data analysis

Agende digitali a rischio epic fail se non impariamo la cultura dei dati

Se imparassimo a programmare gli interventi e poi a leggere i risultati con i dati e con i numeri forse avremmo una percezione diversa sull’efficacia dei progetti. Certamente meno ideologica e meno empirica. E il modo migliore rimane quello della co-progettazione

Pubblicato il 08 Lug 2015

Gianluigi Cogo

Consulente PA digitale, ex Regione Veneto

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Reduce dal seminario Misurare l’attuazione dell’Agenda Digitale italiana organizzato dagli Osservatori del Politecnico di Milano, mi convinco sempre di più che almeno qui nel bel paese abbiamo sprecato troppe energie e abbiamo ostinatamente inseguito progettualità di innovazione che forse non andavano nemmeno intraprese.

L’approccio empirico sostenuto dalla ‘grande intuizione’ e ancor più spesso dalla ‘obbligata emulazione’ ha generato molti flop in questo settore e oggi ne paghiamo sicuramente le dolorose conseguenze.

Sia chiaro sin da subito che sbagliare è umano e spesso può essere anche un esercizio propedeutico al miglioramento ma non può essere certo la prassi. Perseverare negli errori significa fondamentalmente che è stata fatta una cattiva programmazione e una conseguente pessima progettazione.

Sul tema della progettazione scontiamo un gap di cultura e di competenze davvero molto consistente. Forse a causa della nostra propensione all’improvvisazione allo sfruttamento della fantasia e della creatività e non da ultima a quella strana abitudine che ci vede protagonisti di grandi imprese sul filo di lana, quando tutti ci davano per spacciati.

Purtroppo in tempo di risorse limitate la buona programmazione e la progettazione gestita in modo scientifico, diventano esercizio necessario e non procrastinabile.

Il rapporto presentato dall’Osservatorio del Politecnico mette il dito nella piaga e fa emergere uno sconsolante quadro di ritardi, di promesse non mantenute, di cantieri mai aperti, di normative inapplicate, di governance confusa e di strategie sovrapposte e spesso in contradizione fra loro stesse.

La risposta come sempre la danno i numeri perché, se è vero che noi italiani misuriamo poco l’innovazione, gli altri lo fanno comunque e le misure che fanno su di noi evidenziano un empasse imbarazzante.

Dunque la verità sta solo nei numeri? Fondamentalmente son propenso a rispondere affermativamente a questa domanda. Anche se non si può ridurre il tutto a somma numerica come già Aristotele ci ha insegnato sancendo che l’insieme è sempre maggiore alla somma delle sue parti.

Lo spunto utile per capire meglio questi contesti è offerto dall’ambito della programmazione, specialmente quella relativa ai fondi comunitari dove non ci si può mai sottrarre agli indicatori. Quest’ultimi (di tipo finanziario ma soprattutto di realizzazione, di risultato e di impatto) sono necessari sia nella fase di negoziazione delle azioni da intraprendere ma soprattutto nella fase di gestione dei progetti attuativi, ovvero le azioni vere e proprie, la cosiddetta messa in opera o ‘messa a terra’, come si usa dire oggi in gergo riferendosi alla cantierabilità dei task progettuali.

Se imparassimo dunque a programmare e poi a leggere i risultati con i dati e con i numeri (un bell’esempio in questo caso è offerto da Opencoesione) forse avremmo una percezione diversa sull’efficacia dei progetti. Certamente meno ideologica e meno empirica.

Dunque il tema della misurazione diventa fondamentale e nell’Ambito dell’Agenda Digitale (o delle Agende Digitali) risulta fondamentale per non incorrere in EPIC FAIL di progettualità inutili e spesso dannose.

Ma misurarsi e misurare non è facile. Serve competenza, servono risorse, servono persone, serve pazienza, intelligenza e soprattutto onestà. Chiunque abbia a che fare con l’analisi dei dati sa che il valore di questa pratica non è fine a se stesso, ma si esalta nella presa di coscienza e nella tempestività nel prendere le giuste decisioni. Anche decisioni dolorose come quelle di stoppare una progettualità che non raggiunge l’efficacia desiderata.

Prendere decisioni con l’ausilio della data anlisys è fondamentale e obbligatorio. Prendere decisioni senza questo supporto scientifico equivale ormai al un vero e proprio suicidio.

Fare benchmarking delle soluzioni innovative non è perciò un esercizio stucchevole, bensì un approccio necessario per gestire poi al meglio le progettualità che si vogliono cantierare e portare al successo.

L’Osservatorio del Politecnico ha voluto dimostrare, alla presenza del Direttore dell’Agid Antonio Samaritani, che nell’ampio contesto che va dalle Agende digitali regionali, passando per quella nazionale per finire in quella europea (la quale ci raccoglie tutti per lo meno nella condivisione degli obbiettivi di competitività e coesione) il ruolo degli osservatori, dei centri studi e degli analisti deve essere preso in considerazione sin dalla fase iniziale della progettazione per poter usufruire di dati certi, di indicatori efficaci e si sistemi di misurazione in corso di gestione che permettano di ridurre al minimo il rischio di insuccesso.

Ma poi, per non sembrare troppo matematico e borbonico, ho proposto durante il round-table un ulteriore salto di qualità nell’approccio alla progettazione, mirato ad integrare e migliorare l’approccio freddo e scientifico dei dati.

Ho proposto un ambito che non è ne nuovo ne rivoluzionario, ma che abbisogna di maggior credito da parte delle istituzioni preposte a indirizzare e gestire progettualità innovative, ovvero la co-progettazione di cui tanto si parla ma che poco si applica.

Se i dati raccolti con indicatori numerici ci possono offrire tante verità, spesso non posso offrirci il sentimento di chi sarà poi beneficiario delle progettualità innovative. I dati sulla qualità dei servizi, delle applicazioni e dei processi difficilmente si raccolgono, anche se questi potrebbero offrire un scenario di sentiment utile da analizzare e prendere in considerazione per le scelte.

Dunque il modo migliore, a mio avviso, rimane quello della co-progettazione. Per farlo basta disporre di un luogo fisico (living lab, contamination lab, innovation lab, chiamatelo come volete), una serie di soggetti attivi e competenti (ricercatori, imprenditori, civic hacker, funzionari pubblici, stakeholder pubblici e privati, ecc.) una vera condivisione degli obbiettivi e dei risultati attesi dalla progettazione, un ambito di sperimentazione a disposizione (piccoli cluster di aziende, cittadini e nerd disposti a fare da cavie) e soprattutto una capacità dei gestori di progetti di accettare i risultati di questi lab e prenderli in considerazione prima di dispiegare la messa a terra.

Non sarebbe difficile, anche perché questa pratica offrirebbe dati qualitativi a vantaggio delle successive programmazioni strategiche in ambito di innovazione e non.

Prossimo appuntamento con l’Osservatorio nel mese di Settembre quando a confrontarsi su questi temi saranno chiamate in modo specifico le Regioni che porteranno in dote le loro Agende Digitali e i risultati fin qui raggiunti.

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