sistemi urbani antifragili

La sfida delle comunità intelligenti: declinare al plurale e investire nella partecipazione

Le città contemporanee e del futuro non possono più essere solo “smart”, ma devono essere sistemi antifragili. E possono esserlo se si comincia fin da subito a tenere conto di tutti i punti di vista, a valorizzare gli approcci “plurali”, a ripensare il futuro con nuovi paradigmi. Una sfida, ma non impossibile

Pubblicato il 06 Set 2021

Mirta Michilli

direttrice generale della Fondazione Mondo Digitale

Aerial View of a Crossing in Mexico City

Città da 15 minuti? Città policentriche? Città hub? La pandemia ha riaperto il dibattito sul futuro delle nostre metropoli che non si basa solo sulla trasformazione digitale, perché non basta più che siano solo smart city, città intelligenti. Siamo in grado di costruire sistemi urbani antifragili, ovvero dotati della qualità di migliorarsi nell’instabilità? Come si sviluppano comunità intelligenti? E soprattutto come si costruisce l’antifragilità urbana?

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Interpretare i dati per evitare disparità di genere (e spendere meno)

A Karlskoga, in Svezia, i servizi di sgombero neve davano la precedenza alle grandi arterie più trafficate, per passare poi a marciapiedi e piste ciclabili. Una scelta che aveva un impatto molto diverso sulla mobilità di uomini e donne. Dal 2011 l’amministrazione comincia a raccogliere diversamente i dati sulla viabilità invernale, tenendo conto dei piccoli spostamenti interconnessi delle persone (trip-chaining), e a interpretarli anche dal punto di vista femminile. Si spala la neve dando priorità ai pedoni e agli utenti del servizio pubblico. Il risultato è risparmio di soldi pubblici e, in pochi anni, il dimezzamento delle persone incidentate a causa della neve, soprattutto donne, e dei relativi ricoveri. Una parziale interpretazione dei dati, basata sul punto di vista maschile, aveva creato una disparità tra uomo e donna nei servizi di mobilità. Questo caso è raccontato da Caroline Criado Perez in un volume molto interessante “Invisible Women” (2019), tradotto in italiano da Einaudi (Invisibili, Torino 2020).

Ho scelto questa storia perché credo sintetizzi bene la sfida principale che ogni comunità intelligente deve affrontare, cioè quella di riuscire a tenere conto di tutti i punti di vista, a cominciare dalla valorizzazione degli approcci “plurali”, che nascono già come convergenza di esigenze diverse. Un esempio è il punto di vista femminile, che quasi sempre è costruito sulle esigenze di un gruppo familiare allargato, minori, adulti e anziani, spesso con bisogni speciali. Altri punti di vista plurali sono quelli che esprimono le organizzazioni del terzo settore, soprattutto quelle impegnate accanto ai cittadini più fragili. Aiutano a dare voce agli invisibili, ai marginali, agli esclusi. Dobbiamo immaginare un modello di sviluppo che renda le persone protagoniste, in cui le comunità diventino intreccio di relazioni, identità e appartenenza. Un modello di sviluppo che sia integralmente sostenibile, che parta dalla consapevolezza che tutto è connesso.

Ripensare il futuro con nuovi paradigmi

Possiamo davvero ripartire se cominciamo a ripensare il futuro con nuovi paradigmi. Quando abbiamo cominciato a considerare le disuguaglianze come ineluttabili? Sono il frutto di scelte sbagliate, che possono e devono essere corrette. Viviamo in città che sono un insieme di divide, a cominciare dalla contrapposizione tra centro e periferia. Nel recente “Le sette Rome” gli autori ci descrivono “la capitale delle disuguaglianze raccontata in 29 mappe” (Donzelli editore, Roma 2021). Una radiografia impietosa con un “referto” chiaro e una prognosi che non lascia dubbi: dobbiamo cambiare stile di vita, invertire la rotta, fare scelte diverse se vogliamo costruire città compatte, vivibili e resilienti. Occorre ripartire dalle relazioni, dai legami solidali tra i cittadini, questo ci ha insegnato la pandemia.

Dobbiamo investire di più nella partecipazione consapevole dei cittadini, aiutare le persone a immaginare scenari diversi da quelli in cui vivono. Possiamo far sentire tutti costruttori del bene comune, inventando insieme nuove forme di cittadinanza urbana.

Con il programma di Vagone FMD. Da 01 a 100 al Binario F di Facebook stiamo sperimentando un originale percorso che coinvolge gli attori del territorio in sfide di co-progettazione, per restituire centralità a relazioni e territori e proporre nuovi modelli di trasformazione digitale e crescita sostenibile dal basso. Proviamo a comporre spezzoni di buon governo e buone pratiche in un nuovo disegno di governance corale del territorio, perché possano nascere “comunità di progetto” in grado di aggregare forze e intelligenze.

Partiamo con sei sfide in sei comuni italiani (con attenzione alle città del sud) per imparare insieme a progettare la trasformazione digitale dei territori e la ripartenza del tessuto produttivo e sociale post pandemia. La prima civic challenge è stata lanciata da Roma Capitale e in particolare dall’assessorato allo Sviluppo economico e Lavoro, nell’ambito del Piano Roma Smart City. Con la sfida “come promuovere il Made in Roma in Italia e all’estero” alcuni attori del territorio (commercianti, imprenditori, artigiani e operatori del terzo settore) si sono confrontati per individuare strategie e strumenti che riescano a combinare il marchio di qualità di Roma con modelli di e-commerce per prodotti e servizi di eccellenza. Una sfida che ha anche un valore simbolico, perché significa tracciare una strada per la ripresa dell’intero paese. Ci piace pensare a una Roma futura come città della conoscenza inclusiva e immaginare che ogni prodotto, attività o servizio made in Roma sia pienamente accessibile e fruibile da tutti, capace di rispondere a una nuova domanda e a una maggiore consapevolezza.

Non ci sorprende il segnale forte arrivato da tutti i partecipanti alle sessioni di co-progettazione con la richiesta di non disperdere le risorse messe in campo con la pandemia: alcuni comportamenti sperimentati negli ultimi mesi, come l’attitudine all’adattamento e all’open innovation di enti pubblici e di aziende, devono caratterizzare anche nel futuro l’approccio dell’amministrazione e di tutti gli attori coinvolti. Altro filo rosso trasversale nei tavoli di lavoro il bisogno di ricostruire un’immagine della capitale, travolta da una vera e propria crisi identitaria.

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In autunno comunicheremo le prossime sfide e al termine delle sei tappe un documento di sintesi raccoglierà “il sentire delle comunità” e le principali proposte avanzate dai territori per la costruzione di una visione collettiva e partecipata di rilancio e sviluppo del sistema Paese.

Un processo è stato messo in moto e qualcosa finalmente sta cambiando. Una conferma ci arriva dalla Fondazione Italia Sociale che ha da poco lanciato una nuova ricerca sul rapporto tra Terzo settore e aziende, con l’obiettivo di “far emergere punti di forza, criticità e opportunità che le organizzazioni vivono nella relazione con le imprese per trovare un linguaggio comune alle due realtà e favorire una collaborazione basata su dialogo, reciproca fiducia e conoscenza”.

Lo scorso marzo, quando abbiamo lanciato il nuovo programma Vagone FMD come una comunità inclusiva di pratica digitale, un ambiente di apprendimento diffuso e un nuovo metodo di lavoro per trovare soluzioni, le prime stanze digitali erano abitate proprio da aziende e terzo settore.

Pensiero plurale e partecipazione. Ripartiamo da qui.

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