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Fondi Ue 2021-2027: quali usare e come per digitalizzare la PA



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I fondi europei per la transizione digitale delle PA italiane sono fondamentali per continuare il processo avviato dal PNRR. In questo contesto, il Quadro Finanziario Pluriennale 2021-2027 offre risorse significative per sostenere l’evoluzione digitale delle amministrazioni pubbliche

Pubblicato il 4 lug 2025

Gianluca Marcellino

Demand Officer, Comune di Milano



pa digitale servizi digitali dei comuni

A un anno dalla fine del PNRR, e alle porte del ciclo di pianificazione finanziaria UE 2028-2035, quali risorse europee per l’investimento possono aiutare a sostenere la transizione digitale della PA – compresi gli impegni ereditati dal PNRR stesso?

Dal 2021 al 2026, il PNRR sta facendo progredire molto la digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni italiane, dalla formazione e consapevolezza, alla ingegnerizzazione e automazione di processi e servizi migliori per cittadini e imprese, alla migrazione al cloud e alla cybersecurity.

Proviamo a capire quali altri fondi potranno usare le PA per continuare l’evoluzione, e innanzitutto sostenere gli impegni di spesa ricorrenti che si sono assunte adottando soluzioni digitali in cloud.

Come si gestiscono i fondi UE e come si usano per la digitalizzazione

Molti attori, come vedremo di seguito, e alcuni osservatori del mercato considerano i fondi erogati dall’Unione Europea per gli investimenti uno degli strumenti più efficaci per sostenere le evoluzioni che il PNRR aveva accelerato ed ora rischiano di rallentare o addirittura fermarsi. Come si fa a usare per la transizione digitale delle PA italiane questi fondi, che oggi sono inseriti nel Quadro Finanziario Pluriennale 2021-2027 (QFP, o MFF da Multiannual Financial Framework)?

Il processo per ottenere i fondi per digitalizzare la PA

Il punto di partenza per rispondere a questa domanda è il processo necessario per ottenerli, lungo e complesso: occorre innanzitutto identificare i bandi a cui si può aderire, poi presentare proposte così valide da ottenere i fondi, poi spenderli nel tempo previsto, rispettando le norme per la spesa pubblica e quelle specifiche di ciascun fondo. Nell’esecuzione bisogna conseguire tempestivamente i risultati qualitativi e quantitativi dai quali dipende il finanziamento, e infine rendere conto delle spese e dei risultati, seguendo le regole e sostenendo le verifiche necessarie (“asseverazione”).

È un processo che le PA italiane hanno faticato a adottare e a seguire, lasciando sul tavolo fondi significativi ancora fino a tutto il QFP 2007-2013. Negli ultimi due cicli, 2014-2020 e soprattutto nell’attuale 2021-27, siamo diventati molto più efficaci, grazie anche al forte stimolo derivato dalla necessità di seguire processi molto simili per il PNRR. È stato essenziale che molte PA si siano dotate di specialisti e del supporto di organizzazioni esterne (Assistenza Tecnica, come definita nei bandi UE), con esperienza specifica nella gestione e controllo dei fondi/programmi UE.

Le risorse dei numerosi programmi di investimento dell’Unione Europea provengono dal contributo di tutti gli stati membri, e vengono rivolti in particolare ai paesi con maggiori esigenze di coesione territoriale con il resto dell’Unione. Uno dei fondi principali nel QFP attuale, come nei precedenti e verosimilmente nel successivo, è il Fondo di coesione, istituito nel 1994, che finanzia progetti a favore dell’ambiente e della rete transeuropea negli Stati membri il cui reddito nazionale lordo (RNL) pro-capite è inferiore al 90 % della media dell’UE. Nel quadro finanziario pluriennale (QFP) attuale, il fondo finanzia programmi nazionali in 15 dei 27 Paesi membri. L’Italia, che ha un RNL superiore, è tra i Paesi esclusi. Da tempo, infatti, l’Italia, che una volta era tra i Paesi meno sviluppati di una Comunità Europea molto più piccola rispetto all’attuale Unione, versa al bilancio europeo più fondi di quanti ne riceva. L’eccezione degli ultimi anni è stata il Dispositivo per la ripresa e la resilienza (RRF), dal quale l’Italia ha ricevuto per il PNRR una quota particolarmente elevata, in considerazione dell’impatto elevato della pandemia COVID-19 sul nostro paese.)

Fondi diretti e indiretti per la digitalizzazione delle PA

I principali fondi europei disponibili nel QFP 2021-2027 per le PA italiane, e utilizzabili per la digitalizzazione, sono:

FONDI DIRETTI

FondoInterventi finanziabili per la PA digitaleGestione
Horizon EuropeRicerca e innovazione applicata alla PA; Progetti pilota e sperimentazione nella PA; Soluzioni digitali avanzate (es. IA, big data).Commissione Europea
Digital Europe Programme (DIGITAL)Cloud europei; Identità digitale e wallet europei; Cybersecurity pubblica; Competenze digitali avanzate per la PA.Commissione Europea
CEF Digital (Connecting Europe Facility)Infrastrutture digitali transfrontaliere;Connettività ad altissima velocità per enti pubblici;Miglioramento e costruzione di backbone europei.Commissione Europea

FONDI INDIRETTI, “DI COESIONE”

FondoInterventi finanziabili per la PA digitaleGestione
FESR (Fondo Europeo di Sviluppo Regionale)Infrastrutture digitali interoperabili ed evolute per la PA; Digitalizzazione dei servizi pubblici e miglioramento dell’esperienza degli utenti, anche tramite reingegnerizzazione dei processi interni a ciascuna PA; Analisi dei dati attraverso IoT e Big Data; Strumenti digitali a supporto delle decisioni.Regioni o autorità di gestione nazionali
FSE+ (Fondo Sociale Europeo Plus)Formazione del personale pubblico e sviluppo delle competenze digitali dei dipendenti della Pubblica Amministrazione; Formazione digitale per i cittadini per facilitare l’accesso ai servizi pubblici e l’inclusione digitale.Regioni o autorità di gestione nazionali

I fondi diretti sono gestiti direttamente dalla Commissione Europea, che li assegna a enti pubblici e privati che presentano domanda; I fondi indiretti, invece, vengono affidati ai singoli Stati membri, che li distribuiscono a livello nazionale o regionale seguendo procedure e controlli simili a quelli della Commissione.

Un altro elemento fondamentale per capire come sfruttare i fondi europei nella transizione digitale delle pubbliche amministrazioni italiane è la tempistica: cosa è ancora disponibile nella seconda metà del 2025 per un ciclo di programmazione che si conclude poco più di due anni dopo? Qui ci sono due buone notizie:

  • Ci sono ancora fondi per nuovi progetti da avviare.
    Poiché programmare e pubblicare ogni bando richiede tempo e risorse – spesso limitate per le organizzazioni che se ne occupano – molti bandi vengono lanciati anche negli ultimi anni di ciascun Quadro Finanziario Pluriennale (QFP). Alla fine di giugno 2025, lo EU Funding & Tenders Portal segnalava 627 bandi (request for proposal) aperti o di prossima apertura, potenzialmente rilevanti per la transizione digitale: 562 per “Horizon Europe “, 57 per “Digital Europe”, 7 per “Connecting Europe Facility” e 1 per FSE+.
  • I progetti QFP 2021-2027 possono continuare fino alla fine del 2029.
    Poiché l’assegnazione dei primi fondi, in particolare quelli indiretti gestiti tramite stati e regioni, richiede più di un anno all’inizio di ogni ciclo, i beneficiari dei progetti approvati possono spendere fondi e portarli a conclusione anche qualche anno dopo la fine nominale del QFP corrispondente. Nel caso del QFP attuale, Le spese sono ammissibili se sostenute tra il 1º gennaio 2021 e il 31 dicembre 2029, purché si riferiscano ad operazioni selezionate entro il 31 dicembre 2027.

Quanti sono i fondi EU QFP 2021-2027 ancora disponibili per la digitalizzazione delle PA

Le informazioni ufficiali sul portale EU Funding & Tenders per i fondi diretti e su OpenCoesione – Programmi 2021-2027 per quelli indiretti sono molto ricche per quanto riguarda i fondi disponibili e quelli spesi e rendicontati, e l’analisi per area geografica; molto meno o per nulla chiare per quanto riguarda gli ambiti di spesa: cosa si può effettivamente usare per la digitalizzazione delle PA italiane? L’impressione è che la Commissione e gli enti nazionali e regionali responsabili dell’erogazione dei fondi badino ancora soprattutto a rendere visibili agli elettori di ciascun territorio, alle imprese e alle opinioni pubbliche, quanto è disponibile e quanto è stato erogato, più che cosa si è costruito. (Valutare l’efficacia degli investimenti comunitari e nazionali europei richiederebbe più di una pagina come questa. Qui si può ricordare che alcuni osservatori sono fortemente critici sull’efficacia dei programmi di investimento europei, in particolare confrontando i risultati del nostro modello con quelli dei modelli statunitense e cinese.)

Per identificare puntualmente i fondi disponibili occorre quindi esaminare i singoli bandi, verificarne ambito funzionale e geografico, importo e requisiti di partecipazione.

Per i fondi diretti, una breve analisi molto parziale dei bandi aperti a fine giugno (20bandi Horizon Europe su 562, 10bandi Digital Europe su 57, e tutti gli 8 bandi CEF ed FSE+) sembra indicare che:

  • Nei prossimi mesi le PA italiane possono chiedere ancora decine di miliardi di euro di fondi europei diretti utilizzabili anche per la digitalizzazione!
    Si tratta in gran parte di fondi Horizon Europe, di alcuni dei fondi Connecting Europe Facility, e del bando FSE+. I fondi Digital Europe ancora disponibili, che valgono 3,5 milioni di euro in tutto, sono invece per borse di studio, assegni e fondi a progetti di ricerca.

D’altra parte

  • Tutti questi fondi sono destinati a progetti di forte innovazione, e in ambiti essenziali per il benessere comune a lungo termine ma secondari per la gestione quotidiana delle amministrazioni locali e centrali: energia rinnovabile, mobilità sostenibile, edilizia sostenibile e resiliente, interconnessione delle infrastrutture per l’alimentazione di veicoli con risorse rinnovabili. Il piccolo (1,5 M euro) progetto “COMHOM – COMbating HOMelessness” del Fondo Sociale Europeo Plus è un valido esempio: si tratta di digitalizzare la definizione e la gestione di soluzioni per i senza casa che non siano ancora digitali, e renderle data-driven.
    Sembra difficile, quindi, che questi fondi possano pagare i canoni di servizi cloud già attivi per calcolare pensioni, riscuotere cartelle esattoriali, produrre certificati anagrafici e in generale far girare le ruote della PA.

Insomma: ci sono molti fondi disponibili ma non è più vero l’antico stereotipo, valido ancora fino al QFP 2007-2013, delle PA italiane che per pigrizia lasciano sul tavolo risorse enormi. Quelle che oggi rinunciano a concorrere per questi fondi scelgono di rinunciare a nuovi grandi investimenti per il futuro e concentrarsi sul quotidiano, una scelta legittima e spesso necessaria, anche per chi vorrebbe mirare più in alto.

Per quanto riguarda invece i fondi indiretti, e i fondi nazionali che il bilancio dello stato mette a loro complemento, le informazioni effettivamente disponibili per il QFP 2021-2027 tacciono completamente sul contenuto dei progetti e quindi sulla loro rilevanza per la digitalizzazione.

Il portale OpenCoesione che fornisce questi dati per il precedente QFP 2014-2020, infatti, è “in fase di attivazione” per il ciclo in corso, e rinvia ai report bimestrali del Bollettino Monitoraggio Politiche di Coesione della Ragioneria Generale. L’ultimo disponibile al momento, aggiornato al 28 febbraio 2025, analizza i dati per fondo e per regione, senza informazioni sul contenuto. L’unica informazione attualmente disponibile sulla disponibilità dei fondi indica che risultano impegnati circa 13.500 miliardi di euro, su una dotazione complessiva dei programmi pari a 75.000 miliardi, ovvero meno del 18%. Ciò significherebbe che oltre l’80% delle risorse risulti ancora da impegnare. È presumibile che una parte consistente dei fondi di coesione sia già stata almeno assegnata e che quindi solo una parte sia ancora aperta a nuove candidature.

Per quanto riguarda poi l’applicabilità dei fondi di coesione alla digitalizzazione, in mancanza di indicazioni sul contenuto dei programmi nazionali e regionali che vadano al di là dei titoli, si può osservare che, nel mondo fortemente pervaso di tecnologie digitali nel quale funzionano oggi le organizzazioni pubbliche e private, i servizi digitali sono rilevanti per qualsiasi ambito di servizio pubblico, quindi tutti questi fondi possono essere usati almeno in parte per iniziative di digitalizzazione. D’altra parte, diversi operatori, anche tra quelli citati ne “Le esperienze sul campo” segnalano che spesso ancora oggi progetti di assistenza sociale o sviluppo delle infrastrutture ignorano completamente i servizi digitali che pure sarebbero utili, a volte necessari, per gestirli al meglio. È quindi possibile che molti dei progetti finanziati con questi fondi non prevedano alcuna componente digitale, e anzi creino addirittura oneri aggiuntivi non pianificati per i servizi digitali che si riveleranno necessari a gestirli.

Meglio dei fondi europei diretti descritti sopra, questi fondi indiretti possono essere usati almeno in parte anche per mantenere attivi e far evolvere servizi digitali già sviluppati. Come è evidente in alcuni resoconti della sezione “Le esperienze sul campo”, è anzi comune che molti dei programmi di investimenti definiti per un QFP siano evoluzioni di quelli del QFP precedente, e le pubbliche amministrazioni che avevano ottenuto fondi nei precedenti ne richiedano, e ne ottengano, anche nei successivi, proprio per progetti che sono l’evoluzione e prosecuzione di quelli finanziati nel periodo precedente.

A completare il quadro, che appare indistinto anche per le scelte comunicative dei governi italiano ed europeo, qualche altra osservazione che chi scrive ricava dai contributi de “Le esperienze sul campo”, sotto, e da altri commenti colti da diversi operatori, e propone come valutazioni proprie:

  • Molti dei parametri quantitativi sui quali avviene l’asseverazione dei risultati effettivi dei progetti sono utili a misurarne la portata più che l’effettivo ritorno sull’investimento. Per esempio, in alcuni casi si valuta il numero di cittadini o di dipendenti pubblici raggiunti da un nuovo processo o da una nuova infrastruttura digitale, più che il miglioramento nella qualità del servizio offerto, o nei tempi di attesa. Combinando questa circostanza con il fatto che alcuni filoni di iniziativa si raccordano in sostanziale continuità tra un Quadro Finanziario Pluriennale e il successivo, diventa effettivamente possibile mescolare evoluzione e conduzione, cioè usare almeno una parte dei fondi europei ottenuti per un progetto di innovazione anche per sostenere i costi ricorrenti dei servizi già introdotti nel programma precedente. Risulta quindi fondata l’aspettativa, condivisa da molti operatori e analisti del settore, che i fondi strutturali e di investimento europei potranno effettivamente contribuire, seppur entro i limiti previsti, alla copertura di alcune spese correnti strettamente connesse all’attuazione e alla sostenibilità delle innovazioni ottenute con il PNRR e i programmi europei del QFP precedente.
  • Esistono ancora spazi importanti di miglioramento nella valorizzazione dei fondi europei disponibili, e non tutti vanno nel verso di una maggior adozione. Alcuni dei centri di eccellenza che aiutano le pubbliche amministrazioni a scegliere e introdurre soluzioni digitali scelgono di non sviluppare competenze nella gestione dei fondi europei. È il caso, per fare un unico esempio, dello stesso Consorzio IT, società di servizi ICT e per la trasformazione ecologica per le PA dell’Area Omogenea Cremasca, meglio descritto in questo articolo precedente. Proprio il Consorzio ha contribuito con i propri dati e analisi concreti a uno studio secondo il quale la soluzione economicamente più sostenibile per mantenere attivi alcuni importanti servizi digitali avviati negli ultimi anni potrebbe essere quella di toglierli dal cloud pubblico e “rimpatriarli” su infrastrutture efficienti e ben gestite a livello locale!
    Sembra corretto, oltre che doveroso, rispettare valutazioni simili da parte di organizzazioni per tanti altri versi apprezzate in tutta Italia, e quindi ricavarne che almeno in alcuni casi i fondi strutturali e di investimento europei e nazionali possono essere meno utili a medio termine di quanto sembri, quando si tenga conto di tutti i costi , compresi quelli amministrativi per la loro gestione.

Le prospettive per il prossimo ciclo di programmazione dell’UE, 2028-2035

Nel nuovo scenario internazionale di questi anni, e ancor più degli ultimi mesi, la Commissione Europea von der Leyen 2 sta già cominciando a definire i principi generali del prossimo Quadro Finanziario Poliennale, quello 2028-2035. Dalle prime indicazioni, condivise dalla Commissione su queste pagine già nello scorso aprile, aumenterà la priorità di temi come la difesa, secondari nei cicli precedenti. È di gran lunga troppo presto per dire come questo modificherà la disponibilità di risorse per la digitalizzazione; certo alcune tecnologie innovative benefiche per l’autonomia strategica del continente sono tecnologie digitali, e potrebbero ricevere investimenti ancora maggiori.

Un altro filone già attivo, questo dalla periferia verso il centro, è il lavoro degli enti locali italiani per potenziare ancora il filone nato nel 2014-20 come PON Metro, e divenuto poi PN Metro Plus nel 2021-27. Si tratta di investimenti indirizzati direttamente a grandi città e aree metropolitane, anziché ad unità politiche e geografiche più ampie, alla ricerca di un maggior impatto positivo su territori alla frontiera dei cambiamenti sociopolitici e climatici. Già in aprile 2025 l’ANCI, associazione nazionale dei comuni, ha presentato l’”Agenda dei Comuni e delle Città per la Coesione”, per rivendicare l’efficacia dell’esperienza degli ultimi due cicli di programmazione, e perorarne il ruolo nel prossimo.

Le esperienze sul campo

Comune di Milano

Oltre ai fondi del PNRR, il comune di Milano ha già usato fondi strutturali europei per potenziare i propri servizi digitali, soprattutto tramite il programma indiretto PON Metro 2014-2020 (e il suo programma complementare nazionale) e il successore PN Metro + nel settennio 2021-2027. Molto più limitato è stato l’uso di fondi diretti europei, riservati ad alcuni progetti pilota di innovazione, come “SPOTTED” all’interno di Connecting Europe Facility e “Synchronicity” per le prime implementazioni di Smart City e IoT.

Alcuni dei progetti PON Metro e PN Metro + hanno avuto una componente digitale significativa, o addirittura preponderante. Ad esempio, i fondi del PON Metro sono serviti per realizzare il “Piano Organizzativo per il Lavoro Agile (POLA)” nel 2020 e 2021, permettendo al comune di erogare i propri servizi durante la pandemia COVID-19. Il quadro complessivo delle attuali Priorità PN Metro + per Milano ne individua 6. La priorità 1 è interamente dedicata alla Agenda Digitale e all’Innovazione, con l’automazione dei processi gestionali della nuova Biblioteca Europea Informazione e Cultura, la Scrivania digitale e resilienza IT, erede e potenziamento del precedente POLA, la Smart City e sviluppo del Gemello Digitale esteso, espansione del Gemello digitale già avviato con il PON, e la Control Room – nuova centrale operativa della polizia locale e controllo traffico della mobilità. Le altre cinque priorità PN Metro + riguardano invece servizi prevalentemente erogati in maniera analogica, e infrastrutture fisiche.

Per grandi città come Milano riveste quindi particolare importanza la componente dei fondi strutturali europei assegnata alle città stesse oltre che alle regioni, che a Milano ha avuto grande successo, tanto che dal QFP 2014-2020 al 2021-2027 è passata da 40 a 149 milioni di euro. Per questo il comune, che ha creato una Direzione Specialistica “Autorità di Gestione e Monitoraggio Piani”, ha dedicato all’attuazione del PN Metro + e alla programmazione strategica dei finanziamenti europei e nazionali un’unità organizzativa specifica, e ora segue e sostiene con attenzione l’iniziativa dell’ANCI per l’Agenda di Comuni e Città sulle politiche di coesione europee citata sopra.

CSI Piemonte

Questa in-house di servizi digitali alle pubbliche amministrazioni, descritta meglio in questo articolo precedente, nacque nel 1977 come “ente strumentale” di un insieme di pubbliche amministrazioni del Piemonte, e ha ora più di 130 consorziati in tutta Italia. Oltre a fornire servizi digitali applicativi e infrastrutturali agli enti pubblici e ad alcuni loro fornitori, in particolare tramite il proprio cloud “Nivola” (“nuvola” nei dialetti del nordovest), il CSI supporta gli enti suoi clienti anche nel mondo complesso dei fondi e dei finanziamenti europei, e nel rispetto delle regole dettate dalla Commissione Europea in materia.

A seconda delle caratteristiche e della natura del progetto finanziato, il supporto fornito può consistere nella progettazione, o nella predisposizione della documentazione amministrativa e tecnico-economica prevista dal Codice dei Contratti Pubblici italiano e dalla normativa europea. Oltre che questo ruolo di Assistenza Tecnica, CSI può essere realizzatore, sempre su incarico della PA cliente, del servizio digitale, nuovo o ammodernato, per il quale il cliente stesso riceve il finanziamento. In quest’ultimo caso CSI si approvvigiona in autonomia anche dei fattori produttivi necessari.

Con l’obiettivo di permettere alla PA di ottenere effettivamente il finanziamento attribuitole, CSI la aiuta poi a comunicare ed aggiornare sulle piattaforme dedicate le informazioni necessarie per la gestione amministrativa e la rendicontazione dei singoli progetti, delle spese sostenute e dei risultati raggiunti, partecipando anche, come “realizzatore” e per conto degli enti clienti, agli audit della Commissione Europea finalizzati alla verifica del progetto, l’“asseverazione” dalla quale dipende l’erogazione finale dei fondi.

La collocazione di CSI nell’ecosistema, come erogatore di servizi a più di 130 PA, mette a disposizione di tutte queste amministrazioni le competenze di gestione e rendicontazione di fondi europei, oltre quelle tecniche, facilitando a tutte l’accesso ai fondi che sarebbe oneroso per ciascuna compiere in autonomia, e difficile o proibitiva per le più piccole.

ETT Solutions

ETT è un’azienda digitale e creativa internazionale, specializzata in innovazione tecnologica, oggi in particolare per le iniziative culturali delle pubbliche amministrazioni: aiuta organizzazioni locali e nazionali in tutta Europa a gestire e promuovere beni culturali e musei. Su questi e altri temi ha lavorato per numerose regioni italiane e per decine di città metropolitane. Per la Commissione Europea, DG per gli affari marittimi e la pesca, ad esempio, ha realizzato EMODnet Physics, uno dei sette progetti tematici del programma European Marine Observation and Data Network, dove si condividono dati fisici sulla situazione dei mari dell’intero pianeta. Per Roma “Ara Pacis – L’ara com’era” e per Milano l’App di visita in AR del Cenacolo Vinciano.

La loro prospettiva sull’uso dei fondi europei da parte della PA italiana si concentra in particolare sul tema della cultura. Secondo Giovanni Verreschi, CEO: “Il ‘bando borghi’ del PNRR, con un miliardo di euro di fondi e la sua cultura di gestione e rendicontazione progetti, ha cambiato irreversibilmente il modo di lavorare delle PA italiane votate alla cultura. Da quando 239 borghi hanno ottenuto 1,6 milioni di euro ciascuno, e altri 20 ne hanno ricevuti 20 ciascuno, e insieme la responsabilità di assumersi obiettivi misurabili, raggiungerli e renderne conto, la gestione di eventi e manifestazioni, musei e sedi storiche che custodiscono tesori poco conosciuti è entrata in una nuova era.” Per dare un’idea della profondità della trasformazione: secondo Verreschi la stessa attenzione degli ultimi anni al decentramento dei flussi turistici oltre le mete più famose è arrivata in Italia anche grazie a questa iniziativa, e solo grazie ad essa ha potuto concretizzarsi.

Per quanto riguarda il dopo PNRR, Verreschi conferma che almeno alcune regioni virtuose hanno già cominciato a usare fondi FESR per proseguire questa trasformazione dei flussi turistici. La Puglia, ad esempio, continua a sostenere tramite il FESR 2021-27 la valorizzazione territoriale e turistico-culturale delle Aree Interne, con interventi anche a supporto della capacità amministrativa. Nella specifica prospettiva delle iniziative culturali, dunque, l’esperienza concreta di ETT conferma che usare fondi strutturali europei per dare continuità alla trasformazione avviata dal PNRR, in quest’ambito così profonda, è perfettamente praticabile. Rimane invece aperta la questione di come dare continuità, con manutenzione e aggiornamento, a quanto realizzato in precedenza.

Fondazione Bruno Kessler (FBK)

FBK è un istituto di ricerca scientifica con sede a Trento, attivo nei campi della ricerca fondamentale e applicata. Grazie ai finanziamenti diretti del programma Digital Europe, è parte della rete di centri di ricerca europea European Digital Innovation Hubs (EDIH), creata dalla Commissione per stimolare la collaborazione tra ricerca, imprese e PA. Attraverso questi fondi le imprese, sia pubbliche, sia private, possono accedere a servizi di ricerca e innovazione a costi agevolati, fino alla gratuità per la pubblica amministrazione.

Come EDIH, FBK è capofila in particolare del progetto Digitalization and Innovation of Public Services (DIPS), con partner come EIT Digital, Università di Trento, Assoservizi, Confindustria Trento, Federazione Trentina della Cooperazione, Hub Innovazione Trentino e Intesa Sanpaolo. Il progetto, che ha ricevuto il “Seal of Excellence” dalla Commissione Europea, mira ad accelerare la trasformazione digitale delle piccole e medie imprese (PMI) e della pubblica amministrazione. DIPS offre una gamma completa di servizi per supportare la trasformazione digitale delle organizzazioni in materia di Intelligenza Artificiale e Cybersecurity grazie a audit tecnologici, formazione, consulenza su accesso ai finanziamenti e protezione della proprietà intellettuale. I servizi di DIPS sono erogati grazie ai fondi del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, in attuazione dell’Investimento 2.3 – “Potenziamento ed estensione tematica e territoriale dei centri di trasferimento tecnologico per segmenti di industria”, nell’ambito della Missione 4 “Istruzione e ricerca” – Componente 2 “Dalla ricerca all’impresa” del PNRR – Next Generation EU, e si dovranno concludere entro il 28 febbraio 2026.

In vista del prossimo Quadro Finanziario Poliennale 2028-2035, FBK continuerà a lavorare con la rete EDIH per accedere a nuovi fondi Digital Europe, con l’obiettivo di sviluppare ulteriori iniziative a sostegno della transizione digitale.

Helmon

Helmon è una società appena avviata che offre soluzioni di cybersecurity per imprese e pubbliche amministrazioni piccole e piccolissime si affida ai propri partner o ai clienti finali per l’uso di fondi europei indiretti e nazionali per acquisire le sue soluzioni. Vale la pena citarla qui per la configurazione innovativa dell’offerta che ne rende estremamente facile l’acquisizione e l’implementazione, e quindi anche proporre, gestire e rendicontare un progetto finanziato.

L’intera offerta è infatti configurabile con pochi clic su un portale, dalla richiesta di uno scan online delle vulnerabilità, all’ottenimento di diversi preventivi e alla scelta del più opportuno, alla attivazione senza bisogno di interventi manuali nelle sedi del cliente, pubblico o privato. L’offerta comprende anche una polizza assicurativa contro i rischi cyber residui fortemente standardizzata, già negoziata da helmon per adattarsi alle esigenze di piccole realtà. L’azienda sta lavorando con gli interlocutori istituzionali della pubblica amministrazione per attivare le convenzioni che permetteranno anche alle PA di acquistare con pochi clic. Nel frattempo, helmon serve le PA tramite partner commerciali che usano MEPA o hanno convenzioni per l’acquisto diretto. In questo modo, helmon non ha evidenza diretta dell’uso di fondi finanziati per pagare l’abbonamento (subscription) della soluzione, che è un servizio SaaS puro, ma segnala l’opportunità di farlo alle PA interessate.

Impresoft

Questo gruppo, attivo nella trasformazione digitale delle aziende, opera con decine di imprese organizzate in quattro centri di competenza: Business Solutions (ERP, CRM), Smart Manufacturing & Quality, Enabling Technologies & Security, e Customer First. Alessandro Geraldi, Group CEO, ha una valutazione molto positiva dell’opportunità derivante dall’uso dei fondi strutturali europei: “Come CEO di un Gruppo composto da realtà imprenditoriali italiane, impegnate nell’accompagnare enti pubblici e organizzazioni private nei percorsi di trasformazione tecnologica, considero la programmazione europea 2021–2027 una leva strategica per dare continuità alle iniziative avviate con il PNRR e colmare il divario digitale del nostro Paese.
Rispetto al ciclo 2014–2020, si registra oggi una più marcata consapevolezza del ruolo della digitalizzazione come fattore abilitante per la competitività. Tuttavia, è necessario rafforzare la governance, integrando in modo più efficace i fondi strutturali e gli strumenti straordinari.”

Fondamentale in questo contesto risulta la cybersecurity, che “è diventata una condizione imprescindibile per l’autonomia digitale dell’Europa e per la resilienza dell’intero sistema produttivo”, continua Geraldi, andando ben al di là delle competenze tecniche. Perché gli investimenti che questi fondi finanziano conseguano questi obiettivi di autonomia strategica e resilienza occorre, secondo Geraldi, che “Le imprese italiane – spesso eccellenze capaci ma ancora troppo poco valorizzate” siano coinvolte come veri partner di innovazione anziché come meri esecutori. “Dal mio punto di vista, maturato direttamente sul campo”, conclude, “senza una filiera nazionale solida nella sicurezza digitale, ogni investimento rischia di perdere efficacia e di produrre un impatto limitato.”

Regione Piemonte

La Regione Piemonte ha usato i fondi strutturali europei in misura significativa per sviluppare soluzioni digitali, in particolare naturalmente i FESR, Fondi Europei per lo Sviluppo Regionale, compresa la componente di coinvestimento nazionale.

Con questi fondi, la regione ha avviato diversi progetti di evoluzione e innovazione dei servizi. Partendo da una situazione di forte digitalizzazione, queste iniziative riguardano prevalentemente l’evoluzione di servizi già attivi.

Tra gli esempi più significativi già avviati o in via di attivazione:

  • L’evoluzione di piattaforme esistenti, come Piemonte pay, la migrazione al cloud e il presidio alla compliance tecnologica, e il potenziamento della cybersecurity. Queste iniziative impegnano complessivamente 14,5 milioni di Euro
  • L’evoluzione e l’implementazione della piattaforma regionale Dati, in coerenza con le strategie nazionali e le linee guida AgID, per 4 milioni di euro.

Nella seconda parte del 2025 la Regione prevede di avviare ancora almeno altre due iniziative: una sul potenziamento dell’accessibilità dei servizi digitali regionali, per circa 3 milioni di euro, e una molto più grande e ambiziosa per reingegnerizzare alcuni processi e digitalizzare i servizi relativi, del valore di circa 35 milioni di euro. In quest’ultimo caso i sistemi informativi e i servizi digitali saranno prevalentemente nuovi.

In attesa del QFP 2028-2035 Regione Piemonte, che si avvale del supporto di CSI Piemonte anche per la gestione delle richieste di fondi europei e la rendicontazione dei progetti relativi, valuterà opportunità per chiedere altri fondi a valere sul QFP 2021-2027.

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