Da oltre trent’anni il videogioco Civilization è un punto di riferimento per gli strategici a turni. In ogni capitolo abbiamo assistito all’ascesa e alla caduta di civiltà, a scoperte scientifiche che hanno mutato il corso della storia e al confronto tra leader leggendari per la supremazia globale.
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La rivoluzione del sistema a epoche in Civilization VII
Il filo conduttore è sempre stato uno: lo sviluppo graduale di una civiltà dall’antichità fino all’epoca contemporanea, in un unico flusso continuo. Con il settimo capitolo, però, lo schema cambia. Civilization VII, pur mantenendo saldi molti elementi storici del franchise, introduce un nuovo paradigma. Il risultato, dal nostro punto di vista, è un capolavoro.
Due domande in questo articolo: se Civilization VII sostituisca i capitoli precedenti diventando il nuovo riferimento della serie, oppure se si limiti ad affiancarli, senza renderli superati. A questa riflessione si aggiunge una prospettiva didattica: analizzeremo il potenziale del titolo come strumento di Game Based Learning.
Il valore educativo e filosofico della libertà strategica
Civilization VII è un punto di riferimento per il genere 4X a turni, ma è anche un eccellente punto di ingresso per chi non ha mai provato la serie. Per sua natura, Civilization è un gioco accessibile a tutti.
Non esisteranno mai due percorsi storici uguali. Civilization VII incarna l’idea che il destino non è inevitabile, non è il frutto di un’Astuzia della Ragione unica e necessaria, ma il risultato delle scelte e delle azioni compiute di volta in volta. A seconda dell’ideologia o del contesto, si può assistere a una supremazia ottenuta attraverso l’invio di coloni, mercanti o eserciti: insomma, la vittoria non è mai univoca, ma può derivare dalla potenza militare, dal prestigio culturale o dal dominio economico.
Per ogni epoca, si possono scegliere strumenti come guerra, diplomazia, tecnologia e cultura, con una combinazione di pianificazione strategica, gestione delle risorse e interazione con le altre civiltà. Questo è uno dei grandi insegnamenti contro ogni storicismo: non esiste una Legge della Storia; non si può prevedere il futuro. Quello che potrebbe sembrare inevitabile, il Bene assoluto, non lo è mai davvero. C’è stata un’alternativa alla Dittatura del Proletariato proprio perché la società e le sue dinamiche sono rette da infinite sfere: non esiste solo la lotta di classe come unica chiave di lettura. Come ha fatto notare Weber in opposizione a Marx, l’economia è solo una delle variabili.
E così anche in Civilization: non c’è ineluttabilità. Viene spontaneo pensare a Popper e alla sua ingegneria sociale gradualistica. Non ci sono utopie, né Beni in assoluto. Il tempo è condizionato dagli eventi, da ciò che è accaduto e da ciò che potrebbe accadere. Per questo, non si può creare un programma definitivo per la realizzazione di una società ideale. L’unico approccio razionale è riconoscere i mali relativi e lavorare su quelli con azioni mirate. Solo così si evita che intere generazioni vengano sacrificate in nome di un’idea assoluta (e inarrivabile) di Bene, che — inevitabilmente — cambia a seconda del punto di vista, del partito, della sensibilità storica, o del gamer. Così tutti i sacrifici compiuti in nome di quell’ideale vengono smantellati al primo cambio di governo.
Al contrario, dice Popper, tutti possono concordare su ciò che è un male, e cooperare per affrontarlo. Si procede per prove ed errori, trovando soluzioni che derivano da una saggezza distribuita: la democrazia. L’esempio perfetto è la scienza, che di fronte a un problema propone ipotesi, le testa, le falsifica o le conferma, comunicandole apertamente alla comunità che contribuisce alla falsificazione (e quindi alla corroborazione del paradigma). Così dovrebbe funzionare anche la politica. E affinché questo dialogo e questo processo di verifica non si interrompano, le dittature sono escluse dal gioco: esse rifiuterebbero l’ingegneria gradualistica e tornerebbero a proporre la realizzazione di un Bene assoluto.
Il gameplay come simulazione di storia alternativa
Civilization, quindi, ci mostra che non esiste la scelta giusta. Esiste una molteplicità di strade percorribili: si può operare in senso tecnico o borghese, oppure scegliere la via della potenza e della supremazia. Non c’è predestinazione, ma solo libertà strategica.
Una partita di Civilization inizia con una città e un leader. Si tratta di espandersi, svilupparsi e competere con le altre civiltà. Ogni turno prevede azioni come costruire, ricercare tecnologie, commerciare, combattere. Il gioco può essere paragonato a un gioco da tavolo digitalizzato, in cui si compete per la vittoria contro altri giocatori, siano essi controllati dall’IA o reali, in modalità multiplayer o single player. La guerra è presente, ma non obbligatoria, come abbiamo detto. Esistono vari modi per ottenere la vittoria: militare, culturale, economica, scientifica. Lo scopo è far prosperare la propria civiltà, indipendentemente dal mezzo scelto.
Rispetto ai precedenti capitoli, Civilization VII introduce novità sostanziali. La più importante è il sistema delle epoche, oggetto di discussione sin dall’annuncio. È quindi necessario spiegarlo nel dettaglio. Storicamente, il giocatore in Civilization guida un popolo dall’antichità fino al futuro prossimo. Nel settimo capitolo questo principio viene parzialmente abbandonato. La partita è ora divisa in tre ere: antichità, esplorazione e modernità. Tale modalità è stata presa dal gioco competitore di Civilization: Humankind di SEGA.
Ogni epoca è costruita per essere fondata a livello antropologico e storico. Troviamo le civiltà, le tecnologie e le unità proprie di ciascun tempo. Il giocatore, giunto al termine dell’epoca, seleziona una nuova civiltà, abbandonando quella con cui aveva giocato nell’era precedente e abbracciando nuovi costumi. È possibile seguire un percorso storico (es. Egitto → Abbasidi) oppure scegliere alternative meno convenzionali. Ed è qui che, di nuovo, si può intendere Civilization VII come laboratorio didattico: discutendo delle scelte e contestualizzandole, aprendo il libro di testo, che mai come in questo caso potrebbe essere inteso come il “perfetto manuale per il giocatore”.
Questa nuova struttura a epoche — “una struttura narrativa in tre atti” — costringe i giocatori a rivedere continuamente le proprie strategie, priorità e convinzioni morali mentre il mondo cambia intorno a loro (The Crises Are Simulations, but the Lessons Are Real, New York Times, 2024). Civilization VII non è più solo un esercizio di espansione imperiale, ma diventa una riflessione costante sull’adattamento e la trasformazione. In questo senso, si configura come un simulatore di crisi: ambientali, economiche, culturali, sanitarie. Il gioco richiede al gamer di affrontare eventi destabilizzanti — guerre, pandemie, crolli ecologici — non solo con risorse materiali, ma con capacità di visione e pianificazione a lungo termine.
Felicità collettiva e motivazione come motori della civiltà in Civilization VII
Uno degli elementi più significativi introdotti in Civilization VII è l’infelicità: una condizione temuta, poiché mina alla radice il funzionamento stesso della civiltà. Un popolo infelice smette di produrre, di lavorare, di generare progresso scientifico; può persino ribellarsi, aprendo le porte al collasso interno o alla conquista da parte di civiltà più coese e motivate. Questo meccanismo si rifà implicitamente a una visione individualista della società, come quella descritta da Max Weber: non esiste una “società” in sé, ma individui che agiscono come se esistesse, perché trovano un senso o un vantaggio nell’ordine collettivo. Quando viene meno la fiducia nei valori fondanti — o quando la promessa di benessere non è più mantenuta — l’intera impalcatura può crollare.
È un tema antico e sempre attuale. La Rivoluzione francese ne è un esempio emblematico: un popolo motivato da ideali, anche se inesperto militarmente, riuscì a sopraffare eserciti mercenari privi di coesione ideologica. Tuttavia, anche quella coesione si logorò nel tempo. Con l’avvento dell’Impero napoleonico, le campagne militari smisero progressivamente di incarnare il “senso della Francia” e si trasformarono in guerre d’espansione guidate da un’élite, generando stanchezza e tradimento degli ideali originari. La disillusione portò alla crisi del consenso, e con essa alla disfatta. Come in Civilization, il potere risiede nel benessere condiviso e nella motivazione collettiva: quando questi vengono meno, il sistema implode.
Il potenziale didattico di Civilization VII
Ogni epoca può essere concepita come un modulo tematico, in cui storia, tecnologia e cultura si intrecciano in modo dinamico. L’insegnante potrebbe guidare gli studenti nella scelta delle civiltà, proponendo percorsi alternativi e stimolando riflessioni controfattuali: “E se, al posto della civiltà greca, avessimo scelto *** nell’antichità?”.
Un laboratorio per percorsi didattici interdisciplinari
Questo aprirebbe un confronto interdisciplinare che attraversa geografia, storia e filosofia, ma anche scienza e tecnologia. Non ha senso sviluppare scenari controfattuali senza considerare le risorse geografiche reali, ciò che un territorio può offrire. Analogamente, è inutile ipotizzare la diffusione di una pianta o di un cereale senza comprendere le condizioni ambientali e i tempi necessari per l’evoluzione di quel seme in determinati climi (Vedi Armi, Acciaio e Malattie, Diamond).
Il passaggio da una civiltà all’altra comporta, inoltre, l’assunzione di nuovi valori, priorità e linguaggi politici, rendendo Civilization VII un esercizio interattivo di relativismo culturale e di Montaigne. Il giocatore è chiamato a pensare come “l’altro” — a valutare strategie non dal proprio punto di vista, ma da quello della nuova civiltà che rappresenta, con il suo portato simbolico, religioso, economico.
L’idea che il libro di testo diventi un manuale del giocatore inverte il paradigma classico della lezione frontale: lo studente-giocatore parte dall’esperienza per risalire alla teoria, attivando un processo di apprendimento costruttivo e situato, smantellando ulteriormente i bias sul videogame: non strumento di rinco***onimento ma didattico trasversale.
Evoluzione storica e coerenza temporale in Civilization VII
Abbiamo compreso che le decisioni prese in un’epoca influenzano le successive attraverso un sistema di retaggi. Questo sistema temporale delle epoche risolve molte delle problematiche presenti nei capitoli precedenti di Civilization.
Diacronia storica e coerenza temporale nel nuovo modello
In passato, tutte le civiltà erano accessibili fin dall’inizio del gioco. Ciò permetteva, ad esempio, di trovarsi nel 4000 a.C. con Washington difesa da arcieri, un esempio lampante dell’apoteosi dell’evoluzione sincronica, in contrasto con l’idea che scienza e scelte siano fenomeni diacronici. Infatti, la legge di Ampère esisteva già ai tempi dei Romani, ma la sua scoperta e applicazione sono inevitabilmente figlie del loro tempo, condizionate da una catena di scoperte che si sviluppano nel corso dei secoli. Questo approccio è chiaramente presente in Civilization VII, dove, legando le civiltà alle epoche, non è più possibile, ad esempio, vedere orologi di Ben-Hur o assistere alla nascita degli Stati Uniti o della Francia nella preistoria. Tale struttura garantisce maggiore coerenza storica e un senso più tangibile di progressione temporale.
Il focus non è più esclusivamente sulla singola civiltà, ma sulla continuità delle scelte strategiche. Questo nuovo approccio consente una maggiore personalizzazione e adattamento della partita, ma potrebbe ridurre quel senso di appartenenza a un’unica civiltà che contraddistingueva i capitoli precedenti. In altre parole, Civilization VII privilegia una visione più storica e meno centrata sull’affezionarsi a un’unica cultura o popolo. Questa versione mantiene il concetto di evoluzione storica e l’importanza della coerenza temporale, migliorando la fluidità e la chiarezza del discorso.
A livello di gameplay, le meccaniche sono affinate e il ritmo di gioco risulta più dinamico. La mappa è più leggibile, l’interfaccia utente è stata semplificata e alcune meccaniche come la diplomazia e la religione sono state ristrutturate. La gestione delle città è più intuitiva, ma non semplificata. Il comparto grafico è solido. Non si discosta molto dallo stile del sesto capitolo, ma introduce miglioramenti nell’illuminazione e nella rappresentazione delle unità. L’accompagnamento sonoro resta di alto livello, con brani musicali che si evolvono in base all’epoca e alla civiltà scelta, altro elemento interessante dal punto di vista didattico, se vogliamo.
Civilization VII e la cultura critica
In conclusione, Civilization VII non si limita ad aggiornare la formula consolidata, ma introduce innovazioni strutturali che cambiano l’esperienza, mantenendo la qualità e l’autorialità storica del franchise ed esplorandoa nuove direzioni.
Civilization VII sostituisce i precedenti o si affianca a essi? Dipende. La questione resta aperta: per chi cerca coerenza storica, ritmo e varietà, questo nuovo capitolo è superiore. Per chi apprezza la coerenza identitaria di una singola civiltà, i capitoli precedenti sono preferibili.
Civilization VII si presenta sicuramente come un potente strumento di game-based learning, in grado di appassionare i giocatori alla storia e allo stesso tempo stimolare una riflessione critica sul presente, in particolare alla luce delle dinamiche geopolitiche attuali, delle crisi climatiche e delle crescenti disuguaglianze economiche. In un contesto globale sempre più teso, il gioco invita a riflettere sulla fragilità delle civiltà, tanto quelle reali quanto quelle virtuali, coacervo di haters e strumenti di infelicità.
La felicità di Civilization non è il panem et circenses. Questa riflessione trova una forte risonanza nel pensiero critico della Scuola di Francoforte, in particolare nelle teorie di Theodor Adorno, che ha sottolineato come la cultura di massa (per lui anche quella ludica), possa contribuire a un appiattimento delle coscienze e alla creazione di una “felicità comandata”, diretta e indotta. Adorno parlava del concetto di “industria culturale” come di un sistema che trasforma la cultura in una merce, svuotandola di ogni potenziale emancipativo e riducendola a un intrattenimento che distragga e sottometta le masse.
La felicità artificiale offerta dal consumismo e dalla cultura popolare moderna è un prodotto che ci rende incapaci di riflettere criticamente sulle disuguaglianze e sulle ingiustizie sociali. Ma quindi ricade nella cultura e industria anche Civilization VII, oppure può essere il purgatorio in grado di riabilitare la coscienza critica? Civilization VII ci insegna che la vera ricchezza non è nel consumismo, ma nella qualità della vita dei cittadini. Il gioco, quindi, non è solo un passatempo, ma uno strumento per riflettere criticamente sul potere e sulle disuguaglianze.
Come sottolineato dal New York Times, il gioco evoca dinamiche storiche in cui le crisi sono inevitabili nei periodi di cambiamento. Ogni transizione da un’epoca all’altra è segnata da caos e sfide impreviste che mettono alla prova la capacità del giocatore di adattarsi e resistere. La vera sfida non è solo espandere il proprio impero, ma anche sopravvivere a una realtà che cambia costantemente, esattamente come nella storia reale. In questo senso, Civilization VII non è solo un gioco, ma un’importante riflessione sulle dinamiche di potere che definiscono la storia delle civiltà (e del quotidiano più vicino), nel gioco come nella realtà.
Può quindi essere utilizzato come complemento alle lezioni tradizionali, per stimolare una discussione più profonda sulla geopolitica e far appassionare alla storia trasversalmente.