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Dead Internet Theory: il web è già morto e nessuno se n’è accorto



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La Dead Internet Theory certifica quanto già evidente: Internet è morta. Con il 51% del traffico generato da bot, contenuti prodotti da AI e link che marciscono, il web promesso è scomparso. Rimane un ecosistema artificiale dove macchine creano per macchine

Pubblicato il 1 dic 2025

Gabriele Gobbo

Consulente e docente in digital marketing, divulgatore della cultura digitale



piracy shield Dead Internet Theory

La Dead Internet Theory ha smesso di essere una teoria di nicchia per diventare una realtà certificata dai numeri. Quando il traffico dei bot supera quello degli esseri umani e i contenuti vengono generati da intelligenze artificiali per essere letti da altre AI, occorre chiedersi: siamo davvero ancora padroni del web?

Dead Internet Theory: AI Bots vs. Humans

Quando Facebook simulava gli utenti con i bot

Nelle prime stagioni di FvgTech, il mio programma TV, parlavo di un progetto di ricerca di Facebook che allora sembrava fantascienza: un’intera versione del social network popolata solo da bot.

Non era una fantasia: nel 2020 Facebook stessa ammise l’esistenza di questo progetto, chiamato WES (Web-Enabled Simulation), una vera e propria “rete ombra” dove bot addestrati simulavano il comportamento umano (post, like, commenti) per permettere all’azienda di studiare scenari e testare vulnerabilità. Già allora con Max Guadagnoli discutevamo di questo, e l’AI di massa era ancora lontana.

L’esperimento di Amsterdam: i bot creano odio da soli

Oggi, l’idea di un social network popolato solo da chatbot e intelligenze artificiali non fa più stupore. Anzi, è diventato un campo di studio. Pensiamo al recente esperimento condotto ad Amsterdam dal ricercatore Petter Törnberg: hanno creato un social network senza persone, popolato solo da 500 bot basati su ChatGPT, per capire se, togliendo gli umani, sparissero anche odio e polarizzazione. Il risultato è stato drammatico: no.

Anche senza persone, la rete ha creato da sola bolle, ha amplificato gli estremi e ha concentrato il traffico su pochi account. Hanno scoperto che non è colpa delle “mele marce”, ma della struttura stessa della rete che premia chi urla. È il sistema che produce veleno.

Bot che leggono bot: dalla battuta alla realtà

E qui torniamo ai miei contenuti “ante litteram” dove, fra una battuta e un meme, spiegavo che secondo me saremmo finiti in un mondo in cui i bot avrebbero fatto post che avrebbero letto altri bot e commentati da altri bot, fra l’ilarità generale. Certo, lo dicevo come battuta, ma oggi quell’esperimento di Amsterdam dimostra che avevo tragicamente ragione.

Se ci pensiamo, oggi abbiamo in ogni iPhone la funzione di riassunto di articoli direttamente su Safari, che sfrutta l’AI per generare un riepilogo al volo.

È probabile, quindi, che stiamo usando una AI integrata per riassumere un articolo scritto da un’altra AI. E sia chiaro, non c’è niente di male in sé. Come ho avuto modo di dire, usare l’AI non ci rende né migliori né peggiori, dipende tutto dal come. Se curiamo come si deve la produzione, il risultato sarà comunque nostro e personale.

Dalla teoria di nicchia all’ammissione di Altman

Detto questo, da qualche tempo è (ri)emersa la cosiddetta “Dead Internet Theory” (la teoria dell’Internet morto). È un’etichetta nata nel 2021 in un forum di nicchia (verosimilmente Agora Road’s Macintosh Cafe) per descrivere un fenomeno che molti percepivano: l’idea che la maggior parte di ciò che vediamo online non sia più creato da persone, ma da macchine. Una tesi che all’inizio suonava estrema, ma che oggi trova conferme fattuali. Non è più una fantasia da forum.

Se persino Sam Altman, il CEO di OpenAI, ammette candidamente su X che “sembra che ci siano davvero un sacco di account gestiti da LLM adesso”, capiamo che la percezione è diventata realtà. È un’osservazione reale da parte di chi quegli LLM li costruisce. Nonostante questo, la reazione iniziale nel nostro settore è stata quella solita: ogni teoria che stuzzichi il nerd che è in noi viene abbracciata, commentata, condivisa, approfondita e poi, spesso, lasciata lì. Una teoria, appunto. Ma questa volta, secondo me, si tratta di qualche cosa di più.

Internet è già morta, ma per motivi più antichi

La mia tesi è che Internet sia già morta, ma per motivi che vengono da più lontano. La “Dead Internet Theory” non è la causa, è solo la certificazione di un decesso avvenuto tempo fa. Lo potete capire dai miei continui commenti su come il web sia ormai ridotto ai minimi termini: un luogo pieno di contenuti raffazzonati, popup invasivi, funnel di vendita e pagine web che sono vicoli ciechi, con zero link ad altre pagine. Insomma, è la morte del web come ce lo avevano promesso: libertà, informazione, interconnessione, ipertesti. In questo senso Internet è già morta. Ognuno di noi cura il suo orticello, difende il suo orticello, porta acqua al suo orticello. È l’esatto contrario di quanto dovrebbe essere Internet.

È una logica che ho criticato spesso, ma che oggi, paradossalmente, può avere un senso strategico se quell’orticello diventa un fulcro e non un silo, come ho spiegato analizzando la rinascita del sito web. Ma il più delle volte siamo di fronte a ecosistemi chiusi o a contenuti-spazzatura scritti dall’AI in stile catena di montaggio. Ho scovato diversi miei articoli rimaneggiati e ripubblicati con un altro nome su siti creati e gestiti da sistemi AI, in un caso anche di una testata famosa.

E non lo dico come un “boomer” nostalgico, ma come uno che ci ha creduto fin dal primo giorno, che ha creato e condiviso di tutto per il puro gusto di farlo, fin dai tempi delle BBS. Non è nostalgia, perché io continuo a creare e condividere. È la constatazione di un fatto.

Un fatto che i dati, oggi, confermano. Uno studio del Pew Research Center ha rilevato che il 38% delle pagine web esistenti nel 2013 è oggi inaccessibile. Si chiama “link rot“, la putrefazione dei link.

L’Internet ipertestuale e interconnesso sta letteralmente scomparendo, mangiato dall’incuria e dalla logica dei silos. Quindi sì, l’Internet che doveva essere è bella che morta. E se non è morta, non se la passa molto bene, sospesa fra uno stato comatoso, uno spam popup e un cookie banner.

Il sorpasso: i bot sono il 51% del traffico

E qui arriviamo al paradosso. La mia battuta sui “bot che leggono bot” è appena diventata una statistica ufficiale. Quando dico che metà del traffico è artificiale, non è un’iperbole.

Il Bad Bot Report 2024 di Imperva, la fonte più autorevole sul tema, ha certificato che per la prima volta nella storia di Internet, il traffico generato da bot (51%) ha superato quello generato da esseri umani (49%). Quindi, ricapitoliamo: l’internet che credevamo di conoscere è un luogo dove gli umani sono ormai in minoranza, e dove i link che tenevano insieme la conoscenza stanno marcendo.

Browser AI e la profezia che si avvera

Ora tenete a mente questo e fate correre la mente alla pseudo-rivoluzione dei browser (decisa dai reparti marketing e non dai bisogni reali degli utenti) con navigatori web automatici alimentati e gestiti dall’AI. Bello, vero?

Navigatori artificiali che visitano contenuti artificiali in modo artificiale. Esattamente la profezia che facevo io anni fa, fra l’ilarità generale. L’esperimento di Amsterdam e i browser potenziati dall’AI non sono altro che la sua applicazione su scala globale.

Il 99% dei contenuti sarà generato da AI

A questo aggiungiamo gli “agenti AI e i flussi automatici, e siamo davvero nel teatro dell’assurdo. Non è fantascienza: già nel 2022, un analista del Copenhagen Institute for Futures Studies prevedeva che entro il 2025-2030 il 99% dei contenuti online sarebbe stato generato dall’intelligenza artificiale. Quindi, se i contenuti li creano le AI, e a leggerli (statisticamente) sono altre AI, che senso ha tutto questo?

La crisi del mercato e l’unica via d’uscita

Non creiamo più contenuti, non leggiamo più contenuti, non scriviamo più contenuti. Non commentiamo più contenuti. Non navighiamo più fra i contenuti. Perché quindi non chiudiamo Internet e torniamo a incontrarci in piazza con uno spritz?

E badate bene che tutto questo non è solo un risultato distopico per noi come utenti, ma mina dalle fondamenta tutto il mercato che gira attorno al web: editori, inserzionisti, negozianti, specialisti e chi più ne ha più ne metta. Se il tuo pubblico non è più umano, per chi stai producendo? Per chi stai facendo pubblicità? Come ho già scritto, l’unica soluzione è la rivincita dei contenuti utili, scegliendo di scrivere per gli umani e non per le macchine.

Il colpevole che non sappiamo spegnere

E quindi sì, ritengo che Internet sia già morta. Ma ben prima che la “Dead Internet Theory” diventasse virale. Quella è stata solo la constatazione amichevole. Lo stesso Altman, dopo aver ammesso l’invasione, ha aggiunto con amara ironia: “stiamo tutti cercando di trovare il colpevole”. L’ironia è che il colpevole lo abbiamo creato noi, e ora non sappiamo più come spegnerlo.

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