La sovranità digitale è diventata una priorità assoluta sia per le organizzazioni sia per i governi a fronte dell’inasprimento delle leggi sulla privacy dei dati e dell’acuirsi della dipendenza globale dalla tecnologia.
La sovranità digitale si riferisce alla capacità di una nazione, organizzazione o individuo di controllare e gestire autonomamente le proprie risorse digitali, i dati e l’infrastruttura tecnologica, riducendo la dipendenza da fattori esterni.
Indice degli argomenti
Sovranità digitale: definizione, ambiti e impatto sul business
In sostanza, la sovranità digitale consente a Paesi e organizzazioni di:
- Migliorare la sicurezza e la protezione dei dati, riducendo potenzialmente al minimo il rischio di accessi non autorizzati o violazioni dei dati.
- Ottimizzare la conformità alle normative sulla privacy dei dati che stabiliscono la posizione di archiviazione dei dati e le pratiche di elaborazione.
- Ridurre la dipendenza da fornitori terzi, consentendo una maggiore flessibilità e riducendo potenzialmente il vincolo con un fornitore.
Sovranità, residenza e localizzazione dei dati per il business
La distinzione tra sovranità, residenza e localizzazione dei dati è fondamentale, poiché si tratta di termini strettamente correlati ma con implicazioni diverse che le organizzazioni devono conoscere.
- Sovranità dei dati – Si riferisce ai dati che vengono memorizzati ed elaborati nel Paese in cui sono stati generati, con piena applicazione della giurisdizione locale.
- Residenza dei dati – Si riferisce ai dati memorizzati in un Paese diverso da quello in cui sono stati generati e non implica necessariamente il controllo legale da parte del Paese in cui i dati sono archiviati.
- Localizzazione dei dati – La localizzazione dei dati si riferisce alla posizione geografica e fisica dei dati e all’infrastruttura associata necessaria a supportarne l’elaborazione. Tale infrastruttura può includere reti, storage, server e altri componenti hardware e software che devono risiedere entro i confini del Paese.
Per meglio spiegare il concetto pensiamo, ad esempio, ai più noti provider di cloud pubblico Hyperscale: i dati possono essere archiviati in un data center all’interno del Paese, mentre altri componenti che gestiscono ed elaborano i dati possono essere ospitati nel cloud o su server remoti in un altro Paese.
La località, invece, si riferisce alla prossimità geografica dei dati e dell’infrastruttura associata. Ciò può essere ottenuto utilizzando server self-hosted presso le sedi delle organizzazioni.
Open source e sovranità digitale nello stack tecnologico aziendale
La sovranità tecnologica è pilastro fondamentale della sovranità digitale. Essa si concentra sulla garanzia del controllo sull’infrastruttura digitale e sullo stack software su cui le organizzazioni fanno affidamento. Ciò significa avere l’autorità e l’indipendenza di scegliere, gestire e proteggere la tecnologia che alimenta le operazioni digitali, senza essere vincolati da influenze esterne, restrizioni proprietarie o incertezze della supply chain.
Inoltre, l’Open Source Software (OSS) si converte in un elemento chiave e un prerequisito per il rafforzamento della sovranità digitale, consentendo di lavorare in modo indipendente e autonomo sulle soluzioni e di adattarle al meglio alle proprie esigenze. Ciò evita effetti di lock-in e amplia il know-how tecnico dell’azienda.
Ancora, l’OSS consente di ottenere guadagni in termini di efficienza e di innovazione a lungo termine, oltre a contribuire al progresso della trasformazione digitale e a consentire la realizzazione sostenibile e resiliente della sovranità digitale.
Tuttavia, per sfruttare al meglio i vantaggi dell’OSS, sono necessari sistemi di gestione adeguati. Gli standard ISO/IEC 5230 e ISO/IEC DIS 18974 sono fondamentali, in quanto specificano le misure necessarie per un utilizzo sicuro e conforme alle normative dell’OSS.
A livello europeo, l’esplicita considerazione dell’OSS è contenuta nel Cyber Resilience Act (CRA) e nel Digital Operational Resilience Act (DORA), a dimostrazione che i legislatori si stanno concentrando sempre di più sulla gestione e sulla riduzione dei rischi per la sicurezza informatica degli OSS.
Le politiche UE per rafforzare la sovranità digitale europea
L’Europa ha negli ultimi anni posto una particolare enfasi sulla protezione dei dati. Di fatto, iniziative come il GDPR, il Cyber Resilience Act (CRA), il Digital Markets Act (DMA), il Digital Services Act (DSA), il Data Act, il Chips Act, NIS2 e DORA – nonché gli sforzi per regolamentare l’intelligenza artificiale con l’AI Act – sono concepite per affrontare le crisi insite nell’era digitale e le nuove sfide alla sovranità e alla percezione della sovranità dei singoli Stati.
È doveroso evidenziare che il dibattito di lunga data sulla sovranità digitale in Europa ha recentemente acquisito nuova importanza come pilastro centrale della spinta del continente verso l’autonomia strategica. Si tratta di un cambiamento che si sta attuando parallelamente ai dibattiti sull’autonomia di difesa dell’Europa e sta influenzando i negoziati commerciali a livello mondiale, in particolare con gli Stati Uniti.
Inoltre, mentre in passato le discussioni si concentravano principalmente sulla protezione e il controllo dei dati personali, il dibattito attuale riguarda ora la dipendenza dell’Europa da software e infrastrutture informatiche stranieri – come il cloud computing – in cui predominano le tecnologie non europee.
Tuttavia, per quanto ambiziose possano essere le politiche europee, da sole non saranno sufficienti, considerando che riconquistare l’autonomia tecnologica richiederà un impegno coordinato e su larga scala da parte del settore privato.
Pertanto, è importante prendere coscienza del fatto che la sovranità digitale non può più essere considerata una responsabilità esclusiva dello Stato: le aziende devono considerarla sia come una salvaguardia contro l’instabilità globale sia come una leva di competitività a lungo termine. Ovvero, la passività nelle mutevoli dinamiche di potere globali odierne non è più un’opzione.
Come la sovranità digitale sostiene resilienza e continuità operativa
La sovranità digitale è propedeutica a garantire la sovranità operativa, ovvero la capacità di gestire i servizi digitali in modo indipendente, garantendone la funzionalità e la resilienza, senza dipendere da forze esterne o subire interruzioni.
Inoltre, le organizzazioni, mantenendo la sovranità operativa, si proteggono da scenari in cui sanzioni, modifiche alle policy o errori di terze parti potrebbero interrompere i servizi mission-critical o compromettere la continuità aziendale.
Ancora, la sovranità garantisce che i dati e i sistemi sensibili non siano esposti a supervisione straniera o a divulgazione forzata attraverso richieste legali extraterritoriali. Infine, le organizzazioni, esercitando il controllo operativo, possono applicare le proprie policy, gestire al meglio le esigenze di conformità e mantenere la responsabilità su come il loro ambiente digitale viene mantenuto e supportato.
La sovranità digitale si converte, quindi, in una leva strategica per costruire resilienza, ridurre la dipendenza e garantire stabilità a lungo termine.
Cybersecurity, dati e cultura organizzativa alla base della resilienza digitale
La resilienza digitale, come ben noto, si fonda sulla capacità di anticipare, resistere e recuperare rapidamente da attacchi sempre più in aumento e che minacciano l’integrità dei sistemi informativi e dei dati. Ne consegue che la cybersecurity e la protezione dei dati non sono solo semplici requisiti tecnici, ma veri e propri pilastri strategici della sovranità digitale.
È doveroso evidenziare che la resilienza richiede, altresì, l’implementazione dei principi di risk management, business continuity, oltre che quelli di cybersecurity, propedeutici a definire una strategia di difesa multilivello che integri tecnologie avanzate di: rilevamento delle minacce; implementazione di protocolli di risposta agli incidenti; sistemi di backup ridondanti e geograficamente distribuiti.
Inoltre, è quanto mai fondamentale l’adozione del principio di “zero trust”, che elimina qualsiasi presunzione di sicurezza all’interno del perimetro di rete, richiedendo verifica continua di ogni accesso.
Ancora, la resilienza, in termini di protezione dei dati, si costruisce attraverso: soluzioni di crittografia end-to-end; minimizzazione della raccolta dati; localizzazione delle informazioni sensibili in infrastrutture nazionali o europee.
Infine, non si può dimenticare la gestione della dimensione umana, che richiede: programmazione di formazione continua per sviluppatori e amministratori di sistema; campagne di sensibilizzazione per gli utenti; la creazione di un ecosistema di competenze specialistiche attraverso partnership pubblico-privato.
La vera resilienza digitale emerge, pertanto, quando elementi tecnici, organizzativi e umani si integrano in una strategia coerente, capace di trasformare la sicurezza da costo necessario a vantaggio competitivo e garanzia di autonomia strategica.
Cloud sovrano, infrastrutture nazionali e vantaggi per le PMI italiane
Il dibattito sulla sovranità digitale ha finalmente posto al centro dell’agenda politica ed economica italiana una questione cruciale: la necessità di un’infrastruttura cloud nazionale e autonoma.
È importante evidenziare che il cloud computing non rappresenta più un semplice strumento tecnico per l’archiviazione e l’elaborazione dei dati, ma è diventato una componente essenziale della sovranità digitale di un Paese. Di fatto, le sue caratteristiche intrinseche – flessibilità operativa, accessibilità universale, ottimizzazione dei costi – lo rendono indispensabile sia per i servizi pubblici sia per le imprese di ogni dimensione.
Tuttavia, il vero valore strategico del cloud risiede nei dati che gestisce, ovvero: informazioni personali, proprietà intellettuale, segreti industriali e dati strategici che costituiscono oggi una materia prima ad altissimo valore economico, industriale e geopolitico.
In questo contesto, le PMI italiane si trovano in una posizione particolarmente delicata, considerando che costituiscono la spina dorsale dell’economia italiana e rappresentano il 92% del tessuto produttivo nazionale ed impiegano oltre il 70% della forza lavoro.
Ovvero, la loro trasformazione digitale non è più procrastinabile, ma deve avvenire in condizioni di sicurezza, sostenibilità economica e protezione della proprietà intellettuale, che solo un cloud sovrano può garantire.
È doveroso evidenziare che il concetto di cloud sovrano si è diffuso in Europa, negli ultimi anni, come risposta alla crescente consapevolezza sulla tutela dei dati e sull’autonomia tecnologica. L’Italia, tuttavia, ha seguito un percorso discontinuo, caratterizzato da scelte politiche spesso “disordinate” e prive di una direzione strategica coerente che ha reso il Paese più esposto rispetto ad altri partner europei, aumentando la dipendenza da fornitori extraeuropei e compromettendo la capacità di controllo sui dati strategici nazionali.
Le iniziative
La prima conferenza nazionale sul cloud italiano, organizzata dal Consorzio Italia Cloud – tenutasi lo scorso maggio 2025 a Roma – ha rappresentato un momento di svolta: l’incontro ha riunito attori pubblici e privati dell’intera filiera cloud – i.e. fornitori di servizi, sviluppatori software, integratori di sistema e operatori di telecomunicazioni – per discutere concretamente la creazione di un ecosistema digitale nazionale.
Di fatto, il Consorzio promuove un modello trasversale e sinergico, capace di valorizzare le eccellenze nazionali e creare sinergie tra diversi segmenti della filiera digitale. Per le PMI italiane, un cloud sovrano offrirebbe vantaggi strategici e operativi, quali:
- Sicurezza giuridica – I dati gestiti su infrastrutture nazionali o europee sono soggetti esclusivamente alla legislazione italiana ed europea, proteggendo le imprese da richieste di accesso extraterritoriali previste da normative come il CLOUD Act statunitense. Ciò comporta che un’azienda manifatturiera italiana, che sviluppa innovazioni tecnologiche, può proteggere la propria proprietà intellettuale da accessi non autorizzati da parte di governi stranieri o competitor internazionali.
- Sostenibilità economica – Un cloud nazionale può offrire modelli tariffari più trasparenti e competitivi, eliminando i costi nascosti spesso presenti nelle offerte dei grandi provider globali. Inoltre, le PMI possono beneficiare di economie di scala senza dover sottoscrivere contratti vincolanti a lungo termine, mantenendo la flessibilità necessaria per adattarsi alle dinamiche di mercato.
- Prossimità e supporto specializzato – Un ecosistema cloud nazionale garantirebbe assistenza tecnica in lingua italiana, comprensione delle specificità normative e fiscali nazionali, e tempi di risposta ottimizzati, grazie alla presenza territoriale dei fornitori.
- Residenza dei dati e conformità normativa – Ospitare i dati in data center italiani semplifica enormemente la conformità al GDPR e alle normative nazionali sulla privacy, riducendo i rischi legali e i costi di compliance, consentendo alle PMI di concentrarsi sul proprio core business senza dover navigare la complessità delle normative internazionali sul trasferimento dei dati.
- Interoperabilità con la Pubblica Amministrazione (PA) – Un cloud nazionale faciliterebbe l’integrazione con i servizi digitali della PA. Inoltre, la condivisione di standard e protocolli comuni ridurrebbe la frammentazione digitale e semplificherebbe le interazioni tra imprese e istituzioni.
Sempre in quest’ottica vanno ricordate iniziative quali:
- Il Polo Strategico Nazionale (PSN), i.e. un’infrastruttura cloud ad alta sicurezza e affidabilità per la Pubblica Amministrazione, gestita da Polo Strategico Nazionale S.p.A., i.e. una società partecipata da TIM, Leonardo, Cassa Depositi e Prestiti (CDP) e Sogei.
- L’EDIC (European Digital Infrastructure Consortium), guidato dall’Italia, che collabora con questo progetto per realizzare un Cloud Sovrano Federato Europeo, i.e. un’infrastruttura interoperabile e sicura per la PA europea, anche nota come European Cloud Federation.
Sovranità digitale e gestione dei rischi tra minacce cyber e dipendenza dai fornitori
La sovranità digitale implica per le aziende essere in grado di gestire numerose sfide in termini di capacità di controllo effettivo sui propri asset digitali, proteggendoli da attacchi cyber, accessi non autorizzati e vincoli normativi extraterritoriali, oltre a garantire la continuità operativa e la competitività sul mercato.
Principali minacce informatiche
Di seguito una descrizione delle principali minacce informatiche e operative.
Le minacce informatiche si sono sofisticate enormemente, soprattutto in termini di:
- Attacchi ransomware – Essi hanno raggiunto livelli di complessità tali da paralizzare intere supply chain, con criminali che non si limitano più a criptare i dati, ma minacciano di pubblicarli, causando danni reputazionali irreparabili.
- Attacchi APT (Advanced Persistent Threat) – Essi sono spesso sponsorizzati da attori statali che penetrano i sistemi aziendali per mesi o anni, sottraendo proprietà intellettuale, segreti commerciali e dati strategici senza lasciare tracce evidenti.
Rischi operativi e dipendenza dai fornitori
Tra i rischi operativi si segnalano:
- Dipendenza da fornitori terzi per servizi critici – Si tratta del rischio operativo più significativo, dato che, quando un’azienda affida la gestione dei propri dati e delle applicazioni a provider esterni, introduce vulnerabilità che vanno oltre il controllo tecnico diretto. Ne consegue che un’interruzione del servizio del fornitore cloud, un attacco ai suoi data center o una sua decisione commerciale di modificare le condizioni contrattuali possono avere conseguenze devastanti sull’operatività aziendale. Ne è un esempio il caso del blackout di servizi cloud che ha colpito diverse piattaforme globali negli ultimi anni, dimostrando quanto possa essere fragile un’architettura completamente dipendente da pochi fornitori concentrati.
- Perdita di controllo sulla residenza fisica dei dati – Molte aziende non sanno esattamente dove risiedano fisicamente i loro dati quando utilizzano servizi cloud globali, né quali giurisdizioni legali si applichino. Ciò crea incertezza su quali leggi governino l’accesso ai dati, chi possa richiederne la divulgazione e quali diritti abbia effettivamente l’azienda proprietaria. Tale mancanza di certezza, in settori regolamentati – quali la sanità, la finanza o la difesa – può tradursi in violazioni normative con sanzioni importanti.
- Obsolescenza tecnologica imposta da un provider tecnologico – Si tratta di un rischio operativo spesso sottovalutato. Di fatto, quando un’azienda dipende completamente da una piattaforma proprietaria, il vendor può forzare aggiornamenti, modificare architetture o dismettere servizi secondo le proprie strategie commerciali, obbligando i clienti a costosi e rischiosi processi di migrazione, oltre a limitare la libertà strategica dell’azienda ed esporla a costi imprevedibili nel medio-lungo termine.
Hyperscaler globali ed extraterritorialità dei dati
Gli hyperscaler – Amazon Web Services, Microsoft Azure, Google Cloud Platform – dominano il mercato globale del cloud computing, creando dinamiche di potere asimmetriche che pongono, per le aziende europee e italiane, questioni fondamentali di sovranità digitale.
È doveroso ricordare che la forza degli hyperscaler risiede in economie di scala difficilmente replicabili, innovazione continua e capacità di investimento che nessun competitor regionale può eguagliare nel breve termine.
Senza dimenticare che questo dominio porta con sé rischi strutturali che vanno ben oltre le considerazioni economiche.
Inoltre, non si può dimenticare la questione dell’extraterritorialità, che rappresenta uno dei nodi più critici della sovranità digitale e ne è una manifestazione il CLOUD Act statunitense del 2018 che conferisce alle autorità americane il potere di accedere ai dati gestiti da aziende USA, indipendentemente dalla loro localizzazione fisica.
Pertanto, anche se un’azienda italiana sceglie di usare servizi cloud come AWS con data center situati in Europa, i suoi dati potrebbero comunque essere richiesti dalle autorità statunitensi, poiché la sede centrale del fornitore si trova negli USA e deve rispettare le leggi americane.
Rapporto con il GDPR
Ciò può entrare in conflitto con il GDPR, che vieta il trasferimento dei dati verso paesi terzi senza adeguate garanzie. Le aziende europee si trovano, così, in una situazione complicata, strette tra regole che sembrano andare in direzioni opposte.
È necessario evidenziare che i grandi fornitori di servizi cloud, per cercare di risolvere il problema, hanno creato dei “data boundary” europei, cioè sistemi che mantengono le informazioni all’interno dell’Unione Europea. Tuttavia, la validità giuridica di queste misure rimane incerta, dato che, finché la casa madre è soggetta alla giurisdizione statunitense, persiste il rischio che le autorità americane possano emettere ordini di divulgazione, vanificando le protezioni contrattuali.
Senza dimenticare che a ciò si aggiunge un ulteriore rischio di natura geopolitica: la dipendenza da fornitori stranieri espone le aziende europee a una crescente instabilità normativa, considerando che eventuali tensioni diplomatiche o decisioni politiche potrebbero modificare repentinamente le condizioni operative dei servizi digitali.
Il caso TikTok negli Stati Uniti è emblematico: dimostra quanto rapidamente le considerazioni geopolitiche possano prevalere su quelle economiche, mettendo a rischio la tenuta dell’intera economia digitale europea.
Normative europee e standard di sicurezza a supporto della sovranità digitale
Le normative europee stanno progressivamente definendo i contorni operativi della sovranità digitale, trasformando un concetto astratto in requisiti concreti a cui le aziende devono conformarsi. In particolare:
GDPR – Esso ha rappresentato il primo grande tassello, stabilendo principi rigorosi sulla protezione dei dati personali, limitando i trasferimenti verso paesi terzi e introducendo sanzioni severe per le violazioni. La sua applicazione ha dimostrato che la conformità normativa è una necessità imprescindibile e le multe miliardarie, inflitte a grandi corporation, hanno chiarito che nessuna azienda è al di sopra delle regole europee.
NIS2 – È in fase di recepimento da parte dei Paesi dell’UE ed espande significativamente l’ambito della cybersecurity regulation, includendo migliaia di aziende prima non regolamentate, oltre ad introdurre obblighi stringenti di incident reporting, gestione del rischio e governance della sicurezza informatica.
La sovranità digitale, per le aziende che rientrano nel perimetro della direttiva, diventa di fatto un requisito operativo: devono dimostrare di avere il controllo sui propri sistemi e di poter garantire resilienza e continuità anche in caso di attacchi o incidenti.
Cyber Resilience Act e AI Act
I Cyber Resilience Act e AI Act sono un’ulteriore dimostrazione della volontà della UE di imporre standard europei anche a player globali, creando un level playing field che favorisca l’emergere di alternative europee competitive.
Digital Markets Act & Digital Services Act – Questi provvedimenti completano il quadro normativo, intervenendo sia sul potere di mercato delle grandi piattaforme digitali sia sulle responsabilità dei servizi digitali nei confronti degli utenti.
Viene riconosciuto in modo esplicito che la concentrazione del potere digitale in poche mani genera squilibri che devono essere corretti tramite una regolamentazione adeguata. Inoltre, tali norme favoriscono l’ingresso di nuovi competitor europei e impongono obblighi di interoperabilità, contribuendo così a ridurre il fenomeno del lock-in.
Standard di sicurezza internazionali – Gli standard di sicurezza internazionali come ISO 27001, SOC 2 e framework specifici di settore, come PCI-DSS per i pagamenti, forniscono linee guida concrete per implementare controlli di sicurezza efficaci.
Inoltre, è doveroso evidenziare che il possesso di certificazioni riconosciute contribuisce a garantire sia la conformità normativa sia la competitività, dimostrando a clienti e partner l’impegno dell’azienda verso la sicurezza e la protezione dei dati.
Costi, benefici e prospettive strategiche della sovranità digitale per l’Europa
Le organizzazioni, in termini di implementazione di una strategia di sovranità digitale, dovrebbero:
Valutare il loro attuale ecosistema digitale per identificare dipendenze straniere, lacune di conformità e aree prive di trasparenza o controllo.
Esaminare i fornitori di cloud, i fornitori di software e le pratiche di residenza dei dati per garantire l’allineamento con le normative locali e gli obiettivi di sovranità.
Adottare tecnologie open source per ridurre il vincolo con i fornitori, aumentare la trasparenza e mantenere il controllo sullo stack software.
Mantenere il controllo sulle chiavi di crittografia e sui servizi di supporto all’interno della propria giurisdizione per contribuire a proteggersi dai rischi legali esterni.
Allineare la strategia IT con quadri giuridici e operativi che diano priorità all’autonomia, alla resilienza e alla conformità con le normative digitali in evoluzione.
Inoltre, si consiglia alle organizzazioni di adottare misure chiare per rafforzare ulteriormente la sovranità e la conformità, quali:
Investimento in competenze interne
- Formare o acquisire talenti specializzati in cloud architecture, cybersecurity, data governance e compliance normativa.
- Costruire team interni capaci di valutare criticamente le offerte di mercato e negoziare da posizioni di forza.
- Sviluppare expertise per gestire in autonomia architetture ibride complesse.
- Mantenere il controllo strategico sulle scelte tecnologiche, riducendo la dipendenza da consulenti esterni.
Diversificazione dei fornitori (approccio multi-cloud)
- Ridurre il rischio di vendor lock-in attraverso la distribuzione su più provider.
- Negoziare condizioni migliori sfruttando la competizione tra fornitori.
- Mantenere la possibilità di migrare carichi di lavoro quando necessario.
- Investire in tecnologie di orchestrazione per gestire ambienti eterogenei.
- Formare il personale su piattaforme diverse per garantire interoperabilità.
- Bilanciare la complessità gestionale con la resilienza operativa.
Infrastrutture proprietarie e cloud sovrani
- Costruire data center privati per dati particolarmente sensibili o critici.
- Utilizzare cloud provider nazionali/europei conformi alle normative locali.
- Accettare costi iniziali superiori a fronte di garanzie di controllo totale.
- Beneficiare di compliance normativa semplificata e protezione da rischi geopolitici.
Tecnologie di cifratura avanzata e Privacy-Enhancing Technologies (PET)
- Implementare cifratura end-to-end per proteggere i dati in transito e a riposo.
- Adottare tokenizzazione dei dati sensibili per ridurne l’esposizione.
- Mantenere controllo sui dati, anche quando risiedono su infrastrutture di terze parti.
- Ridurre i rischi derivanti dall’utilizzo di provider extraeuropei.
- Investire in Hardware Security Modules (HSM) per la gestione sicura delle chiavi.
Processi e governance
- Implementare framework di data governance chiari, con ruoli e responsabilità ben definiti.
- Stabilire processi di risk assessment continui per identificare tempestivamente nuove minacce.
- Condurre audit regolari delle configurazioni di sicurezza e dei controlli di accesso.
- Sviluppare e testare periodicamente piani di disaster recovery e di business continuity.
- Richiedere garanzie superiori a clienti e partner, attraverso certificazioni e attestazioni di conformità.
- Creare una cultura aziendale orientata alla sicurezza e alla protezione dei dati.
Le organizzazioni dovrebbero inoltre considerare:
- Utilizzo di soluzioni self-hosted – Le organizzazioni che operano in settori sensibili possono installare e gestire i propri server per mantenere il pieno controllo sui dati. Di fatto, l’hosting dei dati, in sede o in strutture private verificate, garantisce la conformità alle leggi locali.
- Utilizzo di provider cloud europei – C’è un crescente slancio attorno alle piattaforme cloud con sede nell’UE, i.e.: OVHcloud, Hetzner, Scaleway, STACKIT, UpCloud, Exoscale e Open Telekom Cloud. Si tratta di provider che operano secondo la legislazione europea e soddisfano i requisiti del GDPR.
- Adozione di software sviluppato in Europa – Le aziende possono ridurre l’esposizione alle leggi sulla sorveglianza estera, scegliendo strumenti sviluppati e ospitati in Europa.
- Implementazione della crittografia end-to-end e dell’architettura Zero Trust – Le organizzazioni dovrebbero utilizzare piattaforme che proteggano le comunicazioni, i file e i metadati tramite la crittografia end-to-end e l’architettura Zero Trust.
Costi e benefici della transizione verso la sovranità digitale
L’affermazione fondamentale, secondo cui le iniziative di sovranità digitale “aumenterebbero i costi”, spesso crolla se analizzata attentamente, soprattutto se si confrontano le reali offerte del mercato o si considerano gli enormi costi continui della nostra attuale dipendenza.
Ma analizziamo di che si tratta.
Competitività dei costi diretti – Molte soluzioni europee e open source sono già competitive in termini di costi e, spesso, significativamente più economiche rispetto alle loro equivalenti proprietarie statunitensi e a parità di funzionalità.
Ciò è particolarmente vero se si escludono i pacchetti complessi e spesso superflui o la mancanza di modelli trasparenti di pagamento in base alle reali esigenze. Pertanto, sarebbe opportuno confrontare effettivamente offerte simili in modo da valutare meglio le soluzioni europee/OSS.
Costi reali a lungo termine vs. investimenti iniziali
Anche se la transizione verso soluzioni più europee e open source comporta, inevitabilmente, investimenti iniziali e la necessità di superare servizi extra-UE altamente ottimizzati (ma che creano una forte dipendenza), questi costi iniziali risultano marginali se confrontati con quelli continui e strutturali legati alla dipendenza tecnologica, tra cui:
- La “tassa sulla dipendenza” annuale da 264 miliardi di euro – Si tratta del deflusso annuale diretto dalle aziende europee verso i fornitori di tecnologia extra-UE, i.e. un drenaggio sconcertante e continuo per la nostra economia, come sottolinea il rapporto della società di analisi economica francese Asterés dal titolo “«La dépendance technologique aux softwares & cloud services américains: une estimation des conséquences économiques en Europe».
- Il prezzo del vendor lock-in – I fornitori dominanti sfruttano la loro posizione consolidata per dettare i prezzi, imporre condizioni di licenza sfavorevoli e addebitare commissioni di uscita esorbitanti, lasciando ai clienti europei poche possibilità di ricorso o potere contrattuale.
- Il costo dell’innovazione europea – È doveroso evidenziare che, quando gli innovatori locali e le PMI non riescono a competere lealmente con i giganti globali dominanti sul mercato, l’Europa perde in termini di sviluppo e innovazione tecnologica interna, creazione di posti di lavoro di alto valore e mantenimento della proprietà intellettuale.
- Il costo dell’insicurezza e dell’esposizione dei dati – Affidarsi a infrastrutture extra-UE espone intrinsecamente i dati europei critici a leggi extraterritoriali e a sorveglianza straniera, comportando rischi incommensurabili per le nostre aziende, i servizi pubblici e la sicurezza nazionale.
- Il costo geopolitico della sottomissione digitale – La mancanza di autonomia digitale riduce l’influenza e la libertà d’azione dell’Europa sulla scena globale.
- Il costo dell’inazione – È improprio considerare la sovranità digitale come un “costo”, dato che si tratta di un investimento fondamentale per mitigare questi costi ben più ingenti, sistemici e continui. Di fatto, il modello attuale sta già imponendo una massiccia “tassa sulla dipendenza” che soffoca il nostro potenziale.
È doveroso evidenziare che la sovranità digitale può offrire alcuni vantaggi, e precisamente:
- Maggiore sicurezza dei dati e mitigazione dei rischi – Le organizzazioni, localizzando l’archiviazione e l’elaborazione dei dati, riducono l’esposizione ad attacchi informatici o a sanzioni internazionali. Tale sicurezza rafforza la fiducia degli investitori e consente operazioni senza interruzioni, permettendo alle aziende di allocare risorse in iniziative di crescita, anziché nella gestione delle crisi.
- Conformità normativa e accesso al mercato – Il rispetto dei principi di sovranità garantisce l’allineamento con diversi requisiti legali, quali il GDPR. La conformità non solo evita sanzioni elevate, ma apre anche le porte a nuovi mercati, dove i governi favoriscono sempre più partner che dimostrano indipendenza dei dati.
- Innovazione e vantaggio competitivo – Gli ecosistemi digitali sovrani incoraggiano lo sviluppo di tecnologie proprietarie. Le organizzazioni, ad esempio, possono investire in modelli di intelligenza artificiale locali addestrati su dati sovrani, dando vita a soluzioni su misura che superano le offerte globali generiche e favoriscono la differenziazione dei prodotti.
- Efficienza dei costi nel tempo – Sebbene l’investimento iniziale in infrastrutture sovrane possa essere significativo, i vantaggi economici nel lungo periodo sono evidenti. La riduzione della dipendenza dai fornitori esterni e dei costi di conformità, insieme alla possibilità di negoziare condizioni più favorevoli con partner locali, permette alle organizzazioni di ottimizzare i propri budget e di destinare maggiori risorse all’espansione e all’innovazione.
- Fiducia degli stakeholder e reputazione del marchio – In un panorama di consumatori diffidenti nei confronti delle violazioni dei dati, la sovranità è un segnale di pratiche etiche. Inoltre, è dimostrato che una solida governance dei dati migliora la fidelizzazione dei clienti, traducendosi in un aumento della quota di mercato e dei flussi di fatturato.
- Formazione e responsabilizzazione della forza lavoro – La sovranità digitale implica, altresì, l’implementazione di programmi di formazione sulla governance dei dati e sulla sicurezza informatica, con l’obiettivo di sviluppare una cultura diffusa della consapevolezza digitale e garantire che ogni dipendente contribuisca attivamente all’adozione di pratiche sicure.
- Monitoraggio e adattamento continuo – Si tratta di stabilire parametri per l’efficacia della sovranità, relativi a incidenti di violazione dei dati o punteggi degli audit di conformità, oltre a rivedere e aggiornare regolarmente le strategie in risposta all’evoluzione delle minacce e delle normative.
Riflessione strategica e scenari globali
In passato, la supremazia globale si misurava attraverso eserciti e trattati; oggi, invece, il vero terreno di confronto è quello tecnologico: wafer di silicio, server farm e intelligenza artificiale sono diventati i nuovi strumenti del potere.
Lo stack tecnologico non rappresenta più soltanto un’infrastruttura, ma costituisce il sistema operativo dell’economia e della politica mondiale e la competizione per il suo controllo sta ridefinendo gli equilibri globali.
Gli Stati Uniti guidano la partita con progetti come Stargate, che fondono chip proprietari e IA in data center iper-scalabili, creando un ecosistema blindato e inaccessibile alla concorrenza.
La Cina risponde con una strategia industriale integrata e la sua via della seta digitale, estendendo il proprio dominio tecnologico in Asia e oltre, in un modello di imperialismo digitale.
L’Europa, invece, si trova in una posizione ambigua: è leader nella regolamentazione, ma dipendente dalle infrastrutture straniere. Ha definito standard globali e vanta centri di ricerca d’eccellenza, ma possiede appena il 4% del cloud mondiale.
Il continente, ad oggi, si affida a sistemi gestiti da colossi americani – come Amazon, Microsoft e Google – soggetti al CLOUD Act statunitense, che impone obblighi di sorveglianza extraterritoriale.
Il rischio è che l’Europa resti spettatrice, dato che la sfida non è solo tecnologica, ma anche strategica e riguarda la sovranità stessa. È tempo di non indugiare oltre e costruire una capacità tecnologica sovrana, oppure accettare la colonizzazione digitale.














