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AI e digitale, un anno di svolta per le imprese: ora servono formazione e politiche fiscali



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Nel 2025 le imprese italiane dovranno affrontare diverse sfide per cogliere tutte le occasioni della transizione digitale, dopo un anno appena concluso che è stato rivoluzionario sul fronte dell’innovazione

Pubblicato il 20 gen 2025

Davide Conforti

Managing director Edflex Italia



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Con 2 miliardi di euro investiti complessivamente, il 2024 si è confermato un anno di svolta per l’adozione dell’Intelligenza artificiale da parte delle imprese italiane. Secondo l’Osservatorio Artificial Intelligence del Politecnico di Milano, il 38% delle nostre forze produttive ha implementato almeno una soluzione basata sull’AI, con un incremento del 12% rispetto al 2023. Automazione, analisi dei dati e customer care sono le categorie di progetti di destinazione delle nuove tecnologie.

Il trend è in accelerazione, rispetto agli anni passati. Tuttavia, siamo ancora indietro rispetto ai nostri competitor europei. Guardando al nuovo anno, le imprese italiane dovranno affrontare diverse sfide per sfruttare la transizione digitale.

AI e imprese, la posizione dell’Italia nella scena europea

Relativamente allo scenario in UE, in Germania gli investimenti in Ai superano i 6 miliardi di euro annui. Anche la Francia è davanti al nostro Paese, con politiche pubbliche mirate a incentivare l’adozione dell’Ai nelle Pmi. France Num è l’iniziativa con cui Parigi, fin dal 2018, mira a supportare la digitalizzazione delle piccole e medie imprese, mettendo a loro disposizione open data e strumenti digitali per promuovere innovazione e competitività. A questo, si affianca la piattaforma data.gouv.fr, un portale centrale che raccoglie e distribuisce dati pubblici per vari settori, incluso il supporto alle imprese.

L’impatto dell’economia

La rincorsa italiana rischia di essere rallentata anche dalla flessione della nostra intera economia. A ottobre 2024, rilevazione più recente dell’Istat, si registrava una contrazione del 3,6% della produzione su base annua. Mentre restava invariata in termini congiunturali. Finora, le imprese italiane hanno puntato sull’innovazione proprio per cercare di migliorare efficienza e competitività.

Vista come una leva per mitigare i costi e ottimizzare i processi, il nostro ecosistema industriale ha saputo indirizzare risorse significative in manutenzione predittiva e automazione. Tuttavia, la limitata capacità di spesa delle Pmi e le difficoltà legate alla reperibilità di competenze digitali rappresentano un potenziale freno a una diffusione più capillare dell’AI.

I settori produttivi coinvolti

Tra i settori più attivi troviamo il manifatturiero, il retail e i servizi finanziari, seguiti da agricoltura e logistica. Le applicazioni più diffuse includono:

Un dato significativo riguarda il Roi. Le imprese che hanno investito in Ai hanno registrato, in media, un aumento del 15% della produttività e una riduzione dei costi operativi del 12%. Nel settore manifatturiero, per esempio, l’adozione di sistemi di manutenzione predittiva ha portato a una diminuzione del 20% dei tempi di inattività non programmati.

Anche il retail ha beneficiato dell’Ai, con un incremento medio del 10% delle vendite online grazie a sistemi di raccomandazione personalizzati.

Altrettanto interessante è stato l’impatto registrato dall’adozione delle nuove tecnologie sul fronte delle esportazioni. Sistemi di analisi predittiva e ottimizzazione logistica hanno permesso di ridurre tempi di consegna e costi, rendendo i prodotti italiani più competitivi sui mercati esteri. Per esempio, le esportazioni di macchinari e componenti industriali hanno beneficiato di una maggiore affidabilità dei sistemi produttivi, con un incremento stimato del 7% su base annua in termini di valore generato.

AI e occupazione

Sul fronte occupazione, contrariamente a quanto temuto, l’Ai non ha portato a una diminuzione netta dei posti di lavoro, bensì ha trasformato le competenze richieste. Nel 2024, si stima che siano stati creati circa 45mila nuovi posti di lavoro legati all’Ai, tra cui data scientist, sviluppatori di algoritmi e specialisti in cybersecurity. Tuttavia, questa trasformazione ha evidenziato un problema strutturale: la carenza di competenze digitali. Secondo Unioncamere, oltre il 60% delle Pmi italiane segnala difficoltà nel reperire figure professionali adeguate. Questo gap rappresenta una delle principali sfide per il futuro.

AI e industria, cosa non è andato bene

Infine, non mancano casi di implementazioni meno fruttuose, spesso dovute a una scarsa integrazione tra Ai e processi aziendali o alla mancanza di competenze interne. Nell’ambito manifatturiero, specifiche implementazioni di manutenzione predittiva sono state bloccate dalla scarsa qualità dei dati raccolti o da infrastrutture tecnologiche obsolete. Nel retail, a sua volta, si sono registrati sistemi di raccomandazione personalizzati che non hanno aumentato le vendite a causa di una limitata integrazione con le strategie di marketing.

I casi più eclatanti di Ai non andata a buon fine si sono registrati però nella Pubblica amministrazione, dove chatbot implementati per il servizio al cittadino sono stato dismessi rapidamente per inefficienza, dovuta alla mancanza di aggiornamenti costanti e di un’adeguata formazione del personale. Si tratta di fallimenti che sottolineano l’assenza di una visione strategica nazionale e una coesione tra pubblico e privato,  quanto anche rimandano alla necessità di un piano di implementazione adeguato per sfruttare appieno il potenziale delle nuove tecnologie.

AI e imprese, le prospettive 2025

Prima di qualsiasi cosa, bisogna investire nella riqualificazione del personale. I recenti dati dell’Istat sull’occupazione stabile al 62,4% in chiusura d’anno grazie alla spinta degli over 50 inducono a riflettere su come investire in una generazione destinata a rinviare il proprio pensionamento e quindi costretta – ma si dovrebbe dire “invitata” – a restare sul mercato. Expertise e nuove skill tecnologiche possono costituire un mix di competitività del singolo lavoratore. A questo proposito, occorre potenziare i programmi di partnership tra università, centri di ricerca e aziende. Lo studio scolastico e accademico non dev’essere un’esclusiva delle nuove generazioni. La formazione, oltre che permanente, dev’essere accessibile anche a chi già lavora, magari da anni.

A sua volta, per promuovere un’adozione sempre più diffusa delle innovazioni tecnologiche, il governo italiano dovrebbe formulare politiche fiscali mirate. È necessario riformulare i finanziamenti in corso, magari attraverso incentivi per le imprese che investono in tecnologie avanzate.

Il ruolo del legislatore

I casi di Industria 4.0 e di Transizione 5.0, in contrasto tra loro per i benefici e gli ostacoli che hanno creato, devono fare da caso scuola. È essenziale che il legislatore agisca rapidamente, garantendo semplificazione e trasparenza della norma, quanto ancora la consapevolezza di quello che le forze produttive necessitano. Bisogna sviluppare un quadro normativo chiaro e accessibile che incoraggi l’adozione dell’Ai, tutelando al contempo i diritti dei lavoratori e la sicurezza dei dati. Infine, l’esecutivo dovrebbe promuovere la collaborazione internazionale, partecipando attivamente ai progetti europei sull’Ai e favorendo lo scambio di conoscenze e risorse con altri Paesi membri.

Solo attraverso un intervento deciso e coordinato sarà possibile colmare il divario con i principali competitor europei e garantire che le tecnologie avanzate diventino un motore di crescita e innovazione per il sistema produttivo italiano.

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