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Delega digitale, quale impatto sull’innovazione del sistema Paese



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I dati del Desi e delle attività legate alle pratiche amministrative raccolti dall’associazione Unappa permettono di fotografare lo stato dell’arte della trasformazione digitale in Italia, per capire come la delega digitale possa spingere la crescita

Pubblicato il 8 nov 2024

Nicola Testa

Presidente U.NA.P.P.A. Unione Nazionale Professionisti Pratiche Amministrative



intelligenza artificiale, claude ai, computer use (1)

Transizione digitale, EU-Wallet, Intelligenza artificiale: dall’identità digitale di cittadini e imprese all’uso delle applicazioni più avanzate per accelerare la crescita, è utile capire a che punto sia l’Italia. Un’istantanea ci è fornita dai dati DESI, il Rapporto annuale sul grado di digitalizzazione dell’economia e della società relativo ai 27 stati membri dell’Unione europea.

Ma il contesto è complesso e, in questo ambito, risulta particolarmente interessante analizzare il ruolo della delega digitale nel processo di innovazione del sistema Italia.

Lo scenario nei dati del Desi

Uno strumento che, dopo l’approvazione del Digital Decade Policy Programme (DDPP), il programma per il decennio digitale traguardato sul 2030, ha permesso di trasformare il DESI2024 in una piattaforma di monitoraggio della transizione digitale rispetto agli obiettivi da raggiungere nel prefissato orizzonte temporale del corrente decennio.

Se guardiamo con attenzione i dati più recenti, da poco pubblicati e riferiti al 2023, ci accorgiamo di come il livello attualmente raggiunto dall’Italia, frutto soprattutto dello sviluppo digitale degli ultimi anni (dal 2020 a oggi), sia contrassegnato da aspetti sia positivi sia negativi. Positiva è la crescita della diffusione della banda larga da almeno 1Gbps e della copertura 5G: in entrambi i casi siamo il sesto paese europeo, sia per contratti sottoscritti con la banda larga sia per il 5G.

E se per i contratti con la banda larga siamo molto prossimi alla media europea, per il 5G la sopravanziamo di parecchio: dieci punti percentuali in più della media europea rispetto alle frequenze standard e poco meno di quaranta punti percentuali in più rispetto a quella che il Radio Spectrum Policy Group (RSPG), l’organismo che si occupa di definire le politiche per le frequenze della Ue, definisce pioneer band, pari a 3,4-3,8 Ghz, ossia la più potente. Un dato che ci colloca in seconda posizione fra i paesi dell’Unione, dopo la sola Finlandia, da sempre considerata un paese di frontiera nella diffusione delle reti informatiche, con una copertura di circa un punto percentuale in meno (88,3% contro 89,7) rispetto a quella dei nordici.

Possiamo perciò concludere che la finestra di opportunità che si è aperta agli inizi di questo decennio prospetti al nostro Paese buone potenzialità per una transazione digitale efficace o, per dirla altrimenti: possiamo metterci nelle migliori condizioni per non mancare l’appuntamento con la fase più avanzata della rivoluzione digitale. Il problema è che questi dati non trovano riscontro in altri importanti indicatori, come in particolare quelli relativi all’utilizzo della rete e alle competenze digitali. Basti guardare alla diffusione della banda mobile fra i cittadini in età compresa fra i 16 e i 74 anni, un dato che colloca l’Italia nella parte bassa della classifica europea, in ventiduesima posizione (e sembrerebbe un paradosso per la diffusione che i cellulari hanno nel nostro paese), cinque punti percentuali sotto la media continentale e prima soltanto di Bulgaria, Croazia, Grecia, Portogallo e Slovacchia.

I punti critici

Ma non solo: in coda all’Europa siamo anche per l’utilizzo di internet: quando poco meno del totale dei cittadini olandesi di età compresa fra i 16 e i 74 anni (98,9%) utilizza internet abitualmente, solo l’85,4% degli italiani può vantare un uso frequente della rete. Una percentuale che potrebbe apparentemente sembrare alta ma, in realtà, rappresenta un ritardo. Tant’è che dietro al nostro paese, con percentuali fra l’85 e il 79,8 per cento, vi sono soltanto Bulgaria, Croazia, Portogallo, Grecia e Polonia. Se poi consideriamo le competenze digitali di base, la situazione è ancora più critica: sempre rispetto ai cittadini di età compresa fra i 16 e i 74 anni, solo il 45,7% degli italiani dispone di competenze elementari rispetto all’uso degli strumenti digitali, quando la media europea è del 55,5% e i paesi più avanzati possono vantare valori al di sopra dell’80%. Infine, rispetto ai laureati in discipline ICT, siamo fanalino di coda, con l’1,5% del totale dei laureati italiani a fronte di una media europea del 4,5% e con paesi quali Germania e Spagna che, pur non essendo in cima alla classifica (il primato va a Estonia, Lussemburgo, Irlanda e Finlandia), ne hanno oltre il 5%.

E di ciò risente soprattutto il settore pubblico, dove il nostro Paese risulta quintultimo per servizi digitali ai cittadini (indicatore a 68,3 su 100) e alle imprese (indicatore a 76,3 su 100), con una media europea superiore di circa dieci punti. Senza dimenticare un altro dato molto significativo, relativo alla diffusione della modulistica pre-compilata, rispetto al quale l’Italia è addirittura il quartultimo paese europeo (indicatore 48 su 100), quando la media dell’Unione è di 70,8.

Transizione digitale in Italia, lo stato dell’arte

Da sottolineare che la transizione digitale procede abbastanza velocemente da alcuni anni in Italia. Un primo impulso “forzoso” si è verificato a seguito della pandemia, che ha costretto molti enti pubblici e aziende a introdurre la modalità dello smart working e a inaugurare la stagione delle riunioni on line. Successivamente, grazie all’intervento europeo nel quadro del programma Next Generation EU e ai finanziamenti del PNRR (che hanno visto l’Italia in pole position, con i suoi 195 miliardi), si è quindi passati alla digitalizzazione “programmata”.

Più di recente, ha avuto il via la sperimentazione del portafoglio digitale europeo, strumento che attraverso l’App IO consentirà ai cittadini italiani di avere sempre a portata di mano, in forma sicura e al riparo dalla deperibilità tipica dei documenti cartacei, Carta di identità e Patente di guida, ai quali in breve tempo si aggiungeranno anche altre attestazioni e certificazioni importanti per le nostre attività quotidiane, dai titoli di studio ai rogiti relativi alle proprietà immobiliari.

Strumento che potrà semplificare la vita di tutti noi obiettivamente, oltre che rendere anche il continente in cui viviamo più vicino. Tuttavia non possiamo non evidenziare qualche criticità, non mancano le frizioni con gli altri Paesi su specifiche e regole di funzionamento, ad esempio al riguardo del trattamento dei dati. Problemi insomma che potrebbero far slittare un vero avvio di questo nuovo servizio al di la di qualche annuncio che abbiamo letto che lo dava per pronto all’uso. Tuttavia è un processo che è avviato e previsto, nell’ultimo passaggio normativo in Italia anche noi abbiamo portato le nostre istanze che dopo essere state accettate, ora attendiamo che si trasformino in operatività pratica.

L’impatto dell’AI

L’avvento dell’Intelligenza artificiale ha infine rappresentato un’ulteriore spinta in direzione di un sempre più avanzato utilizzo delle tecnologie ICT e delle loro applicazioni nell’orizzonte quotidiano del lavoro, oltre che del tempo libero di ciascuno di noi. Ma oggi a che punto ci troviamo? Qual è una possibile fotografia dello stato dell’arte per quel che concerne la transizione digitale nel nostro paese, soprattutto sul fronte dell’innovazione nel campo dei procedimenti amministrativi e della loro semplificazione? E coloro che sono in prima linea nella quotidiana gestione di “pratiche”, coloro che hanno il punto di vista pratico davanti allo sportello, anche se virtuale, sono stati ascoltati? Purtroppo no o poco e non sui passaggi cruciali, cioè quelli della praticità che è poi l’ambito che un impatto sull’utente.

Il ruolo dei professionisti delle pratiche

In questo panorama i professionisti delle pratiche amministrative possiamo svolgere un ruolo importante. La nostra è una realtà ormai da tempo consolidata: una popolazione di oltre 2.000 agenzie presenti su tutto il territorio nazionale, anche se sono dati empirici in quanto non esistono veri dati che speriamo potremo avere con il 2025 dopo l’intensa attività svolta con ISTAT nella riforma dei codici Ateco. Ateco che oggi abbiamo e conta oltre 9600 operatori (fonte dati Registro Imprese) ma bene sappiamo che non è un dato attendibile perché contiene più settori che afferiscono al codice 82.99.40. Agenzie che producono migliaia di pratiche per cittadini e imprese agli sportelli SUAP degli oltre ottomila comuni italiani, e più di novantamila pratiche per il Registro Imprese nelle diverse sedi territoriali delle Camere di Commercio, solo per indicare due tipologie di pratiche delle centinaia di tipologie presenti nel nostro ordinamento e oggi quasi tutte digitalizzate per buona parte dei processi. Pensiamo a quale sia l’impatto sulla semplificazione e quale il supporto al miglioramento dei dati di produttività della p.a. quando la gestione è svolta da professionisti qualificati che rendono il flusso lavorativo più efficace.

Questo è il volume delle attività di una professione che, stando alle nostre indagini di settore, è sempre più specializzata, tant’è che un terzo degli iscritti della nostra associazione, l’Unione Nazionale Professionisti delle Pratiche Amministrative, che rappresenta uno spaccato attendibile dell’intero nostro mondo professionale, è ormai laureato o in possesso di un diploma. Possiamo orgogliosamente rivendicare di essere stati gli apripista del ricorso alla pratica telematica e fra i pionieri della firma digitale. Oggi ci sentiamo pronti ad accogliere anche la sfida dell’intelligenza artificiale, avvalendoci delle nostre competenze per fare dell’utilizzo sistematico e quotidiano degli algoritmi uno strumento utile per il benessere di tutti.

I dati che abbiamo illustrato parlano di un sistema Paese che anche nel mondo delle imprese e delle professioni è ancora costretto a scontare quel digital divide che può rendere la transizione digitale un percorso assai difficile e in salita. Com’è possibile sfruttare le opportunità messe a disposizione dall’Intelligenza artificiale se il nostro rapporto con le tecnologie informatiche e digitali è ancora limitato da una scarsa padronanza anche delle competenze informatiche di base? La nostra attività può perciò rappresentare un valore aggiunto per imprese e professionisti, supportandoli nelle loro attività quotidiane e lavorando con loro in modo da agevolare e semplificare il rapporto fra amministrazioni pubbliche e filiere delle attività produttive.

L’importanza della delega digitale

Tutto ciò è quanto già facciamo, nel nostro lavoro quotidiano, ma affinché il nostro contributo possa essere ancora più efficace è necessario istituire quella “delega digitale” a scopi professionali per la quale ci battiamo da anni, il cui riconoscimento su base giuridica, in realtà già presente ma in molti casi disapplicata, permetterebbe a qualunque cittadino, così come a qualsiasi impresa o studio professionale, di delegare i propri rapporti con le pubbliche amministrazioni a un soggetto qualificato, in grado di agire in modo continuativo in rappresentanza e tutela dei propri interessi nella gestione di pratiche e autorizzazioni amministrative. Necessità che diventa sempre più importante in un sistema che essendo digitale è disintermediato sia nella gestione che nel contatto con l’apparato pubblico. Serve pertanto attivare strumenti che siano in grado di aumentare le tutele, e le rispettive responsabilità, per tutti gli attori.

Questi sono gli argomenti di cui parleremo lunedì 11 novembre a Roma, nella Sesta edizione del Convegno annuale su Innovazione e Semplificazione, dal titolo “Wallet europeo e Identità digitale, attributi e delega, competenze e formazione; IA e strumenti per semplificare al centro del rilancio economico del Paese. L’Agenzia di Pratiche Amministrative come facilitatore”, che si terrà nella Sala della Regina presso la Camera dei Deputati.

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