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AI Bill giapponese e AI Act Ue: due modelli di governance a confronto



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L’AI Bill giapponese segna un cambio di rotta rispetto all’approccio europeo. La nuova normativa promuove innovazione e cooperazione volontaria, contrastando la regolazione stringente dell’AI Act. Due filosofie diverse ridefiniscono la governance globale dell’intelligenza artificiale

Pubblicato il 17 set 2025

Francesca Gaudino

Baker Mckenzie

Leonardo Lazzaro

Baker McKenzie



robot e turismo AI Bill giapponese

Il 28 maggio 2025, il Parlamento giapponese ha approvato la “Legge sulla promozione della ricerca, dello sviluppo e dell’utilizzo delle tecnologie legate all’intelligenza artificiale” (AI Bill giapponese), segnando una nuova cruciale tappa nel panorama globale della governance dell’AI.

La normativa nipponica, caratterizzata da un approccio flessibile e collaborativo, rappresenta una risposta decisa alle sfide della trasformazione digitale, in aperto contrasto con il modello regolatorio stringente adottato dall’Unione Europea con il suo AI Act. In uno scacchiere in cui l’intelligenza artificiale sta ridefinendo economie, società e dinamiche geopolitiche, il Giappone punta su un modello che privilegia innovazione e cooperazione volontaria, mentre l’Europa rafforza la sicurezza degli utenti e la tutela dei diritti fondamentali dei cittadini.

Il Giappone al bivio: accelerare sull’AI per non perdere la sfida globale

Il Giappone si trova oggi di fronte a un bivio strategico. Da un lato, deve colmare il ritardo nell’implementazione di soluzioni, negli investimenti e nello sviluppo dell’AI rispetto a Stati Uniti e Cina; dall’altro, è chiamato a rispondere a sfide interne come il declino demografico e la crescente pressione competitiva sui mercati tecnologici. Secondo una recente indagine del Ministero degli affari interni e delle comunicazioni (2024), solo il 9% dei cittadini e il 47% delle aziende giapponesi utilizzano l’AI generativa. Gli investimenti privati in IA si attestano a 0,93 miliardi di dollari, nettamente inferiori rispetto ai 109,08 miliardi degli Stati Uniti e ai 9,29 miliardi della Cina.

In questo quadro, la minaccia del cosiddetto “precipizio digitale” del 2025, che secondo le stime del METI (Ministero dell’economia, del commercio e dell’industria) potrebbe costare fino a 12 trilioni di yen (circa 77,6 miliardi di dollari), ha imposto una svolta di policy: o accelerare la trasformazione digitale, oppure rischiare pesanti ripercussioni economiche e sociali.

La discussione parlamentare sull’AI Act si è svolta pertanto all’insegna di un progressivo allontanamento dalle ipotesi di regolamentazione rigida. Nel febbraio 2024, il partito di maggioranza relativa, tramite un gruppo di studio dedicato, ha pubblicato sette linee guida per promuovere un’AI responsabile, escludendo vincoli che potessero soffocare l’innovazione. La vera svolta è arrivata nel febbraio 2025, con il rapporto intermedio dell’AI Policy Study Group: qui il Giappone ha dichiarato esplicitamente l’intenzione di diventare “il Paese più AI-friendly al mondo”.

Il disegno di legge, presentato dal Consiglio dei ministri il 28 febbraio 2025 e rapidamente approvato da entrambe le Camere, gode di un consenso trasversale tra Governo e opposizione. Promulgata il 4 giugno, la legge è articolata in quattro capitoli e 28 articoli: definisce l’AI come tecnologia in grado di replicare capacità cognitive o di generare output informativi, e fissa quale obiettivo prioritario la promozione della ricerca e dell’utilizzo dell’IA per stimolare la crescita economica, migliorare l’efficienza amministrativa e creare nuove industrie, sempre nel rispetto della trasparenza e della cooperazione internazionale.

Un aspetto cruciale è la collaborazione su base volontaria tra aziende, università, governi locali e cittadini. Non ci sono obblighi vincolanti, né sanzioni dirette: la legge preferisce invece un meccanismo di “name and shame” per le aziende responsabili di gravi violazioni, affidando invece la gestione delle condotte illecite alle normative già esistenti (come la legge sulla protezione dei dati personali e la legge sul copyright). L’articolo 16 autorizza il governo a monitorare l’uso dell’AI anche all’Estero, fornendo raccomandazioni per prevenire abusi quali violazioni della privacy o diffusione di disinformazione.

Questo approccio riflette la convinzione che l’innovazione prosperi meglio in assenza di regolamentazioni rigide e che la cooperazione volontaria, coordinata a livello nazionale e basata su principi etici e reputazione, sia sufficiente a mitigare i rischi. Il Giappone scommette così sulla fiducia istituzionale e sulla cultura del consenso, evitando il rischio di un effetto “chilling” che potrebbe frenare le imprese.

L’AI Act europeo: regole, controllo e sicurezza

Il Regolamento europeo sull’intelligenza artificiale segue invece un modello opposto: una struttura normativa dettagliata, basata sul principio della valutazione del rischio. L’EU AI Act ne distingue quattro categorie: inaccettabile, alto, limitato e minimo, proibendo applicazioni che procurano il primo ed imponendo requisiti rigorosi per i sistemi ad alto rischio, come quelli utilizzati nei settori della sanità, dell’istruzione, del lavoro e della giustizia.

Al centro del modello europeo vi è la trasparenza, benché in senso primariamente formale: le aziende devono documentare in modo dettagliato lo sviluppo e l’utilizzo dei sistemi di AI, garantire la supervisione umana e conformarsi a standard tecnici armonizzati. Le violazioni comportano sanzioni pesanti, fino a 35 milioni di euro o al 7% del fatturato globale, e il quadro si inserisce nella tradizione europea di tutela dei diritti e di sovranità digitale, già consacrata dal GDPR.

Tuttavia, questo approccio sta suscitando preoccupazioni crescenti: il rapporto Draghi del 2024 ha sottolineato come l’eccesso di regolamentazione rischi di penalizzare la competitività europea, in particolare rispetto a Stati Uniti e Cina. Inoltre, la lentezza nello sviluppo degli standard tecnici europei (CEN e CENELEC), ora posticipati ad agosto 2025, aggiunge incertezza sulla capacità dell’Europa di mantenere una leadership globale sugli standard.

La Commissione UE, di fronte alle difficoltà di attuazione, ha risposto annunciando il ritiro della proposta di Direttiva sulla responsabilità civile extra-contrattuale da AI, segnalando così l’intenzione di adottare un approccio meno rigido per la GenAI, ad esempio mediante un codice di buone pratiche volontario. Se inizialmente l’Europa aspirava a un “effetto Bruxelles” globale, oggi altri Paesi – come il Brasile che insieme ad Argentina, Cile e Perù sembrava voler seguire il modello UE – stanno preferendo soluzioni più flessibili, e negli Stati Uniti prevalgono una strategia di prevalente deregolazione a livello federale ed eventuali iniziative settoriali o di singoli Stati.

Due visioni opposte di governance dell’intelligenza artificiale

La comparazione fra l’AI Bill giapponese e L’AI Act europeo mette in luce due filosofie radicalmente diverse di governance. Il Giappone ha scelto consapevolmente di non replicare l’approccio ‘hard law’ europeo, puntando invece su una legislazione definita ‘light touch’, che pone l’innovazione al centro e invita a una cooperazione volontaria tra le parti, affidando allo Stato un ruolo di coordinamento più che di regolazione. Il testo legislativo enfatizza l’importanza di “favorire la competitività globale” ed “evitare barriere allo sviluppo tecnologico”. L’Artificial Intelligence Strategy Headquarters agirà da facilitatore, promuovendo la cooperazione tra governo, imprese, università e cittadini. Questa scelta riflette la fiducia nella leadership tecnocratica e la tradizionale gestione giapponese basata sul consenso.

Tuttavia, l’assenza di definizioni chiare dei rischi e di meccanismi efficaci di enforcement solleva domande cruciali: come prevenire bias, disinformazione o usi impropri in ambiti sensibili? Le linee guida dell’articolo 13 prevedono raccomandazioni, ma la loro natura non vincolante rischia di non garantire la necessaria accountability. Non a caso, solo il 13% dei cittadini giapponesi si dichiara sicuro rispetto al quadro giuridico attuale.

Al contrario, l’Europa adotta una logica precauzionale: la classificazione dei rischi offre una cornice chiara e strutturata, a tutela di consumatori e aziende che operano in settori delicati. Tuttavia, il peso burocratico e i costi di compliance possono scoraggiare le imprese più piccole e meno capitalizzate, rischiando di rallentare l’innovazione e la dipendenza da standard ancora in fase di definizione complica ulteriormente la situazione.

Geopolitica dell’AI: Giappone attivo, Europa in ritardo

A livello geopolitico, il Giappone si sta proponendo come attore proattivo nella definizione di standard globali, come testimonia il processo di Hiroshima del G7 sull’intelligenza artificiale, che coinvolge oltre 55 Paesi. L’Europa, pur aspirando a un ruolo guida, vede attenuata la sua influenza normativa nel vuoto sostanziale di investimenti e ricerca e sviluppo.

Conseguenze per le imprese tra flessibilità e oneri di compliance

Il modello giapponese offre un ambiente dinamico, flessibile e dunque attrattivo alle imprese, in particolare nei settori strategici come robotica, automotive, sanità e telecomunicazioni, sostenuto da iniziative pubbliche come il Generative AI Accelerator Challenge (GENIAC) del METI. La fascinazione del mercato giapponese per gli investimenti è testimoniata anche da grandi partnership internazionali, come quella tra SoftBank e OpenAI, con un accordo di licenza da 3 miliardi di dollari.

Tutta questa flessibilità potrebbe accompagnarsi però a rischi notevoli: in assenza di obblighi chiari, le aziende devono gestire in autonomia le questioni etiche e legali (privacy, deepfake, copyright), affidandosi alle normative esistenti e alle linee guida volontarie. Il meccanismo di “name and shame” aggiunge un rischio reputazionale rilevante, che potrebbe influire sulla fiducia dei consumatori in un mercato volatile e molto sensibile a questi temi.

In Europa, invece, l’AI Act offre certezza giuridica e una cornice prevedibile per le imprese attive in settori ad alto rischio, che rafforza la fiducia dei consumatori e facilita l’accesso al mercato, ma i costi di compliance e i rischi di sanzioni pesanti rappresentano un freno, se non una vera e propria barriera all’ingresso, soprattutto per le PMI. I continui aggiornamenti normativi e la possibile adozione di codici di buone pratiche per l’AI generativa confermano la volontà di trovare un equilibrio tra tutela e innovazione, ma rendono il quadro meno stabile.

Prospettive future della governance dell’intelligenza artificiale

Il successo del modello giapponese dipenderà dalla capacità dell’Artificial Intelligence Strategy Headquarters di aggiornare tempestivamente le linee guida e coordinare efficacemente le diverse parti coinvolte, rispondendo ai rapidi cambiamenti globali. Se riuscirà a tradurre questa visione in pratica, il Giappone potrebbe offrire un’alternativa solida e sostenibile ai tradizionali modelli regolatori, dimostrando che è possibile coniugare innovazione responsabile e flessibilità normativa. Una strada che, se percorsa con attenzione, potrebbe ridisegnare il futuro della governance dell’AI a livello globale.

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