L’introduzione dell’intelligenza artificiale (IA) all’interno della CIA (Central Intelligence Agency) sta ridefinendo radicalmente il funzionamento dell’intelligence statunitense, ma non senza costi umani.
Sebbene l’adozione di tecnologie avanzate prometta efficienza, velocità decisionale e capacità analitiche potenziate, uno degli effetti collaterali più discussi — ma ancora poco esplorati pubblicamente — è la riduzione dell’organico umano. I licenziamenti e il ridimensionamento di alcune funzioni tradizionali all’interno dell’agenzia sono ormai realtà, segnalando un cambiamento epocale nella gestione della sicurezza nazionale.
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L’adozione massiva di intelligenza artificiale nelle operazioni di intelligence
Negli ultimi anni, la CIA ha investito pesantemente nello sviluppo e nell’adozione di sistemi basati su IA per raccogliere, elaborare e interpretare dati provenienti da fonti aperte (OSINT), segnali elettronici (SIGINT), immagini satellitari (IMINT) e sorveglianza umana (HUMINT).
Algoritmi di machine learning vengono ora utilizzati per:
- identificare modelli di comportamento sospetto;
- prevedere eventi geopolitici;
- analizzare contenuti in lingua straniera in tempo reale;
- generare profili psicologici di soggetti d’interesse;
- condurre operazioni di Virtual Human Intelligence (VHUMINT).
Questa trasformazione è resa possibile anche grazie alla collaborazione con aziende private e startup che operano nel settore della sicurezza e della data science. Secondo alcune fonti vicine all’Intelligence Community, più del 20% dei progetti analitici della CIA impiega oggi almeno un modulo di intelligenza artificiale.
Automatizzazione e riduzione del personale
Il risultato più diretto di questa transizione tecnologica è un cambiamento nella composizione del personale della CIA. Sebbene l’agenzia non abbia rilasciato dati ufficiali, fonti interne e report trapelati indicano che una parte significativa del personale impiegato in ruoli analitici tradizionali — come traduttori, analisti linguistici, esperti di decrittazione — è stata ridotta o ricollocata.
Molte attività un tempo affidate esclusivamente all’ingegno umano, come il monitoraggio delle comunicazioni in lingue rare o l’analisi di flussi video da droni, sono oggi svolte da algoritmi in grado di lavorare 24 ore su 24, senza interruzioni, e con un margine di errore in costante diminuzione. In alcune divisioni operative si parla apertamente di “sostituzione tecnologica”: l’IA è diventata lo strumento preferito per la prima analisi, lasciando agli esseri umani solo la supervisione dei casi più complessi o ambigui. Questo ha comportato tagli di personale che, pur avvenendo gradualmente, hanno già avuto un impatto tangibile su centinaia di dipendenti e contractor.
Effetti sui dipendenti: licenziamenti silenziosi
I licenziamenti non sono stati annunciati con enfasi pubblica — come prevedibile per un’agenzia che opera in un regime di riservatezza — ma sono avvenuti sotto forma di mancati rinnovi contrattuali, prepensionamenti incentivati e trasferimenti a ruoli secondari. Alcuni dipendenti, secondo testimonianze riportate da giornalisti investigativi e analisti della difesa, sono stati semplicemente “messi da parte” dopo decenni di servizio.
Questo fenomeno sta alimentando un malcontento diffuso in una parte dell’organico. Non si tratta soltanto di perdere un impiego, ma di assistere a una trasformazione che mette in discussione il valore stesso dell’esperienza e dell’intuito umano in un settore dove, tradizionalmente, l’intelligenza era soprattutto un prodotto umano. A tal proposito è inevitabile l’inserimento di un dibattito sul piano etico: può un algoritmo comprendere il contesto culturale o le sottigliezze diplomatiche dietro un evento internazionale? È prudente affidare alla macchina il compito di valutare minacce alla sicurezza nazionale? E soprattutto: quali sono i rischi di una progressiva “disumanizzazione” dell’intelligence?
All’interno della CIA stessa, secondo fonti interne raccolte da think tank statunitensi, è in corso una riflessione su quanto sia sicuro sostituire il giudizio umano con processi automatizzati, soprattutto nei dossier più delicati, come le operazioni sotto copertura o le relazioni con partner stranieri.
L’ex Direttore della CIA, William J. Burns, aveva più volte sottolineato l’importanza della modernizzazione tecnologica per “vincere la competizione globale del XXI secolo”, in particolare nei confronti della Cina. Tuttavia, anche lui aveva ammesso che “non tutto può essere codificato in un algoritmo”. In questo scenario, l’agenzia si trova in bilico tra due esigenze: da un lato, abbracciare la trasformazione digitale per restare competitiva sul piano globale; dall’altro, preservare una parte della sua eredità fatta di competenze, intuizioni e capacità relazionali che non possono essere replicate artificialmente.
Trasformazione del profilo professionale richiesto per lavorare nell’intelligence
Nel lungo termine, la presenza dell’IA nella CIA cambierà non solo l’organizzazione del lavoro ma anche il tipo di figure professionali richieste. Le nuove assunzioni tenderanno a favorire i data scientist, gli esperti di cybersecurity, gli sviluppatori di intelligenza artificiale e gli specialisti di big data.
Profili umanistici o tradizionali verranno integrati solo se in grado di interfacciarsi efficacemente con i sistemi tecnologici. Ciò potrebbe generare una nuova élite all’interno dell’agenzia, composta da tecnocrati e ingegneri, mentre i veterani del vecchio mondo dell’intelligence potrebbero trovare sempre meno spazio. “L’intelligenza artificiale non è più solo uno strumento: è un imperativo strategico”, da questa affermazione fatta da Lakshmi Raman, direttrice dell’Ufficio per l’Intelligenza Artificiale della CIA, al quarto Summit annuale di Vanderbilt sui conflitti moderni e le minacce emergenti, è possibile comprendere come la CIA si stia adattando a un panorama tecnologico in rapida evoluzione.
La strategia a tre pilastri di Lakshmi Raman
La Direttrice ha altresì aggiunto “Considero l’IA non solo una tecnologia emergente, ma una necessità strategica. I nostri avversari lo riconoscono e si stanno muovendo rapidamente per sfruttare queste tecnologie in modi che mettono a dura prova la nostra sicurezza nazionale ed economica come mai prima d’ora”.
La Raman, che ha iniziato a lavorare alla CIA nel 2002, ha delineato una strategia a tre pilastri:
- l’IA come tema di intelligence,
- l’IA come facilitatore di missioni e
- l’IA come capacità che impone una forte governance.
Per supportare l’adozione dell’IA, l’ufficio di Raman ha creato una piattaforma centralizzata per l’implementazione di modelli di IA e un archivio consultabile di strumenti e set di dati. Il suo team ha inoltre contribuito alla creazione dell’AI Learning Center interno all’agenzia e ha avviato partnership con le università per ampliare l’istruzione e la formazione.
Il timore cinese
Lakshmi Raman ha individuato la Cina come principale concorrente degli Stati Uniti nell’intelligenza artificiale e ha indicato il documento 2025 Stanford AI Index come prova del rapido progresso cinese. “I modelli IA cinesi hanno colmato il divario sul piano qualitativo”, ha affermato “La Cina è attualmente leader per numero di pubblicazioni e brevetti in materia di intelligenza artificiale, e non c’è dubbio che stia facendo rapidi progressi in questo settore”.
Durante l’evento, Raman ha altresì sottolineato l’importanza delle partnership con il mondo accademico e l’industria. “Non siamo un’organizzazione di ricerca, quindi collaborare con il mondo accademico e i laboratori per svolgere alcuni livelli di ricerca applicata è davvero importante”.
Bilanciare l’efficienza algoritmica con il discernimento umano
L’intelligenza artificiale sta diventando parte integrante del modo in cui la CIA opera, analizza e prende decisioni. Ma la trasformazione ha un costo sociale non indifferente: la perdita di posti di lavoro, la ridefinizione di ruoli storici e un cambiamento culturale profondo all’interno dell’agenzia. In un mondo sempre più dominato dai dati, la sfida sarà bilanciare l’efficienza algoritmica con il discernimento umano. E forse, in ultima istanza, rispondere alla domanda: possiamo davvero fare a meno dell’intelligenza umana nella gestione dell’intelligence?