Di Google AI Overviews se ne parla da mesi, tra sensazioni, osservazioni empiriche e malumori più o meno fondati. Ora abbiamo i numeri. E non sono belli da leggere, almeno per chi lavora nel digitale, crea contenuti, fa SEO o vive — ancora — di traffico organico, magari guadagnando qualche spicciolo dai banner.
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La ricerca che rivela i numeri delle AI Overviews Google
Una ricerca pubblicata su Growth Memo da Kevin Indig in collaborazione con Eric van Buskirk ha analizzato con metodo UX il comportamento reale di 70 utenti alle prese con le nuove AI Overviews di Google. Risultato? Il motore di ricerca si sta trasformando in una piattaforma di consumo di contenuti senza click. E chi scrive, produce e pubblica sul web viene messo all’angolo, spremuto come un limone. Va un po’ meglio per chi tratta news, che però ha già i suoi problemi derivati da Google News, che assorbe traffico senza restituirlo.
Come Google trattiene il traffico invece di distribuirlo
Non è solo un tema tecnico. È un cambio radicale: Google non distribuisce più traffico, lo trattiene. Anche danneggiando chi dovrebbe farlo guadagnare con banner e inserzioni, quest’ultima una cosa disarmante. Ne ho parlato in un mio precedente articolo approfondito, sul tema.
Negli ultimi anni Google ha spinto sempre di più verso un modello in cui l’utente non deve più cliccare per ottenere ciò che cerca. Già i featured snippet, le “risposte rapide” e i pannelli informativi avevano ridotto gli accessi ai siti esterni. Ma con l’introduzione delle AI Overview — veri e propri riassunti generati dall’intelligenza artificiale — il gioco si è fatto serio. E il banco vince, sempre!
Metodologia e risultati dello studio sulle AI Overviews
La ricerca di Indig è la prima ad analizzare questo fenomeno dal punto di vista dell’esperienza utente: ha tracciato 400 interazioni reali con AI Overview, registrando scroll, click, reazioni, dichiarazioni di fiducia. Un lavoro certosino che ha prodotto 408 annotazioni dettagliate e oltre 29 ore di video analizzati.
I dati che confermano il crollo del traffico organico
I numeri parlano chiaro: il 70% degli utenti non legge oltre il primo terzo della risposta AI. Il CTR crolla di due terzi su desktop quando compare una AI Overview. Il 30% delle interazioni si chiude senza nemmeno sfiorare i risultati organici. I click residui vanno soprattutto a Reddit, YouTube, forum, community e video.
Nel 59% delle sessioni osservate, l’utente ha interagito solo con la AI Overview senza toccare la parte organica. In pratica, l’AIO fa da tappo: risponde subito, con parole credibili e tono neutro, lasciando ai contenuti originali solo il ruolo di comparsa silenziosa.
Il mito della citazione nelle AI Overviews Google
Ora, una certa parte del settore SEO sembra aver accettato la cosa. “Bisogna diventare fonte”, si sente dire. “L’importante è essere citati nella AI Overview”. E in effetti, una citazione può dare autorevolezza, può far salire il brand, può posizionarti nella mente dell’utente. Ma non porta traffico, se il 75% delle citazioni testuali presenti nelle AIO non riporta il nome dell’autore o del sito in modo esplicito.
Quindi fare branding è ok, ma non vale per chi guadagna con le inserzioni. Vale allora la pena chiedersi: che visibilità è, quella che non porta relazione? Diventare una fonte citata nella AI Overview può sembrare un obiettivo nobile. Ma a ben vedere è quasi una trappola, una bella gabbia dorata, ma pur sempre gabbia. Google ci usa, ci cita (poco e male), ci fagocita, ci risputa — ma non ci manda più traffico, a costo di generare meno views alle sue inserzioni. Ovvio, così non divide con noi il bottino, piccolo o grande che sia.
Perché essere citati da AI Overviews è una trappola dorata
Il contenuto viene digerito dall’algoritmo, riscritto, parafrasato, servito all’utente su un piatto già pronto. Solo il 2% degli utenti ha cliccato più di un link all’interno dell’AIO: la scelta è quasi sempre singola e orientata al primo elemento visibile. E il sito? Invisibile. Il click? Scomparso. Eppure, noi ci siamo impegnati per produrlo. Lo abbiamo firmato, impaginato, posizionato. Ma per l’utente medio è già tutto lì, nella risposta AI. Fine della corsa. Ancora peggio, forse, perché il risultato è una digestione di più contenuti dello stesso tema. Ecco che un singolo risultato AI danneggia più publisher, in un colpo solo.
Visibilità senza traffico: l’illusione della SEO moderna
Per chi vive di contenuti, di pubblicità, di performance misurabili, questa non è una semplice evoluzione: è un problema strutturale. La visibilità oggi è diventata un’illusione ottica. Sembriamo presenti, ma non lo siamo davvero. Compariamo nelle risposte, ma nessuno ci visita. Veniamo citati, ma il lettore non ci incontra. È come essere in vetrina… con i vetri oscurati.
Quando il branding può ancora funzionare
Ovviamente, se l’obiettivo è il posizionamento del brand, la questione cambia. Una presenza — anche silenziosa — può valere qualcosa. Ma solo in certi contesti. E soprattutto solo se l’utente ci riconosce, si ricorda di noi, si fida. In tutti gli altri casi, la SEO diventa un gioco inutile: non si compete più per posizione, ma per riconoscibilità. E per le fasce tra i 25 e i 34 anni, che scelgono l’AIO come risposta finale nel 50% delle ricerche da mobile, questo passaggio è già compiuto. E non si può più misurare il valore in click, ma in fiducia guadagnata. Siamo passati da un’era di performance a un’era di suggestioni.
Google AI Overviews: un rischio mascherato da opportunità
Questa dinamica come ho detto l’avevo già analizzata tempo fa qui su Agendadigitale.eu, quando parlavo di “Google che stritola gli editori web”. Lo dicevo allora e lo ribadisco oggi, con i numeri in mano: essere citati da Google AI non è un vantaggio — è un rischio. Perché nella maggior parte dei casi nessuno clicca su quei link minuscoli accanto al box. Perché la risposta è considerata già sufficiente. Perché l’AI Overview è comoda, ben scritta, rassicurante. E perché più si scorre dentro il box, più cresce la fiducia nella risposta: lo studio registra una correlazione diretta tra profondità di scroll e fiducia percepita.
Google ci usa per costruire la risposta, ma non restituisce valore. E intanto, in ogni trimestrale, mostra ricavi pubblicitari in crescita. Meno click per noi, più tempo utente per loro. Un’equazione perfetta — per chi ha in mano la piattaforma. E non vuole dividere gli incassi con i publisher.
L‘illusione dell’ottimizzazione per AI Overviews
Sempre più spesso sento parlare di “ottimizzazione per l’AI di Google” come se fosse la nuova SEO, la nuova moda da inseguire. Finire dentro le AI Overview, diventare una delle fonti “citabili” dall’algoritmo, sembra ormai l’obiettivo di chi produce contenuti. Ma siamo davvero sicuri che sia una vittoria? Perché dipende. Se il nostro obiettivo è avere traffico, utenti, lettori veri, allora finirci dentro può essere una condanna. Google prende i nostri contenuti, li mastica, li parafrasa, li impacchetta. E l’utente resta lì. Legge. Si fida. E non clicca. In molti casi, come raccontano i ricercatori, gli utenti si limitano a dire “mi basta così” e chiudono la ricerca. Fine della storia. Ancora una volta, utile ribadirlo, nessun passaggio sul sito, nessuna sessione tracciata, nessun valore generato.
In quel caso, siamo i fornitori silenziosi di un’intelligenza artificiale che si prende tutto e non restituisce niente. Non è SEO. È outsourcing del sapere. È diventare gli autori non pagati delle risposte automatiche.
Comportamento utenti e engagement con AI Overviews
Secondo lo studio, solo il 19% degli utenti mobili e appena il 7,4% di quelli da desktop cliccano un link interno alla AI Overview, e quasi sempre si tratta di icone poco intuitive o testi iperlinkati senza invito all’azione. Ma il dato più rivelatore è che l’86% degli utenti ha semplicemente “scansionato” l’AIO, leggendo solo le prime righe, con una profondità media di scroll pari al 30%. Solo una minoranza arriva al fondo del box, e solo quando la query è percepita come “ad alto rischio” (salute, finanza, decisioni critiche). In tutti gli altri casi, l’AIO viene trattata come una risposta istantanea. Solo le query “how-to” o quelle ad alto rischio personale (salute, soldi) spingono l’utente a leggere un po’ di più o cercare conferme. Ma sono l’eccezione, non la regola. Non solo: quando gli utenti decidono di approfondire, quasi un terzo dei click va a Reddit, YouTube e forum, non ai siti citati dall’AI. La ricerca evidenzia inoltre che l’engagement interno alla risposta AI ha una durata media di 30-45 secondi, sufficiente per assorbire la fiducia, ma non per stimolare l’azione. In sostanza, i contenuti citati diventano carburante per un’esperienza chiusa, dove l’utente resta dentro Google e chi ha prodotto l’informazione resta fuori dai giochi.
Quando le AI Overviews possono servire al branding
Ma se invece puntiamo a posizionare un brand, costruire autorevolezza, lavorare sulla riconoscibilità, allora il discorso cambia. Avere il proprio nome — o quello dell’azienda — dentro una AI Overview (comunque poco visibile), nella parte alta del box — l’unica zona realmente letta dalla maggioranza degli utenti secondo lo studio — può essere utile. Può essere branding puro. Un colpo d’occhio che resta nella memoria. Però attenzione: la visibilità senza relazione è un’illusione. Se nessuno arriva sul nostro sito, se nessuno ci conosce meglio, se nessuno ci contatta… che visibilità è?
La SEO è morta? evoluzione verso branding e relazioni
Se il traffico non arriva più da Google, dobbiamo costruirlo altrove. Non è facile, non è immediato, non è garantito. Ma è necessario. Costruire pubblico diretto, non solo “visitatori”. Lavorare su community, mailing list, relazioni vere. Creare contenuti non sintetizzabili da una AI: opinioni, esperienze, commenti. Presidiare i luoghi dove gli utenti cercano conferme: forum, Reddit, YouTube. Trattare Google come una fonte di esposizione, non di traffico.
La SEO non è morta. Ma non è più quella di prima. E non tornerà. Ora è branding, relazione, riconoscibilità. Il posizionamento passa dalla fiducia, non dalla keyword. E la verità è che Google non è più un motore di ricerca. È un motore di risposta. E noi, se non troviamo una strategia per restare in contatto con chi ci legge, rischiamo di diventare i ghostwriter delle intelligenze artificiali.