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Dati prigionieri nel cloud: come l’AI può liberare la PA



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La migrazione verso il cloud, se basata su SaaS chiusi, rischia di trasformarsi in una prigione di dati. Perché la pubblica amministrazione possa usare agenti AI efficaci servono interoperabilità reale, accesso alle fonti e un ecosistema aperto, non dipendente dai fornitori

Pubblicato il 10 dic 2025

Andrea Tironi

Project Manager – Digital Transformation



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Gli agenti intelligenti (AI agent) stanno diventando sempre più abili nell’analizzare dati eterogenei all’interno degli enti e delle aziende: dal log di un’applicazione, alle email, ai documenti PDF, ai flussi dei sistemi di back-office. Questa capacità crescente trasforma radicalmente il ruolo dei dati e, con esso, la sfida che attende la Pubblica Amministrazione.

In questo contesto, i silos di dati, ovvero quei depositi segregati, separati, spesso ermeticamente chiusi, emergono come uno degli ostacoli più strutturali al progresso digitale della PA.

Spesso abbiamo discusso del tema dell’interoperabilità: lo scambio di dati, la cooperazione tra sistemi, la capacità di far parlare tra loro applicazioni diverse. Ma oggi, più che mai, l’interoperabilità non è un’opzione ma diventa una condizione nodale. I dati chiusi nelle “roccaforti‐datacenter” dei fornitori rappresentano uno spreco di potenziale enorme ed evidente: la PA possiede risorse informazionali che, nel momento in cui restano isolate, non generano valore. Questa situazione non è più sostenibile in un’epoca in cui l’intelligenza artificiale può generare insight rilevanti “collegando i puntini” tra fonti diverse.

Interoperabilità dati pubblica amministrazione: dai silos al valore

Per questo motivo, la PA del futuro deve scegliere non solo il software che le permette di fare quello che serve, ma soprattutto un software aperto, un software che le consenta di controllare i propri dati, affinché essi possano essere resi disponibili ai propri sistemi di AI. La differenza non è più solo “fa quel che serve?”, cosa che ormai è un requisito quasi scontato, ma “mi permette di esprimere il valore dei miei dati, incrociandoli e diventando capace di decidere sulla base di essi?”. In epoca di IA, la decisione del “cosa fare” diventa centrale: e affinché la decisione sia davvero data-driven oltre che intuizione-driven, serve che i dati siano liberati, interoperabili, accessibili.

Infatti, con le capacità in costante crescita dell’intelligenza artificiale, il valore che oggi si può creare collegando dati per farli diventare informazione è più alto che mai. Un clic su un’email, registrato nel sistema di un fornitore, può trovare corrispondenza in un inserimento anagrafico registrato in un altro. Se è possibile costruire un agente AI che accede a entrambe le fonti, analizza la correlazione e suggerisce azioni, allora sì che stiamo parlando di un salto di qualità nel servizio pubblico. Questo salto però è reso difficile se quei dati sono nascosti, segregati, costretti in ambienti che non consentono il libero accesso.

Dati in cloud e lock-in: un freno all’interoperabilità nella pubblica amministrazione

Purtroppo, nell’ambito dell’Avviso Investimento 1.2 “Abilitazione al Cloud per le PA Locali”, molti dati della PA locale sono stati migrati in cloud, spesso in modalità SaaS che sono, di fatto, semplici migrazioni in cloud IaaS ma in ambienti chiusi e prigioni di dati. Questa scelta accentua il problema: rende difficile l’estrazione dei dati, potenzia il lock-in, aumenta i costi di cambio fornitore (switching costs). La situazione peggiora se si considera che dallo stesso fornitore si è acquistato anche il back‐office (perché “così è tutto integrato”), e magari anche il front-office tramite l’Avviso Misura 1.4.1 “Esperienza del Cittadino nei servizi pubblici”. Il risultato? Il Comune, l’ente locale, si trova in evidente stato di debolezza negoziale: i fornitori detengono i dati, controllano l’infrastruttura, e spingono ad acquistare i propri servizi di AI – costosi e/o di qualità discutibile dal punto di vista dell’architettura cloud driven, invece di consentire di costruire sistemi personalizzati o di acquistare da altri.

Vendor SaaS, accesso ai dati e costi di integrazione

Nei casi peggiori, i vendor SaaS, pur avendo compreso la dinamica, stanno addirittura complicando l’accesso ai dati: rendono più difficile per l’ente (in futuro per i suoi agenti AI) accedere in modo efficiente alle fonti, perché non vedono il potenziale trasformativo della cosa ma solo il rischio per il proprio modello di business: da software house a repository di dati. E contemplano il potenziale trasformativo solo se fatto con se stessi, limitando la libertà di scelta applicativa degli enti.

E, al contempo, gli oneri delle integrazioni restano elevatissimi: è prassi ormai che i fornitori richiedano un pagamento per rendere disponibili API. E anche se rendono già disponibili API, il collegamento ad altre API viene messo sotto contratto con costi di avvio e canoni di manutenzione, ancora con la mentalità del “modulo applicativo” e con cifre fuori mercato: centinaia o migliaia di euro per il canone di un solo collegamento. Questo rende insostenibile economicamente l’interoperabilità e gonfia la spesa corrente già limitata degli enti locali.

Organizzare dati strutturati e non per l’intelligenza artificiale nella PA

Negli ultimi dieci anni abbiamo fatto molto per organizzare i dati strutturati negli enti: tabelle, banche dati, anagrafiche. Ma ora che l’intelligenza artificiale è in grado di elaborare anche i dati non strutturati molto meglio di prima (i PDF, i file di testo, le immagini, i metadati) diventa ancora più prezioso organizzare anche questi ultimi. Renderli accessibili, interrogabili, leggibili dai sistemi AI per estrarne conoscenza e trasformarla in saggezza. Nell’era dell’AI generativa, enti e individui hanno davanti un compito cruciale: organizzare i propri dati per renderli pronti all’AI.

Verso una pubblica amministrazione data-driven e interoperabile

La pubblica amministrazione del futuro non potrà essere quella che «migliora le prestazioni» attraverso mezzi tradizionali: dovrà essere quella che sa mettere i dati al servizio delle decisioni, che sa integrare sistemi, che sa interoperare, che dispone di un ecosistema in cui ogni silos viene considerato una debolezza, non uno scudo. Dove i fornitori non sono solo “fornitori di software” che durante il PNRR hanno potuto diventare data center ricchi dei dati della PA grazie a enormi finanziamenti pubblici, ma evolvono in partner nel percorso verso un’architettura di dati aperta, controllabile, accessibile. Dove la scelta del software non è più solo “funziona per fare quel che serve”, ma “ci consente di valorizzare i nostri dati e li mette a disposizione dei nostri sistemi AI”.

Una PA aperta ai dati e agli agenti intelligenti

Se vogliamo che la PA non resti confinata a un ruolo di burocrate digitale, ma diventi un motore di servizio al cittadino e alle imprese, di efficacia, di innovazione, allora serve che si liberi dai silos. Serve che ponga i dati al centro. Serve che renda possibile a quegli agenti intelligenti che oggi stanno emergendo l’accesso ai dati, l’incrocio di fonti, il supporto alle decisioni. Questo sarà permesso da dati liberi, non confinati. Il futuro è aperto, ma solo se i dati lo sono.

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