L’innovazione tecnologica connessa alla trasformazione digitale ha inciso profondamente sulle modalità di interazione tra soggetti, influenzando non solo la comunicazione e le dinamiche economico-produttive, ma anche la formazione e l’esecuzione degli atti giuridici, in primis dei contratti. In tale contesto, anche nell’ordinamento italiano – in linea con quanto avviene a livello globale – si assiste a una crescente diffusione delle pratiche contrattuali in forma digitale e all’utilizzo di strumenti automatizzati noti come smart contract.
Ci si interroga, pertanto, quali sia la disciplina applicabile, con particolare riguardo alla validità degli stessi e alla loro riconducibilità ai modelli contrattuali tradizionali, nonché sulla loro effettiva collocazione sistematica nel quadro normativo vigente.
Indice degli argomenti
Smart contract e autonomia contrattuale
La disciplina sancita dall’articolo 1322 del Codice Civile rappresenta uno dei principi cardini del diritto privato italiano, quello dell’autonomia contrattuale. Il nostro ordinamento attribuisce ai soggetti la piena libertà di decidere se, con chi e a quali condizioni concludere un contratto, seppur nel rispetto dei limiti imposti dalla legge, dall’ordine pubblico e dal buon costume.
Autonomia che si traduce, da un lato, con la libertà di poter utilizzare i modelli contrattuali tipici previsti dall’ordinamento; dall’altro, con la facoltà di dare vita a schemi atipici, purché finalizzati alla realizzazione di interessi ritenuti meritevoli di tutela. Tale previsione normativa costituisce un’apertura significativa che permette al negozio giuridico di adattarsi alle mutevoli esigenze sociali ed economiche.
Il principio dell’autonomia contrattuale conserva la sua piena validità e operatività anche in ambito digitale, in un contesto, come quello odierno, ove sempre più sono i soggetti che ricorrono alle modalità innovative di conclusione e gestione del contratto.
Infatti, la possibilità di predisporre contratti in formato digitale, con firme elettroniche o meccanismi automatizzati (come gli smart contract), si inserisce pienamente nel solco dell’autonomia negoziale, la quale si estende anche alla scelta delle forme e delle tecnologie con cui manifestare la volontà contrattuale, salvo le eccezioni in cui la legge richiede una forma determinata ad substantiam o ad probationem.
In tal senso, possiamo affermare come l’evoluzione digitale non abbia affievolito il ruolo dell’autonomia contrattuale, ma ne abbia esteso l’ambito applicativo. Tuttavia, il sempre maggior impiego di detti strumenti, ha inevitabilmente imposto una riflessione, con riferimento non soltanto alla tutela dell’equilibrio contrattuale e alla trasparenza informativa, ma anche alla effettiva comprensione del contenuto negoziale in quei casi in cui le modalità tecniche di formazione del contratto riducano la possibilità di intervento consapevole delle parti contraenti.
Validità legale degli smart contract in Italia
Oggi, la stipulazione di contratti in forma telematica rappresenta una modalità pienamente riconosciuta e legittimata dalla normativa vigente, e non, come sino a non molto tempo fa, un’eccezione tollerata dal sistema giuridico. Tanto il Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD) quanto il Regolamento (UE) n. 910/2014 (eIDAS) sanciscono un principio ormai consolidato, ossia quello che i contratti digitali producono i medesimi effetti giuridici di quelli tradizionali, purché sottoscritti secondo le forme e le condizioni previste dalla legge.
Firma elettronica e smart contract
In questo quadro normativo, la firma elettronica qualificata (FEQ) e la firma digitale hanno un ruolo centrale. Dubbia era l’efficacia probatoria dei documenti digitali sottoscritti con tali strumenti, sin tanto che l’art. 20 del Codice dell’Amministrazione Digitale li ha equiparati – ai sensi dell’articolo 2702 del codice civile – alle scritture private con firma autografa. La medesima ratio è stata, poi, fatta propria anche dal regolamento eIDAS, che ha recepito e rafforzato, a livello europeo, il principio di equivalenza funzionale tra la firma elettronica qualificata e quella autografa, estendendone gli effetti giuridici in tutti gli Stati membri.
Questa evoluzione normativa, sostenuta da una crescente interoperabilità tra i sistemi nazionali di identificazione digitale, ha dunque aperto la strada alla possibilità di digitalizzazione dei contratti, nel pieno rispetto delle disposizioni previste in materia civilistica, senza la necessità di rinunciare alle garanzie di certezza e sicurezza giuridica, proprie del diritto privato.
I requisiti di validità legale degli smart contract
In questo contesto, si colloca anche il crescente interesse verso gli smart contract, la cui validità giuridica dipende dal rispetto dei requisiti formali richiesti dalla legge: da una parte la corretta identificazione delle parti contraenti, e dall’altra l’attribuibilità della firma ai medesimi soggetti. Se soddisfatte tali condizioni, anche contratti eseguiti in modalità automatizzata possono rientrare nel novero degli atti giuridicamente vincolanti.
Il quadro normativo europeo e nazionale, quindi, non solo riconoscono la legittimità della contrattualistica digitale, ma ne promuovono l’adozione come strumento efficace, sicuro e perfettamente integrato nei principi generali dell’ordinamento giuridico. Una prospettiva che apre nuovi scenari per l’impiego di tecnologie emergenti – dalla blockchain all’intelligenza artificiale – nei processi negoziali e amministrativi, ridisegnando i confini della forma e della volontà contrattuale.
Smart contract: nozione e normativa di riferimento
Nel novero delle innovazioni più significative introdotte nell’era delle tecnologie digitali, vi è certamente quella dello smart contract, ovvero del “contratto intelligente”. Concetto introdotto già a partire dai primi anni ’90, trova poi una reale applicazione soltanto con l’avvento della tecnologia blockchain. Trattasi di software informatici costituiti da un codice crittografico che facilitano, verificano o fanno rispettare la negoziazione o l’esecuzione di un contratto, riducendo tempi, costi e margini di errore legati all’intermediazione tradizionale.
Gli smart contract, infatti, si fondano su codici informatici strutturati per essere eseguiti esclusivamente al verificarsi di determinati eventi prestabiliti, secondo la logica operativa “if-then” (se-allora). Tale meccanismo garantisce un’esecuzione automatica e immutabile, senza la necessità di interventi da parte di soggetti terzi. In altre parole, al manifestarsi della condizione X, consegue automaticamente l’esecuzione dell’istruzione Y. Per tale ragione, si sente spesso parlare dello smart contract come di un modello contrattuale “auto-esecutivo”, in cui l’efficacia dell’accordo è affidata alla tecnologia e non alla discrezionalità delle parti o all’intervento di un mediatore.
In Italia, il concetto di smart contract ha ricevuto un primo riconoscimento normativo nel 2019, con l’introduzione dell’articolo 8-ter del cosiddetto Decreto Semplificazioni (DL 135/2018, convertito con modificazioni dalla Legge 12/2019). Detta norma definisce lo smart contract come “un programma per elaboratore che opera su tecnologie basate su registri distribuiti e la cui esecuzione vincola automaticamente due o più parti in base a effetti predefiniti”. Si prevede, inoltre, che la registrazione di un atto mediante tecnologie blockchain soddisfi il requisito della forma scritta, previa identificazione digitale delle parti.
Profili critici degli smart contract: consenso, forma e responsabilità
Il sempre maggior ricorso a strumenti come quello dello smart contract, e la conseguente automazione degli effetti obbligatori sottesi al contratto, ha sollevato e solleva tutt’ora delicate questioni interpretative, soprattutto in relazione alla formazione del consenso e alla determinazione della volontà negoziale. Basti considerare come il codice informatico è, per sua stessa natura, poco accessibile al contraente medio, che potrebbe, non di rado, riscontrare difficoltà nella comprensione delle obbligazioni che va ad assumere.
A ciò si aggiunga come l’immutabilità tipica della blockchain può rendere complessa – se non impossibile – la revoca o la modifica del contratto, anche in presenza di vizi della volontà (errore, dolo, violenza). Circostanza questa che pone il problema della compatibilità tra l’automatismo dello smart contract e i principi generali del diritto contrattuale, in primis la libertà negoziale e la possibilità di recesso o risoluzione.
Sul piano probatorio, infine, la registrazione dell’atto su un registro distribuito può offrire garanzie di integrità e tracciabilità, ma resta da valutare la sua idoneità a costituire piena prova scritta nei sensi dell’art. 2702 c.c., soprattutto in mancanza di una firma digitale qualificata. Oggi, le applicazioni degli smart contract risultano già numerose, confermando il rilevante potenziale di tali strumenti anche in ambiti tradizionalmente “insensibili” all’innovazione tecnologica.
In tale contesto, diversi ordinamenti giuridici — tra cui quello italiano — hanno già riconosciuto, o si stanno orientando verso il riconoscimento, di una forma di rilevanza giuridica agli smart contract. Tuttavia, la loro esatta qualificazione giuridica continua a rappresentare oggetto di confronto dottrinale e interpretativo, in ragione della loro natura intrinsecamente tecnica e automatizzata.
Verso una regolamentazione più chiara degli smart contract
Diversi e importanti sono stati gli interventi legislativi attuati dall’Unione Europea negli ultimi anni, segno del chiaro intento di voler delineare un assetto normativo che possa correttamente governare l’economia digitale.
Con il Digital Services Act, il Data Act e il Regolamento MiCA (Markets in Crypto-Assets) si è cercato di attuare, in maniera organica, una disciplina che regolamentasse le piattaforme digitali, i flussi di dati e le criptoattività. Nel frattempo, anche l’ordinamento italiano ha iniziato a confrontarsi con queste trasformazioni, tentando di adattare i principi del diritto civile alle sfide sorte dall’utilizzo delle nuove tecnologie.
Evoluzione verso lo smart legal contract
Sebbene il loro impiego sia ancora limitato da incertezze normative e difficoltà interpretative, è evidente come queste stiano progressivamente guadagnando spazio nei contesti giuridici ed economici più dinamici, realizzando quell’incontro tra diritto e tecnologia che sino a non tanto tempo fa sembrava impensabile. La sfida che attende legislatori, giuristi e tecnici nei prossimi anni dovrà guardare in una duplice direzione: costruire un quadro normativo capace di recepire l’innovazione e regolamentarla, da un lato; garantire la tutela e la certezza del diritto anche in un contesto di crescente automazione contrattuale, dall’altro.
In definitiva, il futuro dei contratti — e del diritto in generale — passerà sempre più attraverso il codice, inteso non solo come norma giuridica, ma anche come codice informatico. L’evoluzione verso lo smart legal contract non è più una possibilità remota, ma una traiettoria ormai tracciata.











