pubblica amministrazione

Formazione e performance nella PA, un equilibrio è possibile: ecco come



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Il legame tra sviluppo delle competenze e produzione di valore pubblico ridefinisce il ruolo della formazione, superando logiche episodiche o formali e ponendola al centro delle politiche organizzative e gestionali

Pubblicato il 30 mag 2025

Sauro Angeletti

Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della funzione pubblica



Send formazione e performance nella PA

Nel corso degli ultimi anni, su impulso degli interventi di riforma e di investimento realizzati per l’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, la formazione del personale delle pubbliche amministrazioni ha assunto una progressiva centralità strategica, grazie (soprattutto) alla sua integrazione nel “ciclo della performance”.  

Integrazione della formazione nel ciclo della performance

A livello organizzativo, con l’introduzione del Piano Integrato di Attività e Organizzazione (PIAO), le politiche e le azioni di sviluppo dal capitale umano hanno finalmente trovato un momento di integrazione e di sintesi nelle complessive scelte strategiche di performance e di creazione di valore pubblico.

Ciò non significa, tuttavia, come recentemente chiarito dalla Direttiva del Ministro per la pubblica amministrazione del 14 gennaio 2025, che il “fattore lavoro” debba essere piegato alla sola funzionalità rispetto ad obiettivi di performance: una impostazione di questo tipo, infatti, finirebbe per promuovere una “visione del lavoro pubblico”, da un lato, assai restrittiva, dall’altro, non compatibile con le aspettative delle persone, che vogliono avere la possibilità di sviluppare, attraverso la formazione, competenze necessarie per la crescita personale e per cogliere altre opportunità (di lavoro, di carriera). Tener conto di queste aspettative conviene alle amministrazioni, che non devono trascurare l’impatto fondamentale della formazione, strettamente legata alla soddisfazione, alla fidelizzazione, al benessere organizzativo e all’impegno dei dipendenti.   

Certo, la corretta pianificazione della formazione nei PIAO – la cui redazione, sia detto per inciso, è ancora da migliorare e rafforzare in molte amministrazioni – non è, per forza, garanzia della efficace implementazione degli interventi di sviluppo delle competenze delle persone. Tuttavia, il fatto che la riflessione di ciascuna amministrazione su “quanta” e “quale” formazione programmare sia operata nella prospettiva del valore pubblico serve senz’altro a strappare la formazione stessa da una logica di autoreferenzialità e marginalità cui è stata (e alcune volte si è) relegata.

La direttiva 2025 e la responsabilità formativa dei dirigenti

In questo contesto, la recente Direttiva “Valorizzazione delle persone e produzione di valore pubblico attraverso la formazione. Princìpi, obiettivi e strumenti”, emanata dal Ministro per la pubblica amministrazione il 14 gennaio 2025, consente di realizzare un ulteriore passo avanti nella direzione della concretezza.

Essa prevede, infatti, che ciascuna amministrazione promuova la formazione dei propri dipendenti, assegnando, in primis a ciascun dirigente, quale obiettivo annuale di performance, la formazione per 40 ore/anno, a partire dal 2025, prioritariamente sui temi della leadership e delle soft skills. Ciascun dirigente, a sua volta, assegna ai propri dipendenti, obiettivi di performance in materia di formazione, sempre per almeno 40 ore/anno, fissati a partire dalla definizione di piani formativi individuali.

In questo modo, la formazione diventa un “obiettivo di performance” autonomo e autoconsistente, non un comportamento organizzativo tra tanti considerato ai fini dell’annuale valutazione delle performance individuale. Un obiettivo specifico, determinato – prima di tutto, ma non solo – a valle del processo di valutazione individuale, a partire dalla rilevazione degli eventuali gap di competenza e/o di performance.    

Formazione come responsabilità diffusa, non solo obbligo dirigenziale

La promozione della formazione del personale costituisce uno specifico obiettivo di performance di ciascun dirigente, che deve assicurare la partecipazione attiva dei dipendenti assegnati alle iniziative formative in modo da garantire il conseguimento del numero minimo di ore di formazione pro-capite annue previsto.

Pertanto, i risultati negativi della gestione, incluso il mancato raggiungimento degli obiettivi delle politiche e dei programmi formativi, accertati da parte dell’Organismo indipendente di valutazione della performance-Nucleo di valutazione e nel quadro del sistema di misurazione e valutazione della performance, espongono il dirigente ad ulteriori conseguenze, anche sul piano della corresponsione del trattamento accessorio collegato ai risultati stessi (art. 24 del d.lgs. n. 165 del 2001).

La qualificazione della formazione come “obiettivo di performance”, quindi, celerebbe il “solito” espediente dell’affermazione di una responsabilità dirigenziale che, se non agìta, impatta negativamente sull’indennità di risultato?

Pur non trascurando questa implicazione, l’accezione, ampia, della responsabilità di cui si sta trattando sembra prevalere nettamente sulle implicazioni della obbligatorietà di uno specifico risultato da conseguire.

Intanto, per i dirigenti, la responsabilità della formazione è una dimensione specifica ricompresa in una più generale responsabilità dirigenziale relativa alla gestione e allo sviluppo delle risorse umane gestite; tale responsabilità e precedente e assorbente rispetto a quella in materia di promozione della formazione e sviluppo delle competenze dei collaboratori.

Più in generale, la qualificazione della formazione come “obiettivo di performance” sottende l’importante novità di una responsabilizzazione collettiva, diffusa in ordine al miglioramento delle competenze individuali e, attraverso queste, della performance delle amministrazioni.

Continuità della formazione lungo tutto il ciclo lavorativo

Da questa novità ne discende una seconda, che ha a che fare con il carattere di continuità (permanenza) della formazione: quest’ultima deve passare – tanto nella prospettiva individuale che in quella organizzativa – da una logica di occasionalità (strumentalità/episodicità rispetto a specifiche esigenze operative e/o di performance) ad una di costanza e continuità durante l’intero “ciclo di vita lavorativa” del dipendente, tenendo conto delle specificità di ciascuna sua fase (formazione iniziale, immediatamente successiva al reclutamento; formazione nei casi in cui il dipendente venga adibito a nuove funzioni o mansioni; formazione nelle progressioni professionali e ai fini dell’attivazione delle c.d. “elevate professionalità”; formazione per promuovere l’adozione di processi di innovazione che impattano su strumenti, metodologie e procedure di lavoro; etc.).

Programmazione, impatto e valutazione della formazione

Nella impostazione della Direttiva del Ministro per la pubblica amministrazione del 14 gennaio 2025, la formazione è finalizzata a migliorare la performance: delle persone, delle singole unità organizzative, delle amministrazioni nel loro complesso. In questa prospettiva, la Direttiva richiama, ribadisce e rafforza la necessità che ciascuna amministrazione individui, monitori e valuti il legame tra formazione del personale, performance e capacità delle amministrazioni di soddisfare tutti i bisogni pubblici (produzione di valore pubblico).

Di qui, una serie di responsabilità per le amministrazioni. La prima attiene necessità della gestione strategica della formazione: occorre che ciascuna amministrazione cali “il ciclo di gestione della formazione” nel “ciclo della performance”, anche al fine di evitare che il tema della performance della formazione venga fagocitato dalla tradizionale “logica burocratica”, riducendosi ad un fatto esclusivamente interno alle amministrazioni. Un rischio che, paradossalmente, l’innalzamento del target individuale di formazione a 40 ore/anno può contribuire ad alimentare.

La formazione determina performance, quindi, solo se la formazione stessa è performante; non ci può essere preoccupazione circa la “performance della formazione”, se quest’ultima viene programmata per migliorare la performance (individuale e delle amministrazioni). Fuori da questo schema, fatto salvo lo specifico valore di ogni iniziativa formativa, le quaranta ore di formazione pro-capite per dipendente possono essere ore sprecate, inutili.

Programmare correttamente la formazione è, di per sé, un obiettivo di performance. A livello organizzativo, la logica integrata sottesa al PIAO implica la definizione di obiettivi strategici in tema di formazione strettamente coordinati con quelli della produzione di valore pubblico; a livello individuale, l’assunto della formazione quale “obiettivo di performance” presuppone la sua definizione a partire da piani formativi individuali, definiti e condivisi muovendo da una specifica analisi dei fabbisogni formativi.

Le amministrazioni hanno la responsabilità di definire ex ante l’impatto atteso della formazione in termini di miglioramento delle capacità, di produzione di valore pubblico, da un lato, e delle conoscenze, delle competenze e della consapevolezza del ruolo ricoperto da ciascuna persona, dall’altro. Se l’impatto atteso delle iniziative di formazione e sviluppo delle competenze – per quanto complesso da definire – non è programmato, difficilmente potrà essere valutato; se gli effetti che si vogliono produrre attraverso la formazione non sono programmati, l’approccio alla formazione rischia di ridursi ad una logica meramente adempimentale: monitorare il dato quantitativo (le ore di formazione fruite/l’obbligo assolto) senza curarsi del dato qualitativo/trasformativo.

Monitoraggio e valutazione della qualità della formazione

Centrale, in questa impostazione, è il tema del monitoraggio della erogazione della formazione programmata, relativamente ai volumi, alla qualità della formazione stessa, alle modalità di erogazione e alla distribuzione organizzativa e temporale dei percorsi formativi, etc. A tal fine, è necessario che ciascuna amministrazione raccolga ed elabori correttamente tutte le informazioni sulla formazione, non solo quantitative, ma anche qualitative (i dirigenti promuovono e monitorano la formazione?), innanzi tutto per evitare rischi operativi (concentrazione della formazione su poche unità organizzative; su poche persone; sullo sviluppo di alcune competenze e non altre; formazione solo a fine anno, per raggiungere l’obiettivo).   

Il monitoraggio della formazione è essenziale per la sua valutazione, che deve essere sommativa. Il peso da attribuire agli obiettivi della formazione (individuali, organizzativi, in termini di contributo alla realizzazione di valore pubblico) deve essere definito nel sistema di misurazione e valutazione della performance. La valutazione della performance della formazione non può essere ridotta alla mera sommatoria delle ore di formazione erogate: come chiarito dalla Direttiva del Ministro per la pubblica amministrazione, “in sede di valutazione, le amministrazioni pubbliche verificano il contributo e l’impatto determinato dagli investimenti in formazione e sviluppo del capitale umano per la crescita delle persone, il miglioramento della performance e la produzione di valore pubblico”.   

Per fare ciò, è necessario un progressivo adeguamento del sistema di misurazione e valutazione della performance di ciascuna amministrazione, ma anche un rafforzamento diffuso delle competenze di quanti si occupano di gestione e sviluppo delle risorse umane e di formazione.

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