitto delle BigTech, oltre che dalle spinte sempre più forti che provengono dai quadri bellici. Sono spinte che conducono, da un lato, a un’automazione sempre maggiore che consenta di moltiplicare soldati, operai, impiegati, e dall’altro di occupare e gestire le maggiori risorse dei singoli individui: il tempo e l’attenzione. Dentro questa rapidissima valanga evolutiva ci sono anche potenzialità enormi per migliorare la qualità della vita delle persone: gli esempi della sanità e della telemedicina fanno parte di questi, già in pratica, e non sono gli unici.
L’elemento che differenzia, però, l’approccio che a mio avviso si dovrebbe assumere (ai diversi livelli di ruolo sociale e di aggregazione) è il pensare che la direzione e il verso dell’IA debbano essere determinati per il benessere sociale. Perché l’evoluzione tecnologica è una scelta sociale dentro un quadro economico e culturale che deve essere coerente con la visione di mondo che si vuole realizzare. Una scelta sempre più difficile quanto più l’attuale percorso procede in continuità e indisturbato, con le sole armi del controllo e della mitigazione. In sintesi, un approccio che parte dalla convinzione che nulla realizzato dall’umano può essere considerato ex-ante ineluttabile, irreversibile. E quindi tutto può essere criticamente analizzato, discusso, riprogettato, reinventato, oltre che modificato. E questo accade anche per l’IA.
Per una “IA positiva”
Al diverso approccio deve seguire una coerente intenzione di intervento. Un intervento volto a realizzare uno scenario desiderabile socialmente anche con l’IA, grazie alle enormi potenzialità di questa tecnologia, direzionandola verso l’obiettivo di supportare la società nel rendere migliore la vita dei suoi individui. Partendo così dall’obiettivo che si vuole raggiungere e indirizzando la ricerca e l’evoluzione applicativa dell’IA verso i compiti più utili ed efficaci per l’obiettivo. È questo, che intendo come “IA positiva” verso cui dirigere il nostro impegno.
Nulla di nuovo, in fondo, ma oggi appare rivoluzionaria la consapevolezza che, ad esempio, le evoluzioni dell’IA nel senso dell’emulazione dell’umano (inseguendo il mito dell’Intelligenza Artificiale Generale) sono da bloccare perché inutili, oltre che dannose (a livello economico, sociale, culturale), e rischiano di condurci verso la costruzione di ambienti fisici in cui le macchine producono migliori risultati ma che le persone percepiscono come limitanti.
Questo approccio e questa intenzione credo debbano permeare i nostri comportamenti nei confronti dell’evoluzione della rivoluzione digitale e antropologica. Perché la scelta di cui occorre occuparsi, per direzionare l’evoluzione tecnologica, è una composizione di scelte politiche, sociali, imprenditoriali, organizzative, individuali. Nel senso più profondo e ampio, si tratta di cambiamento culturale. Anche nelle organizzazioni il tema è centrale.
Il compito dell’eLeader
In questo quadro la sfida che si pone davanti a chi ha responsabilità di guidare organizzazioni, progetti, gruppi di persone è, prima di tutto, una sfida culturale, ed è necessario rimodulare l’e-leadership, tenendo conto di nuove dimensioni di intervento, con un utilizzo consapevole e sostenibile dell’IA.
Occorre, in particolare, costruire “organizzazioni intelligenti”, con processi che stimolino lo sviluppo continuo di conoscenza individuale e collettiva, e che consentano una partecipazione critica e consapevole alla definizione e all’attuazione della strategia organizzativa.
Organizzazioni basate sulla conoscenza e su un’e-leadership diffusa, indispensabile per governare la trasformazione.
L’e-leader ha, così, la responsabilità dell’utilizzo “positivo” dell’IA nella propria organizzazione e, con questa, nella società. Si tratta di definire una strategia per l’IA che indirizzi l’utilizzo verso applicazioni che supportino e aumentino le capacità di azione e decisione delle persone e verso una migliore qualità del lavoro, attraverso un suo ripensamento complessivo e una complementarità tecnologica applicata sui compiti in cui si scompongono i singoli lavori.
Si richiede, così, un incremento del ruolo della direzione del personale, e lo sviluppo di figure di “architetti dei lavori” fulcro di nuclei di innovazione partecipata e della costruzione di un sistema permanente di governo dell’uso dell’IA nell’organizzazione.
Etica e sostenibilità digitale come elementi strutturali della strategia
Nelle competenze di e-leadership è fondamentale la comprensione delle criticità relative agli algoritmi e ai bias correlati. Per l’e-leader questo significa soprattutto creare le condizioni per la partecipazione del personale nelle politiche di innovazione, costruendo sistemi di responsabilità in cui l’IA svolge compiti di supporto e non decisionali e orientando l’utilizzo dell’IA all’aumento delle capacità attraverso, ad esempio, lo sviluppo di sistemi collaborativi.
Allo stesso tempo, è necessario acquisire la consapevolezza che la sostenibilità digitale è organica alla strategia di trasformazione digitale, e la prassi UNI/PdR 147 sulla sostenibilità digitale, è senz’altro da considerare una linea guida per l’attuazione, sia per l’analisi che per la progettazione organizzativa. Di una organizzazione intelligente.
Per una organizzazione intelligente
In una organizzazione intelligente la gestione della conoscenza è l’asse portante dell’architettura organizzativa e l’IA deve svolgere un ruolo fondamentale a supporto.
Per mettere a sistema il processo continuo di apprendimento collettivo e creazione della conoscenza è da seguire il modello SECI di Nonaka e Takeuchi, in cui l’IA può essere abilitante per gli ambienti e le applicazioni di supporto alle quattro fasi di socializzazione, esteriorizzazione, combinazione, interiorizzazione. Ad esempio, attraverso ad esempio co-piloting, chatbot di interrogazione delle basi di conoscenza, simulazioni e scenari di gioco di ruolo per mettere in pratica e così interiorizzare le conoscenze, fornendo supporto e feedback continui personalizzati per rafforzare l’apprendimento. Sistemi e processi che favoriscano anche così le condizioni per una e-leadership diffusa.
Il percorso di sviluppo, secondo l’approccio dell’apprendimento agile, deve essere ibrido, multiforme, integrando formazione interdisciplinare in aula e online, peer-education, laboratori di condivisione e workshop di confronto di esperienze, coaching, palestre d’innovazione personalizzate, basate sull’IA, in un’organizzazione che richiede il miglioramento con risultati misurabili.
Il ruolo sociale dell’e-leader
Questo approccio all’IA porta necessariamente ad una previsione di impegno sociale.
Infatti, l’organizzazione intelligente, che persegue la sostenibilità digitale, agisce per il benessere sociale, economico e ambientale, e quindi per una IA “positiva”. Ed è una scelta che segna la strategia di un’organizzazione privata come organizzazione sociale e dell’e-leader come attore sociale, e distingue l’organizzazione pubblica che crea valore pubblico da quella che vede il suo fine nell’adempimento amministrativo.
Questo orientamento strategico e valoriale si dispiega in tutte le azioni organizzative, ma in particolare verso il contesto esterno ci si può focalizzare sul supporto alla creazione di un ambiente culturale e sociale favorevole all’innovazione, come ad esempio la costruzione di ecosistemi di innovazione territoriali, la realizzazione di sistemi di apprendimento permanente personalizzati, il sostegno a una cultura della partecipazione.
L’auspicio è che questo contributo possa fornire elementi utili ad affrontare le scelte che abbiamo davanti, in ambito sociale e organizzativo, per governare la trasformazione digitale abilitata dall’IA. Ma, ancora prima, che possa spingere a una riflessione profonda sulla necessità di operare scelte e di non ritenere che queste siano già state prese.
Perché la domanda da porsi non è “che cosa potrà fare l’IA”, ma “che cosa vogliamo che faccia l’IA per noi”.













