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Il paradosso dell’esperienza: perché cercare lavoro al tempo dell’AI è complesso



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Un mondo del lavoro diviso tra chi ha acquisito esperienza prima dell’avvento dell’AI e chi inizia a costruire la propria carriera dopo: il paradosso dell’esperienza permette di interpretare il cambiamento sociale in corso nel mercato del lavoro

Pubblicato il 22 ago 2025

Alexio Cassani

CEO & CoFounder FairMind



assistenti virtuali nella PA professioni del futuro

L’ultimo report di SignalFire sul talento tech 2025 racconta una storia che va ben oltre la Silicon Valley. Nascosta tra le statistiche sui cali di assunzioni (-50% per i neolaureati) e i numeri sulla retention di Anthropic (80%), emerge il ritratto di una trasformazione sociale più profonda: stiamo assistendo alla nascita del “paradosso dell’esperienza”, un meccanismo che rischia di dividere la società in due classi distinte e sempre più distanti.

La trappola del circolo vizioso generazionale

Il paradosso è crudele nella sua semplicità: per ottenere un lavoro serve esperienza, ma per fare esperienza serve un lavoro. È quello che gli americani chiamano “Catch-22”, un circolo vizioso senza via d’uscita, dal celebre romanzo di Joseph Heller che descrive situazioni in cui si rimane intrappolati da regole contraddittorie. Quello che il report SignalFire rivela è che l’intelligenza artificiale ha trasformato questa dinamica da temporaneo ostacolo iniziale a barriera strutturale permanente.

Nelle aziende Big Tech americane i neolaureati rappresentano solo il 7% delle assunzioni, in calo del 25% rispetto al 2023. Nelle startup è anche peggio: sotto il 6%. Ma il dato più rivelatore è un altro: il 37% dei manager dichiara di preferire l’uso dell’AI all’assunzione di un dipendente della Generazione Z. Non stiamo parlando di una preferenza economica, ma di una scelta strategica che considera l’intelligenza artificiale più affidabile dell’intelligenza umana emergente.

L’accelerazione esponenziale delle competenze

L’AI ha introdotto una variabile che cambia tutto: l’accelerazione esponenziale delle competenze richieste. Se prima un neolaureato poteva compensare l’inesperienza con la freschezza delle conoscenze universitarie, oggi si trova a competere non solo con professionisti esperti, ma con professionisti esperti potenziati dall’AI. È come se improvvisamente tutti i corridori esperti in una maratona avessero ricevuto delle ali, mentre i novizi sono rimasti senza.

Questa dinamica si riflette in quello che i ricercatori chiamano “experience paradox”: le aziende pubblicano posizioni junior ma le riempiono con senior individual contributors. Il risultato è una compressione del mercato del lavoro verso l’alto, dove ogni posizione richiede competenze sempre più avanzate perché l’AI ha reso obsolete molte delle mansioni che tradizionalmente servivano come trampolino di lancio.

Il caso di Meta

Un esempio perfetto di come questa dinamica si autoalimenti arriva dalle recenti mosse di Meta. Secondo quanto rivelato dal CEO di OpenAI Sam Altman, Meta ha offerto pacchetti di compensazione fino a 100 milioni di dollari per sottrarre i migliori talenti AI ai concorrenti. Non si tratta di semplici bonus di ingaggio, ma di investimenti stratosferici in risorse umane che hanno già esperienza nel settore.

Meta non sta investendo nella formazione di nuovi talenti, ma nel concentrare quelli esistenti. È una strategia che amplifica esponenzialmente il paradosso: le aziende sono disposte a spendere cifre impensabili per chi ha già dimostrato di saper lavorare con l’AI, mentre parallelamente riducono le opportunità per chi vorrebbe imparare. Il risultato è un mercato sempre più polarizzato tra “chi sa” e “chi non può imparare”.

Oltre il tech: un modello che si estende

Quello che rende questo fenomeno particolarmente significativo è che non si limita al settore tecnologico. Il modello “esperienza + AI = valore esponenziale” si sta diffondendo rapidamente in ogni settore. Nel marketing, nell’editoria, nella consulenza, perfino nell’arte, vediamo emergere la stessa dinamica: chi ha già esperienza può moltiplicare la propria produttività attraverso l’AI, mentre chi non l’ha fatica a trovare opportunità per acquisirla.

Prendiamo l’esempio di un copywriter esperto che usa ChatGPT per produrre contenuti più velocemente versus un neolaureato in comunicazione che deve ancora imparare le basi del mestiere. Il primo può supervisionare, editare e perfezionare il lavoro dell’AI traendo vantaggio dalla sua esperienza. Il secondo si trova a competere direttamente con la macchina, senza avere gli strumenti per distinguersi.

Verso nuove aristocrazie cognitive

Questa dinamica sta creando quello che potremmo definire “aristocrazie cognitive”: gruppi di professionisti che, avendo acquisito esperienza prima dell’avvento dell’AI dominante, si trovano in una posizione di vantaggio strutturale difficilmente scalabile dai newcomers. Come mostra il caso Anthropic nel report, con la sua capacità di trattenere l’80% dei talenti senior, il valore si concentra sempre di più nelle mani di chi “c’era già”.

Non è un caso che Anthropic riesca a sottrarre talenti a OpenAI con un rapporto di 8:1, o a DeepMind con un rapporto di 11:1. Non si tratta solo di stipendi più alti, ma di ecosistemi lavorativi progettati per massimizzare il potenziale di chi ha già dimostrato di saper navigare la complessità dell’AI. È un circolo virtuoso per chi è dentro, vizioso per chi cerca di entrare.

AiI, lavoro e barriera economica

A complicare ulteriormente il quadro c’è un elemento spesso trascurato: l’aumento vertiginoso dei costi dei servizi AI. Quasi tutti i principali provider, OpenAI e Anthropic in primis, stanno introducendo servizi a valore aggiunto e limiti temporali di utilizzo che spingono verso pacchetti da almeno 200 dollari al mese. Grok4 di xAI di Elon Musk ha addirittura lanciato un piano da 300 dollari. Si tratta di abbonamenti “all you can eat” che offrono vantaggi significativi rispetto al pagamento a consumo dei modelli AI, che risulterebbe molto più costoso per chi fa un uso intensivo.

Per un professionista affermato che può scaricare questi costi sulla propria azienda, spendere 300 dollari al mese per Grok o 200 per Anthropic è un investimento che si ripaga rapidamente in produttività. Per uno studente o un neolaureato che deve pagarsi gli strumenti di tasca propria per imparare e competere, questi prezzi rappresentano barriere quasi insormontabili, ampliando ulteriormente il divario. L’AI rischia di diventare un privilegio di classe prima ancora che una competenza professionale.

Ripensare la formazione dell’esperienza

Il paradosso dell’esperienza non è inevitabile, ma richiede un ripensamento radicale di come si acquisiscono competenze nell’era dell’AI. Il report suggerisce alcune direzioni promettenti: bootcamp, progetti open-source, freelancing e la capacità di “riparare” il codice generato dall’AI potrebbero diventare i nuovi percorsi di ingresso nel mondo del lavoro.

Ma c’è una riflessione più profonda che i giovani professionisti devono fare: immaginare che ruolo ricopriranno da senior, sapendo che molti di questi ruoli oggi non esistono ancora. Non basta più specializzarsi in una competenza specifica; serve sviluppare una mentalità adattiva che permetta di evolvere insieme alla tecnologia.

Allo stesso tempo, anche i professionisti senior devono mettersi in discussione. L’esperienza passata è un vantaggio solo se viene continuamente aggiornata. Chi pensa di essere al sicuro perché “conosce il mestiere” rischia di trovarsi fuori dal mercato se non impara a collaborare efficacemente con l’AI. La vera sicurezza lavorativa nell’era dell’intelligenza artificiale non sta nell’esperienza statica, ma nella capacità di apprendimento continuo.

Serve anche un cambiamento culturale più ampio. Le aziende che evitano completamente le assunzioni junior, come osserva il report, rischiano di “rompere la pipeline del talento a lungo termine”. È un investimento nell’ecosistema che va oltre il calcolo del ROI immediato, ma che determinerà la sostenibilità del sistema nel medio periodo.

Paradosso dell’esperienza, gli impatti sociali

Quello che emerge dal report SignalFire è un quadro che va ben oltre le dinamiche occupazionali del settore tech. Stiamo assistendo alla nascita di una società a due velocità, dove l’AI amplifica le disuguaglianze esistenti invece di democratizzare le opportunità come spesso promesso.

La vera sfida non è tecnologica ma sociale: come garantire che l’intelligenza artificiale diventi uno strumento di mobilità sociale ascendente invece che un meccanismo di consolidamento delle élite esistenti. Il paradosso dell’esperienza ci costringe a ripensare non solo come lavoriamo, ma come una società può rimanere meritocratica in un’era di accelerazione tecnologica esponenziale.

Il futuro che stiamo costruendo dipenderà dalla nostra capacità di risolvere questo paradosso prima che diventi una frattura permanente tra chi ha avuto la fortuna di acquisire esperienza “prima dell’AI” e chi dovrà costruire la propria carriera “dopo l’AI”. La posta in gioco non è solo economica: è il tipo di società che lasceremo alle prossime generazioni.

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