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Guerra fredda Usa-Cina sui chip: dietro le quinte del confronto



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Le sanzioni Usa sui chip hanno favorito una reazione cinese incentrata sull’autosufficienza. Pechino punta alla leadership hi-tech, tra cooperazione selettiva e controllo statale

Pubblicato il 8 lug 2025

Gabriele Iuvinale

Senior China Fellows at Extrema Ratio

Nicola Iuvinale

Senior China Fellows at Extrema Ratio



nvidia AI iper-densa guerra USA-Cina sui chip sovereignty by design

La competizione tecnologica tra Washington e Pechino si sta intensificando, delineando i contorni di una vera e propria “nuova guerra fredda” tecnologica. Gli Stati Uniti stanno cercando di frenare i progressi cinesi con restrizioni sulle esportazioni di chip AI e software di progettazione (EDA), che hanno colpito aziende come Synopsys e Huawei.

Nonostante queste misure, Pechino sta dimostrando una notevole capacità di sviluppo e autosufficienza in settori chiave come l’intelligenza artificiale, i veicoli elettrici e i semiconduttori.

La reazione cinese, che include critiche formali e un’accelerazione degli investimenti interni, evidenzia il crescente dibattito sull’efficacia delle sanzioni americane e le prospettive future di questa complessa dinamica geopolitica ed economica. Nonostante gli sforzi di Washington per mantenere un vantaggio tecnologico, i risultati non sono stati quelli sperati, portando a un acceso dibattito sulle strategie più efficaci per affrontare la crescente ascesa tecnologica di Pechino.

La centralità strategica dei semiconduttori

I semiconduttori sono il cuore pulsante dell’economia digitale globale. Questo settore, stimato a 627 miliardi di dollari nel 2024 e con una previsione di crescita fino a 1 trilione di dollari entro la fine del decennio, stimola ulteriori 7 trilioni di dollari di attività economica globale ogni anno. Alimentano una vasta gamma di applicazioni, dall’intelligenza artificiale (AI) ai big data, dai computer agli smartphone, dalle automobili agli elettrodomestici. Sono un “bene capitale” fondamentale per la capacità di imprese e nazioni di innovare e competere nella moderna economia digitale globale. Inoltre, i semiconduttori sostengono la leadership americana in numerosi settori digitali, dall’AI ai data center, dall’informatica quantistica alla ricerca su Internet e all’e-commerce.

La lunga marcia dell’industria cinese dei semiconduttori

La storia della Cina nel settore dei semiconduttori inizia con la guerra fredda. I primi passi negli anni ’50 e ’60 hanno avuto il supporto sovietico. Sebbene verso la fine dell’era Mao si producessero transistor e circuiti integrati (CI) rudimentali, i veri progressi sono arrivati solo con le riforme economiche di fine anni ’70, che hanno aperto le porte al trasferimento di tecnologia estera e alla collaborazione globale.

Negli anni ’90, politiche industriali sistematiche come il progetto 908 hanno canalizzato fondi statali verso le fabbriche nazionali e hanno attratto talenti dall’estero, in particolare da Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC). Questa fase ha contribuito all’emergere di Shanghai come uno dei primi hub del settore. Nonostante questi sforzi, entro il 2000 la Cina soddisfaceva solo una minima parte della sua domanda interna di semiconduttori.

L’ascesa cinese tra sanzioni e resilienza interna

Il periodo tra il 2000 e il 2010 ha visto un progresso graduale, con l’ascesa di aziende come HiSilicon (la divisione di progettazione di chip di Huawei) e Semiconductor Manufacturing International Corporation (SMIC), fondata nel 2000. Il supporto governativo è cresciuto tramite agevolazioni fiscali, programmi di ricerca e sviluppo (R&S) e l’istituzione del National IC Industry Investment Fund (“Big Fund”) nel 2014, con finanziamenti significativi.

L’iniziativa Made in China 2025, lanciata nel 2015, ha fissato ambiziosi obiettivi di autosufficienza al 70% entro il 2025. Tuttavia, le recenti valutazioni indicano che il pieno raggiungimento di questo traguardo è improbabile. A metà degli anni 2010, il divario tra consumo e produzione si era ampliato, evidenziando le persistenti difficoltà nel raggiungere la parità tecnologica.

La fine degli anni 2010 ha segnato una svolta decisiva con l’escalation della guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti, che si è trasformata in una vera e propria “guerra tecnologica” sui semiconduttori. I controlli sulle esportazioni statunitensi, inizialmente diretti a ZTE (nel 2018) e Huawei (nel 2019), non solo hanno interrotto le operazioni aziendali, ma hanno anche messo in luce le vulnerabilità della Cina e la sua dipendenza dalle tecnologie straniere dei semiconduttori, in particolare nelle fasi più avanzate di progettazione e fabbricazione dei chip.

Per i decisori politici di Pechino, questa situazione ha rappresentato un campanello d’allarme, sia a livello commerciale che nazionale, sollevando preoccupazioni urgenti sulla sicurezza economica, la sovranità dell’innovazione e la resilienza dello sviluppo a lungo termine. Il risultato è stato un “momento Sputnik” in Cina e un raddoppio degli sforzi per raggiungere l’autosufficienza. Si è trattato di una profonda ricalibrazione della traiettoria di sviluppo del paese, in un’epoca in cui l’autonomia tecnologica è sempre più interconnessa con la sopravvivenza geopolitica e le aspirazioni di leadership globale. Il presidente cinese Xi Jinping ha enfatizzato l’urgenza di innovazioni nelle “tecnologie fondamentali” al 20° congresso del Partito nel 2022, menzionando il termine “tecnologia” 55 volte, rispetto alle 34 del 2017.

Più recentemente, il terzo Fondo nazionale per gli investimenti nell’industria dei circuiti integrati ha erogato oltre 344 miliardi di renminbi (47,1 miliardi di dollari), una cifra superiore a quella dei primi due round combinati, in un contesto di intensificazione del confronto tariffario tecnologico tra Cina e Stati Uniti.

Nel complesso, questi sviluppi evidenziano l’obiettivo della Cina di aumentare l’autosufficienza nella produzione di semiconduttori, puntando a raggiungere il 50% entro il 2025. Diverse aziende cinesi – come Cambricon Technologies, ChangXin Memory Technologies (CXMT), China Electronics Corporation (CEC), HiSilicon, Hua Hong Semiconductor Limited (HuaHong), Shanghai Enflame Technology Co, Shanghai Micro Electronics Equipment (SMEE), SMIC e Yangtze Memory Technology Corp (YMTC) – hanno compiuto progressi significativi nella ricerca e sviluppo tecnologico e nell’espansione del mercato.

Inoltre, hanno raggiunto un’elevata autosufficienza in settori cruciali del processo di produzione, come la rimozione del fotoresist, la pulizia, l’incisione e la planarizzazione chimico-meccanica (CMP). Tuttavia, permangono sfide in altre fasi, inclusi la metrologia, il rivestimento/sviluppo, la litografia e l’impiantazione ionica, dove la tecnologia esterna, in particolare da Giappone, Paesi Bassi e Taiwan, rimane fondamentale.

Dove Pechino eccelle: il dominio cinese in settori chiave

Pechino eccelle nella produzione di veicoli elettrici, spesso più economici e, sotto molti aspetti, superiori a quelli americani. Il paese domina il mercato dei droni per uso domestico e ha implementato veicoli autonomi sulle strade di Wuhan e nella capitale stessa a un ritmo che supera quello di Waymo e Tesla. Pechino è anche il principale produttore mondiale di pannelli solari e batterie. Sebbene Washington e i suoi alleati detengano ancora un lieve vantaggio nei microchip avanzati e nell’AI, il divario sembra ridursi rapidamente.

Questa situazione ha innescato un acceso dibattito tra l’attuale amministrazione statunitense e i suoi critici. La Casa Bianca propende quasi unanimemente per limitare il progresso tecnologico cinese attraverso il divieto di esportazione di microchip AI e degli strumenti per produrli. Tuttavia, alcune voci esterne, tra cui il CEO di Nvidia, Jensen Huang, sostengono che tali politiche potrebbero rivelarsi controproducenti, accelerando lo sviluppo di un ecosistema tecnologico cinese autonomo.

Dipendenza o sicurezza nazionale? Il dilemma delle esportazioni

Il nodo della questione è il seguente: è preferibile che Pechino resti dipendente dalla tecnologia statunitense, o il rischio per la sicurezza nazionale derivante dal possesso cinese di tale tecnologia è troppo elevato? Jensen Huang, CEO del colosso dei chip Nvidia, è uno dei critici più veementi degli attuali controlli sulle esportazioni. Huang stima che la Cina potrebbe investire 50 miliardi di dollari in chip e server AI entro il 2026, un mercato che la sua azienda perderebbe a causa dei nuovi divieti di esportazione di chip AI avanzati verso il paese asiatico.

Durante una recente conference call sui risultati finanziari, Huang ha ribadito le sue preoccupazioni, affermando che “proteggere i produttori di chip cinesi dalla concorrenza statunitense non fa che rafforzarli all’estero e indebolire la posizione dell’America. Le restrizioni all’esportazione hanno stimolato l’innovazione e la crescita della Cina”. Nonostante le restrizioni, l’impatto sui ricavi di Nvidia finora è stato limitato. Anzi, secondo recenti report, Nvidia ha stimato perdite per 5,5 miliardi di dollari solo nel primo trimestre dell’anno a causa di tali restrizioni, con una svalutazione che potrebbe portare a una perdita di 15 miliardi di dollari nei ricavi annuali. Un portavoce di Nvidia ha inoltre dichiarato che l’azienda sta continuando a valutare le sue opzioni, aggiungendo che “con il divieto di H20, i nostri concorrenti in Cina sono ora ampiamente protetti dalla concorrenza statunitense e liberi di sfruttare l’intero mercato da 50 miliardi di dollari per costruire un solido ecosistema di intelligenza artificiale”.

L’ascesa dei chip cinesi e il progresso dell’AI

In risposta alle restrizioni statunitensi, Pechino si sta orientando verso chip progettati e prodotti interamente da aziende locali. Huawei sta collaborando con Semiconductor Manufacturing International Corp (SMIC) su un chip avanzato da 3 nm e il gigante tecnologico colpito dalle sanzioni statunitensi si starebbe preparando a inviare il progetto al più grande produttore di chip cinese nel 2026.

In particolare, Huawei sta passando a un’architettura gate-all-around (GAA), utilizzata da Samsung Foundry, e abbandonando i tradizionali design in silicio. L’azienda sta sviluppando un cosiddetto design a 3 nm basato sul carbonio, caratterizzato da nanotubi di carbonio e materiali bidimensionali, ha dichiarato su X l’analista statunitense di chip e intelligenza artificiale Ray Wang, citando fonti interne a Huawei. Wong ha aggiunto che l’azienda ha completato la convalida in laboratorio del chip da 3 nm, attualmente in fase di adattamento della linea di produzione presso SMIC. L’attuale gamma di processori Kirin e chip Ascend AI di Huawei è realizzata utilizzando la tecnologia dei nodi a 7 nm. Alla SMIC è vietato importare apparecchiature avanzate per la litografia ultravioletta estrema (EUV) dall’ASML.

L’iniziativa congiunta di ricerca e sviluppo dimostra chiaramente che le sanzioni commerciali statunitensi non sono riuscite a fermare gli sforzi della Cina volti a creare un settore interno di chip efficiente, in grado di produrre prodotti avanzati. Tuttavia, il fondatore del blog di settore Radio Free Mobile Richard Windsor ha sottolineato all’inizio del mese che il processo a 7 nm di Huawei, che utilizza una tecnica multi-patterning e apparecchiature progettate per processi attorno ai 14 nm, prevede molti più passaggi ed è più complesso, con rese sostanzialmente inferiori rispetto a quelli prodotti da Taiwan Semiconductor Manufacturing Co (TSMC) e altri.

Doug O’Laughlin, analista di SemiAnalysis, ha evidenziato che, nonostante il CloudMatrix 384 di Huawei richieda quattro volte più elettricità, Pechino vanta un enorme vantaggio nella produzione energetica. “Pechino ha aumentato la produzione di energia negli ultimi 10 anni e ha l’intera catena di approvvigionamento sotto controllo per continuare a farlo”, ha aggiunto O’Laughlin. SMIC, il terzo produttore di chip al mondo e fornitore di Huawei, ha dimostrato capacità di innovazione nella produzione di chip di alta qualità nonostante l’uso di tecnologie meno recenti rispetto a quelle soggette a divieto di esportazione. Anche Yangtze Memory Technology Corporation (YMTC), un’altra azienda cinese, è riuscita a produrre chip di memoria ad alta densità paragonabili a quelli dei suoi rivali coreani, nonostante le restrizioni.

Inoltre, Pechino sta innovando nel modo in cui impiegare più efficacemente chip meno efficienti. Un team di ricerca cinese ha recentemente vinto un premio in una prestigiosa conferenza internazionale proprio per aver dimostrato come l’utilizzo di chip meno potenti possa superare le prestazioni dell’hardware di fascia alta. Questi successi, combinati con ingenti investimenti governativi, il contrabbando di chip, lo sfruttamento delle lacune nelle coperture dei controlli sulle esportazioni statunitensi, il completamento dei trasferimenti di attrezzature all’interno del Paese, l’assunzione di talenti esperti da aziende internazionali di primo piano, il reverse-engineering di tecnologie straniere e lo spionaggio economico sostenuto dallo Stato, rappresentano una combinazione formidabile per perseguire l’obiettivo di “autosufficienza e autorafforzamento” dell’AI, ribadito anche di recente dal presidente Xi Jinping.

Il vantaggio cinese nell’AI e la risposta di DeepSeek

Nell’ultimo anno Pechino ha ridotto il divario di sviluppo dell’AI con Washington. In particolare, la startup cinese di intelligenza artificiale DeepSeek ha catturato l’attenzione globale. A gennaio, ha lanciato un modello di ragionamento basato sull’AI che, a suo dire, è stato addestrato con chip meno avanzati e risulta più economico da sviluppare rispetto ai suoi rivali occidentali.

Pechino ha compiuto progressi anche nell’ingegneria del software per le infrastrutture. L’annuncio di DeepSeek, tuttavia, ha soprattutto messo in discussione l’ipotesi che le sanzioni statunitensi stessero frenando il settore dell’intelligenza artificiale cinese nel mezzo di una forte rivalità tecnologica geopolitica, e che la Cina fosse in ritardo rispetto a Washington dopo il lancio rivoluzionario di ChatGPT di OpenAI alla fine del 2022.

Strategie di contenimento USA e risposte cinesi

Bryan Burack, analista cinese presso la Heritage Foundation, sostiene che i controlli sulle esportazioni di tecnologie come l’AI sono cruciali in quella che definisce una “nuova guerra fredda”. Burack, ex membro del Consiglio per la Sicurezza Nazionale, si chiede se sia opportuno “aiutare Pechino a creare un’intelligenza artificiale a duplice uso che possa essere impiegata per acquisire bersagli per armi guidate, anche se si tratta di un business redditizio?”.

Le preoccupazioni sui progressi tecnologici del Dragone non sono nuove a Washington, ma la spinta a ostacolarne lo sviluppo ha preso piede durante la prima amministrazione Trump. Nel 2018, l’allora segretario al Commercio Wilbur Ross ha bloccato l’accesso di ZTE, un’azienda cinese di telecomunicazioni, alla tecnologia statunitense, inclusi i microchip, citando ragioni di sicurezza nazionale. Questa mossa ha effettivamente troncato le ambizioni globali dell’azienda, legata al governo cinese.

Dan Wang, ricercatore presso la Hoover Institution della Stanford University, ha osservato che “in un colpo solo, il governo statunitense ha dimostrato al governo cinese e alle aziende tecnologiche cinesi di avere la capacità di mettere a tacere i leader tecnologici cinesi”. Le nuove linee guida del governo americano, anche quelle di maggio 2025, impongono restrizioni all’uso dei semiconduttori cinesi, mirando a evitare che i semiconduttori americani vengano utilizzati per scopi militari o per alimentare modelli di IA cinesi in grado di competere con quelli statunitensi. Nel mirino sono finiti in particolare i chip Ascend prodotti da Huawei, ritenuti sviluppati e prodotti in violazione dei controlli americani sulle esportazioni.

L’azienda di software per la progettazione di semiconduttori Synopsys è una delle ultime aziende colpite dalle tensioni commerciali tra Washington e Pechino. È stata costretta a smettere di accettare nuovi ordini a causa delle restrizioni appena imposte dall’amministrazione Trump. Secondo una lettera interna esaminata da Reuters, i dirigenti dell’azienda hanno chiesto ai propri dipendenti in Cina di sospendere i servizi e le vendite nel Paese e di smettere di accettare nuovi ordini per conformarsi alle nuove restrizioni sulle esportazioni. Secondo alcune fonti, Washington ha ordinato a un’ampia gamma di aziende di interrompere le spedizioni di merci in Cina senza licenza e ha revocato le licenze già concesse ad alcuni fornitori. Tra i prodotti interessati, hanno affermato, figurano software di progettazione e prodotti chimici per semiconduttori.

Giovedì 29 maggio Synopsys ha sospeso le sue previsioni annuali e trimestrali dopo aver ricevuto una lettera dal Bureau of Industry and Security del Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti, che la informava di nuove restrizioni all’esportazione relative alla Cina. Nella lettera interna inviata venerdì al personale in Cina si legge: “In base alla nostra interpretazione iniziale, queste nuove restrizioni proibiscono in generale la vendita dei nostri prodotti e servizi in Cina e sono in vigore a partire dal 29 maggio 2025”. Per garantire il rispetto delle normative, Synopsys ha dichiarato che avrebbe bloccato le vendite e l’evasione degli ordini in Cina e sospeso i nuovi ordini fino a quando non avesse ricevuto ulteriori chiarimenti. Le misure riguardano tutti i clienti in Cina, compresi i dipendenti dei clienti globali che lavorano in sedi in Cina e gli utenti militari cinesi, ovunque si trovino, si legge nella lettera. Le misure adottate da Synopsys alla luce delle nuove restrizioni non sono state rese note in precedenza. Synopsys ha rifiutato di commentare.

Tuttavia, il dibattito interno a Washington rimane acceso. Ad esempio, recenti report suggeriscono che l’amministrazione Trump, se tornasse al potere, potrebbe abbandonare o semplificare le norme sui controlli dei chip, ritenendole un “incubo burocratico” e inefficaci per fermare l’avanzata cinese. Questo indica una potenziale discontinuità nella politica americana, sebbene l’obiettivo di contenere l’ascesa tecnologica cinese rimanga prioritario per ambo le parti.

Parallelamente, Washington ha imposto nuove sanzioni contro entità e individui con sede principalmente in Cina e Hong Kong per il loro sostegno al programma missilistico balistico iraniano a maggio 2025. Queste tensioni geopolitiche si riflettono anche sui mercati finanziari, con l’S&P 500 in calo a seguito delle nuove sanzioni tecnologiche USA-Cina.

La reazione cinese alle restrizioni americane

Lunedì 2 giugno la Cina ha criticato gli Stati Uniti per alcune azioni che, a suo dire, avrebbero danneggiato gli interessi cinesi, tra cui l’emanazione di linee guida per il controllo delle esportazioni di chip di intelligenza artificiale, l’interruzione della vendita di software di progettazione di chip alla Cina e la pianificazione della revoca dei visti per studenti cinesi. “Queste pratiche violano gravemente il consenso”, ha affermato il Ministero del Commercio in una nota, riferendosi a una dichiarazione congiunta Cina-Stati Uniti in cui i due Paesi avevano concordato di ridurre drasticamente i loro recenti dazi doganali, riavviando il commercio in stallo tra le due maggiori economie mondiali. Ma la de-escalation delle guerre commerciali del presidente Donald Trump del mese scorso non è riuscita a risolvere le divergenze di fondo tra Pechino e Washington, e la dichiarazione di lunedì ha dimostrato quanto facilmente tali accordi possano portare a ulteriori turbolenze.

Le conseguenze delle restrizioni: il rafforzamento dell’industria nazionale cinese

Le restrizioni su microchip e software hanno colpito in particolare Huawei. Inizialmente, le aziende tecnologiche cinesi erano riluttanti ad acquistare chip prodotti localmente a causa della loro inferiorità rispetto a quelli progettati in America e prodotti negli Stati Uniti, in Corea del Sud e a Taiwan. Tuttavia, l’assenza di alternative le ha costrette a rivolgersi ai fornitori nazionali, innescando ingenti investimenti da parte delle aziende tecnologiche cinesi e del governo.

Man mano che i chip cinesi sono migliorati, Washington ha intensificato gli sforzi per rallentarne il progresso, arrivando a vietare l’esportazione di macchinari e materiali per la produzione di chip in Cina. Ciò non implica che l’ecosistema cinese di produzione di chip sia già alla pari con quello gestito da Washington e dai suoi alleati. Tuttavia, l’idea che la Cina rimarrà sempre indietro è smentita dalla storia, secondo Patrick Moorhead, analista del settore dei semiconduttori ed ex dirigente AMD. “Lavoro nel settore tecnologico da 30 anni e ho sentito spesso dire ‘Oh, la Cina non ci riuscirà'”, ha commentato Moorhead. “Ora credo che l’unica domanda sia quando ci riusciranno”. Nel lungo termine, Pechino potrebbe essere in grado di approvvigionarsi localmente di tutto il necessario per eguagliare o superare le capacità di aziende come la taiwanese TSMC e l’americana Intel.

Espansione industriale e dipendenze persistenti

Secondo SemiAnalysis, la fonderia nazionale cinese può ancora accelerare. Sebbene la produzione estera sia tuttora necessaria, la capacità della catena di fornitura cinese di semiconduttori è migliorata rapidamente ed è ancora sottovalutata. SemiAnalysis ha costantemente lanciato l’allarme sulle capacità di fabbricazione di SMIC e CXMT. Anche se resa e produttività sono ancora problematiche, la domanda cruciale è cosa accadrà a lungo termine con l’aumento della produzione di GPU in Cina.

Sia SMIC che CXMT hanno ricevuto utensili per un valore di decine di miliardi di dollari e, nonostante le sanzioni, continuano a ricevere ingenti volumi di prodotti chimici e materiali di provenienza estera. SMIC sta espandendo la propria capacità a Shanghai, Shenzhen e Pechino per i nodi avanzati. Quest’anno avrà una capacità di quasi 50.000 wafer al mese e continuerà a espandersi grazie al continuo accesso a strumenti stranieri e alla mancanza di sanzioni e controlli efficaci. Aumentando la propria produttività, potrebbe raggiungere numeri significativi sui pacchetti Huawei Ascend 910C.

Tuttavia, è fondamentale sottolineare che, sebbene il chip Ascend possa essere prodotto presso SMIC, si tratta di un chip globale che utilizza la tecnologia HBM coreana, la produzione primaria di wafer da TSMC e viene prodotto da decine di miliardi di dollari in apparecchiature di fabbricazione di wafer provenienti da Stati Uniti, Paesi Bassi e Giappone. Questo evidenzia la complessa interdipendenza della catena di fornitura globale dei semiconduttori, anche per i chip cinesi più avanzati.

Sebbene TSMC abbia fornito 2,9 milioni di matrici, sufficienti per 800.000 Ascend 910B e 1,05 milioni di Ascend 910C nel periodo 2024-2025, la capacità produttiva di SMIC potrebbe aumentare notevolmente se la produzione HBM, gli strumenti di fabbricazione di wafer, la manutenzione degli utensili e i prodotti chimici come il fotoresist non venissero controllati in modo efficace. La Cina non ha vincoli energetici, solo vincoli di silicio.

Software di progettazione elettronica (EDA) e impatto sul settore cinese

Insieme a Cadence e Siemens EDA, Synopsys è tra le prime tre aziende che dominano il software di automazione della progettazione elettronica (EDA) che i produttori di chip possono utilizzare per progettare semiconduttori impiegati in ogni cosa, dagli smartphone ai computer e alle automobili. Limitare l’accesso delle aziende cinesi agli strumenti EDA rappresenterebbe un duro colpo per il settore, in quanto i clienti cinesi che progettano chip fanno largo uso del software statunitense di alta qualità. Secondo quanto riportato ad aprile dall’agenzia di stampa statale cinese Xinhua, Synopsys, Cadence e Mentor Graphics di Siemens controllano oltre il 70% del mercato EDA cinese. Tra le aziende cinesi che hanno dichiarato di utilizzare i software Synopsys e Cadence ci sono la società di progettazione Brite Semiconductor, Zhuhai Jieli e il fornitore di portafogli IP di semiconduttori VeriSilicon.

Nella lettera inviata il 30 maggio al personale in Cina si affermava anche che l’accesso dei clienti cinesi al portale di assistenza clienti SolvNetPlus era stato disattivato.

Il vantaggio competitivo cinese nel lungo termine

Gli esperti sottolineano che la Cina possiede una combinazione unica di risorse, senza precedenti nella storia delle guerre commerciali americane:

  • Popolazione qualificata: una vasta popolazione eccezionalmente ben preparata, dai lavoratori specializzati agli ingegneri formati nelle università del paese. Jensen Huang di Nvidia ha ripetutamente affermato che metà degli ingegneri di intelligenza artificiale del mondo si trova in Cina. Nvidia è stata recentemente criticata dai senatori statunitensi per aver stabilito un nuovo ufficio di ingegneria a Shanghai.
  • Mercato interno vasto: un enorme mercato interno che permette alle aziende di consolidarsi all’interno dei propri confini prima di espandersi a livello globale.
  • Spinta all’autosufficienza: nonostante una dipendenza da Washington e resto del mondo per molte materie prime e beni specializzati, la spinta ben organizzata e finanziata del Partito Comunista Cinese verso l’autosufficienza sta riducendo tali dipendenze. Anno dopo anno, il paese produce una percentuale maggiore di tutto ciò di cui ha bisogno, dai più piccoli componenti di chip alle più grandi navi cargo.

Wang ritiene che, idealmente, gli Stati Uniti avrebbero dovuto permettere ai loro giganti dei chip e del software di continuare a dominare il mercato interno cinese. Ma poiché i controlli sulle esportazioni hanno reso ciò impossibile, l’unica via logica potrebbe essere quella di mantenere, e probabilmente inasprire, tali controlli. “Quella che abbiamo ora non è la seconda soluzione migliore, ma la settima”, afferma Wang, aggiungendo che “non c’è certamente modo di ripristinare la fiducia nelle aziende cinesi”.

Il doppio approccio cinese: autosufficienza e integrazione globale

Nonostante sia la “fabbrica del mondo” in altri settori, la Cina resta fortemente dipendente dai chip stranieri e dalle tecnologie correlate, in particolare da Giappone, Paesi Bassi, Corea del Sud, Taiwan e Stati Uniti. Questa dipendenza è stata inquadrata come una vulnerabilità strategica, con lo stato centrale cinese che ha avvertito che affidarsi a tecnologie straniere di base potrebbe lasciare la Cina “incastrata nel collo” o strangolata.

La guerra tecnologica tra Cina e Stati Uniti degli ultimi anni non ha fatto altro che intensificare questo dibattito. Questo perché la Cina considera la dipendenza dalle tecnologie chiave straniere – in particolare quelle provenienti dagli ecosistemi tecnologici americani – una debolezza strategica critica che la espone a colli di bottiglia imposti dall’esterno in settori come i semiconduttori avanzati e l’hardware integrato con l’intelligenza artificiale.

Questo confronto ha rafforzato la determinazione di Pechino a localizzare la capacità di innovazione. La capacità degli attori stranieri di tagliare fuori nodi tecnologici vitali ha inoltre spostato la politica industriale cinese da un approccio di recupero a un’autosufficienza orientata alla sicurezza in molte tecnologie critiche, in particolare nei semiconduttori.

In effetti, la politica cinese sui chip è guidata da due logiche a volte complementari, a volte conflittuali: una volta perseguita l’autosufficienza, e l’altra volta abbraccia l’innovazione aperta che enfatizza i benefici dell’integrazione globale e dello scambio di conoscenze. Comprendere questo equilibrio è fondamentale per analizzare le scelte strategiche della Cina.

La spinta verso l’autosufficienza è guidata da imperativi strategici di autonomia tecnologica e sicurezza nazionale. È radicata in obiettivi legittimi: proteggere le catene di approvvigionamento, proteggere la sicurezza nazionale e affermare la sovranità tecnologica. Inoltre, l’ampio sostegno statale e la spinta all’innovazione interna della Cina hanno iniziato a dare i loro frutti, dai prototipi di chip a 7 nm prodotti sotto sanzioni alle crescenti capacità nella progettazione di chip di memoria e intelligenza artificiale.

C’è una nuova fiducia, testimoniata dai titoli dei progressi cinesi nel campo dei chip, nella possibilità che la Cina possa gradualmente ridurre la sua dipendenza dalla tecnologia occidentale. Ma questo percorso comporta il rischio di isolarsi e di reinventare la ruota, rallentando potenzialmente l’innovazione e isolando l’industria cinese dai progressi globali. Contribuisce inoltre alla frammentazione di quello che un tempo era un mercato globale unificato.

Allo stesso modo, la piena autosufficienza è una sfida a causa della complessità del settore e dell’interdipendenza globale, nonché della carenza di talenti e della resistenza esterna.

Al contrario, l’integrazione globale enfatizza la collaborazione internazionale, radicata nell’innovazione aperta, come motore di progresso. Storicamente, l’ascesa tecnologica della Cina ha beneficiato di partnership estere e trasferimenti tecnologici. In effetti, per molti versi, il settore dei semiconduttori – forse più di ogni altro – incarna la globalizzazione della conoscenza e della produzione.

Tuttavia, i controlli sulle esportazioni condotti dagli Stati Uniti hanno limitato l’accesso a strumenti avanzati come le macchine litografiche a raggi ultravioletti estremi (EUV) dell’azienda olandese ASML.

Nonostante ciò, la Cina collabora con paesi europei, così come con Giappone e Corea del Sud, per tecnologie e materiali meno soggetti a restrizioni. Utilizza anche iniziative open source (come RISC-V) per ridurre la dipendenza dalle tecnologie proprietarie occidentali.

Rimanere connessi ai flussi internazionali di tecnologia, talento e commercio potrebbe migliorare notevolmente la capacità della Cina di innovare e competere ai confini. Un approccio cooperativo potrebbe anche attenuare i timori globali e ridurre la spinta al disaccoppiamento.

Tuttavia, la realtà geopolitica – in particolare l’escalation della guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti – rende l’innovazione aperta sempre più difficile da praticare. La fiducia tra la Cina e le altre nazioni leader nel settore tecnologico si è erosa e le restrizioni rivolte alla Cina l’hanno, in una certa misura, costretta a rifugiarsi nell’autosufficienza.

L’interazione tra autosufficienza e integrazione globale nell’industria cinese dei chip potrebbe essere descritta come una competizione dinamica: un tira e molla in cui ciascuna logica si afferma a turno, ma in definitiva entrambe coesistono in un delicato equilibrio. La tensione tra questi approcci riflette un dibattito più ampio in Cina sulla priorità da dare alla sicurezza o all’efficienza.

Ma anziché sostituire completamente l’altro, l’approccio della Cina ai semiconduttori ha comportato una miscela pragmatica: a volte orientata al nazionalismo e rivolta all’interno, altre volte all’internazionalismo e rivolta all’esterno, e spesso cercando di fare entrambe le cose simultaneamente, in forme diverse.

Il difficile equilibrio tra isolamento e cooperazione

In pratica, una strategia ibrida, come quella che la Cina ha tentato di perseguire, consiste nell’adottare l’innovazione aperta quando possibile, per poi passare all’autosufficienza ogniqualvolta l’accesso esterno sia interrotto o ritenuto troppo rischioso.

Si tratta di un’eredità radicata nell’era delle riforme e dell’apertura, e i politici cinesi parlano spesso di “camminare su due gambe”: una è lo sviluppo interno, l’altra la cooperazione internazionale. Questo duplice approccio è stato evidente nell’evoluzione della politica tecnologica cinese, al di là dell’industria dei chip.

Le considerazioni geopolitiche e l’interdipendenza globale

Le relazioni della Cina con le principali potenze dei semiconduttori plasmano l’integrazione dell’industria globale. La rivalità tra Cina e Stati Uniti ha portato a un parziale disaccoppiamento, con controlli sulle esportazioni che limitano l’accesso della Cina ai chip avanzati, mentre aziende americane come Qualcomm e Applied Materials realizzano ricavi significativi in Cina.

Taiwan, tramite TSMC, rimane un nodo cruciale, producendo il 90% dei chip più avanzati al mondo. Ma i rischi geopolitici potrebbero interrompere le catene di approvvigionamento, potenzialmente destabilizzando l’economia globale.

Sebbene Giappone e Corea del Sud tendano ad allinearsi alle politiche degli Stati Uniti, entrambi mantengono importanti legami commerciali con la Cina a causa della forte interdipendenza economica, con aziende sudcoreane come Samsung e SK Hynix che gestiscono stabilimenti in Cina.

L’Europa adotta una via di mezzo (o vi rimane intrappolata), limitando gli strumenti di fascia alta ma mantenendo il commercio di tecnologie mature. Infatti, l’amministratore delegato di ASML ha avvertito che il disaccoppiamento potrebbe ritorcersi contro.

Le implicazioni globali dell’industria dei semiconduttori sono profonde e in crescita. Le potenze consolidate ed emergenti del settore stanno adeguando le proprie strategie in risposta all’incertezza del contesto: gli Stati Uniti stanno investendo internamente e tramite alleati; Corea del Sud e Taiwan stanno diversificando i siti produttivi; ed Europa e Giappone si stanno proteggendo con iniziative proprie.

Molti paesi del Sud del mondo stanno osservando attentamente la situazione, poiché l’esito determinerà il loro accesso alle tecnologie avanzate e il loro ruolo nella riorganizzazione delle catene di approvvigionamento.

Come dimostra la storia, il disaccoppiamento tecnologico non è una proposta unilaterale. Mentre la Cina corre per ridurre la dipendenza dagli Stati Uniti, questi ultimi e altri paesi stanno anche cercando di ridurre la propria dipendenza dalla Cina (per scala produttiva, materie prime rare e così via).

La Cina rafforza i legami con i mercati emergenti attraverso iniziative come la Belt and Road Initiative, posizionandosi come partner per lo sviluppo dei semiconduttori in regioni come l’Africa e il Sud-est asiatico. Paesi come India e Vietnam, corteggiati dagli Stati Uniti come alternative, potrebbero competere o integrare gli sforzi della Cina, a seconda dei cambiamenti geopolitici.

Il potenziale per un mercato globale biforcato incombe. Ma per la Cina e il resto del mondo, l’interdipendenza costruita dalla fine degli anni ’70, in oltre 40 anni di globalizzazione, non può essere rapidamente annullata senza gravi conseguenze.

La Cina riuscirà a bilanciare la sua spinta verso l’autosufficienza tecnologica con i benefici dell’integrazione globale, o le pressioni geopolitiche spingeranno il paese verso un isolamento maggiore nel settore dei semiconduttori?

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