Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ansia e depressione sono tra i disturbi mentali più diffusi a livello globale. Tra gli approcci disponibili, la terapia cognitivo-comportamentale (Cognitive Behavioral Therapy, CBT) è considerata il gold standard: un metodo strutturato e validato scientificamente (OMS, 2025).
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Perché l’intelligenza artificiale entra nella terapia cognitivo-comportamentale
Come altre forme di psicoterapia, anche la CBT tuttavia si scontra con ostacoli strutturali: scarsità di terapeuti qualificati, costi elevati e tempi di attesa spesso troppo lunghi (Koelen et al., 2024).
Per superare queste barriere, negli ultimi anni sono state sviluppate le piattaforme di internet-based CBT (iCBT) che propongono percorsi strutturati di terapia in formato digitale. Si è trattato di un passo avanti, ma non privo di limiti: tassi di abbandono elevati, scarsa interattività e ridotta capacità di adattarsi ai bisogni individuali (Jiang et al., 2024).
Con l’arrivo dei large language models (LLM) lo scenario è cambiato. Per la prima volta, un sistema automatizzato è in grado di simulare in tempo reale il dialogo terapeutico, adattando la conversazione al linguaggio dell’utente e applicando le tecniche CBT in modo strutturato.
L’innovazione non è nei contenuti, che restano quelli dei manuali, ma nella forma: un dialogo interattivo capace di spiegare concetti, accompagnare esercizi di ristrutturazione cognitiva e suggerire strategie terapeutiche (Nelson et al., 2025). E se l’IA sembra competente nell’applicare le tecniche della CBT, non lo è altrettanto nel costruire l’alleanza terapeutica, elemento imprescindibile di ogni percorso terapeutico.
Chatbot e app che triplicano il coinvolgimento dei pazienti
L’IA mostra un potenziale concreto nell’ampliare la portata della CBT, rendendola più accessibile e sostenendo la partecipazione attiva di chi, altrimenti, resterebbe escluso dal trattamento. Uno degli elementi più solidi a favore dell’integrazione dell’IA riguarda proprio l’engagement dei pazienti. In un trial randomizzato condotto su oltre 500 partecipanti, l’app Limbic Care, basata su un agente conversazionale AI, è stata confrontata con workbook statici in PDF. I risultati sono stati netti: gli utenti dell’app hanno mostrato un coinvolgimento quasi triplo, sia in termini di frequenza d’uso sia di durata delle sessioni. Non solo: chi sfruttava le funzioni di personalizzazione riportava riduzioni più marcate dei sintomi ansiosi e un miglioramento del benessere generale (McFadyen et al., 2024). Anche la revisione sistematica di Farzan et al. (2025) conferma questi risultati: i chatbot Woebot, Wysa e Youper hanno ridotto in modo significativo i sintomi ansiosi e depressivi con elevati livelli di soddisfazione e di alleanza terapeutica percepita. Youper, in particolare, ha registrato un calo del 48% della depressione e del 43% dell’ansia, dimostrando che, anche senza la presenza di un clinico, gli utenti percepiscono continuità e supporto. L’engagement non è un aspetto secondario: la continuità nell’uso degli strumenti, soprattutto tra una seduta e l’altra, è uno dei principali predittori degli esiti clinici (McFadyen et al., 2024).
Dove l’intelligenza artificiale non riesce a sostituire il terapeuta
La buona riuscita di una terapia dipende in gran parte dal rapporto che si crea con il terapeuta, l’alleanza terapeutica: sentirsi ascoltati, avere fiducia, percepire che le tecniche vengono adattate davvero alla propria esperienza. È proprio su questo terreno che l’IA mostra i suoi limiti. Anche quando utilizza formule che suonano empatiche, non riesce a cogliere le sfumature emotive, a rispondere a segnali impliciti o a modulare il ritmo della seduta in base a ciò che accade nel momento.
Per valutare fino a che punto un modello linguistico come ChatGPT possa condurre una seduta di CBT, i ricercatori hanno utilizzato la Cognitive Therapy Rating Scale (CTRS), una scala che misura non solo la correttezza tecnica, ma anche la qualità della relazione instaurata.
Secondo queste valutazioni, ChatGPT mostra una buona padronanza degli elementi strutturali: sa proporre esercizi coerenti, applicare tecniche di ristrutturazione cognitiva e mantenere un linguaggio chiaro e organizzato. Dove però la sua performance cala è sugli aspetti più interpersonali: la collaborazione con il paziente, l’adattamento del ritmo della seduta, la capacità di fornire feedback personalizzati e, soprattutto, la costruzione di un’alleanza terapeutica (Jiang et al., 2024). Anche gli studi sulle versioni di iCBT computer-guided, cioè programmi online di CBT gestiti senza un terapeuta, confermano questo limite: gli esiti clinici sono paragonabili a quelli ottenuti con il supporto umano, ma l’aderenza e la soddisfazione a lungo termine risultano inferiori (Koelen et al., 2024). Anche altri strumenti come Woebot o Wysa funzionano bene per interventi brevi e psicoeducativi, ma non sono adatti a gestire traumi, disturbi complessi o situazioni di crisi (Farzan et al., 2025).
Modelli ibridi: la combinazione vincente tra tecnologia e relazione
La visione “IA vs terapeuta umano” è fuorviante. Le evidenze indicano piuttosto la direzione di modelli ibridi in cui le due dimensioni si integrano. Il cuore del lavoro resta in mano al terapeuta: supervisione clinica, gestione dei casi complessi e, soprattutto, la costruzione del rapporto di fiducia. I chatbot possono semplificare solo le attività più ripetitive e standardizzate come psicoeducazione, monitoraggio quotidiano o esercizi di mantenimento, liberando tempo ed energie per ciò che richiede davvero la presenza umana.
Un assetto del genere alleggerisce il carico dei professionisti permettendo loro di dedicare più tempo alle situazioni che richiedono interventi specialistici e allo stesso tempo offrire un primo livello di sostegno a chi altrimenti resterebbe escluso dai servizi (McFadyen et al., 2024; Koelen et al., 2024). Inoltre, come sottolineano Jiang et al. (2024), gli algoritmi possono diventare un supporto tecnico utile anche per i terapeuti stessi, ad esempio nella valutazione delle distorsioni cognitive o nella raccolta di dati longitudinali, migliorando così la precisione del trattamento. Perché i modelli ibridi diventino davvero sostenibili, è necessario garantire validazione clinica rigorosa, per distinguere le applicazioni fondate su prove scientifiche da quelle commerciali prive di basi solide.
Allo stesso tempo, la gestione dei dati sensibili raccolti dai chatbot richiede regole chiare e coerenti con GDPR e AI Act. Senza queste garanzie, il rischio è minare la fiducia dei pazienti e degli stessi professionisti (Nelson et al., 2025). Il progresso utile non è quello che rimpiazza il clinico, ma quella che ne moltiplica le risorse, senza perdere di vista la centralità del rapporto umano.
Bibliografia
Farzan, M., Ebrahimi, H., Pourali, M., & Sabeti, F. (2025). Artificial intelligence-powered cognitive behavioral therapy chatbots, a systematic review. Iranian journal of psychiatry, 20(1), 102.
Koelen, J., Klein, A., Wolters, N., Bol, E., De Koning, L., Roetink, S., … & Wiers, R. (2024). Web-based, human-guided, or computer-guided Transdiagnostic cognitive behavioral therapy in university students with anxiety and depression: randomized controlled trial. JMIR mental health, 11, e50503.
Jiang, M., Zhao, Q., Li, J., Wang, F., He, T., Cheng, X., … & Fu, G. (2024). A generic review of integrating artificial intelligence in cognitive behavioral therapy. arXiv preprint arXiv:2407.19422.
McFadyen, J., Habicht, J., Dina, L. M., Harper, R., Hauser, T. U., & Rollwage, M. (2024). AI-enabled conversational agent increases engagement with cognitive-behavioral therapy: A randomized controlled trial. medRxiv, 2024-11.
Nelson, J., Kaplan, J., Simerly, G., Nutter, N., Edson-Heussi, A., Woodham, B., & Broman-Fulks, J. (2025). The balance and integration of artificial intelligence within cognitive behavioral therapy interventions. Current Psychology, 1-11.
World Health Organization. (2025). World mental health report 2025.











