l'analisi

I microchip al centro delle politiche industriali: come si muovono Usa, Ue e Cina

La crisi dei chip spinge le maggiori potenze occidentali ad attivarsi per riconquistare il terreno perso di fronte al gigante asiatico: gli Usa con il Chips for America Act, la Ue con un piano per riportare la propria quota al 20% della produzione globale per il 2030. Facciamo il punto sulle strategie, anche dell’Italia

Pubblicato il 31 Dic 2021

Mario Dal Co

Economista e manager, già direttore dell’Agenzia per l’innovazione

chip stm

Negli Stati Uniti, in Europa e in Cina la crisi dei semiconduttori, memorie e processori, ha causato un risveglio di attenzione politica sul settore. Non solo i servizi e l’hardware delle apparecchiature di rete, ma anche auto, elettrodomestici, edilizia e impianti, per non parlare di trasporti e logistica, hanno un contenuto di chip tale che la loro produzione e il loro normale funzionamento richiedono un flusso costante di prodotti tecnologicamente sempre più aggiornati.

Se l’amministrazione americana si sta muovendo sulla scia della preoccupazione legata alla perdita di quote della capacità produttiva mondiale, analogo e più grave discorso va fatto per l’Europa, che non ha neppure la consolazione di poter contare sulla capacità di progettazione logica e tecnologica dei processori. Qui sono ancora gli Stati Uniti a detenere la maggiore quota di attività, ma sia la Cina sia l’Asia, con Corea e Taiwan, stanno facendo passi da gigante nella progettazione.

E, in tutto questo, come è messa l’Italia? Il nostro Paese ha una strategia per rispondere a questa crisi?

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La catena di produzione dei chip e le ragioni della crisi

Per comprendere le leve che stanno spingendo le azioni delle maggiori potenze sullo scacchiere geopolitico globale, occorre ripercorrere brevemente le caratteristiche della catena di produzione, dal design alla fonderia finale che realizza i chip, che si è sviluppata negli anni di questo secolo con una forte specializzazione: le fasi del ciclo si sono radicate in diversi paesi, la progettazione prevalentemente negli USA, la realizzazione delle incisioni e la fusione dei wafer prevalentemente in Asia e soprattutto a Taiwan, il montaggio sulle schede in Cina e in altri paesi asiatici. Questo modello globale di specializzazione è posto in discussione per due ragioni: la crisi delle relazioni tra paesi occidentali, soprattutto Stati Uniti e Cina e il disordine portato dal Covid nella supply chain.

Il Covid non ha disarticolato soltanto l’offerta, ma ha anche investito la domanda, provocando un boom della richiesta di connessioni e di terminali updated, estendendo l’uso dell’e-commerce e di tutte le attività on line e quindi spingendo lo sviluppo delle infrastrutture connesse (data center, cloud computing, infrastrutture 4 e 5G).

Ne hanno risentito i tempi di consegna e i prezzi dei semiconduttori.

Come dimostra la tabella 1, il 2021 sarà un anno di vero boom della vendita di semiconduttori, con una variazione di un terzo in più tra settembre ‘21 e settembre ‘20, gli ultimi anni con dati disponibili. Anche le stime per l’intero anno in corso e per il 2022 attestano oltre un terzo in più rispetto al 2020, anno che era cresciuto “soltanto” del 7% rispetto al 2019.

Tabella 1. Fatturato per semiconduttori a livello mondiale[1].

Vendite mese su mese
mercatiAgosto 2020Settembre 2021Variazione %
Americhe10.3010.703.9%
Europa3.934.012.0%
Giappone3.753.822.0%
Cina16.4816.721.5%
Asia restante12.7813.021.9%
Totale47.2448.282.2%
Vendite anno su anno
mercatiSettembre 2020Settembre 2021Variazione %
Americhe8.0210.7033.5%
Europa3.034.0132.3%
Giappone3.073.8224.5%
Cina13.4816.7224.0%
Asia restante10.2413.0227.2%
Totale37.8448.2827.6%

Questo boom della domanda di processori non ha avuto, fino ad ora, effetti drammatici sui prezzi: essi hanno cominciato a salire, dopo anni di riduzioni, proprio a partire dalla esplosione del Covid, come dimostra il grafico che segue, dove, dopo decenni di discesa dei prezzi, si assiste a una battuta d’arresto nel 2019, a un’ulteriore caduta nella prima fase della pandemia fino all’autunno del 2020, quando è iniziata una risalita dei prezzi che sta continuando ancor oggi.

Timori per la perdita della supremazia tecnologica

In particolare, è il grafico seguente che mette in crisi il decisore politico americano e giustifica le mosse decise a favore dell’industria nazionale compiute dall’amministrazione americana con il Chips for America Act, avviato in maniera bipartisan nel 2020, inserito nel 2021 nella legge per l’autorizzazione alla difesa (NDAA) che autorizza investimenti pubblici nella difesa e nelle ricerche strategiche, e che attende ora la sua imponente dotazione di fondi federali.

Se la capacità di ricerca e progettazione è ancora saldamente in mano americana, la perdita di capacità produttiva sui processori più avanzati, quelli che hanno circuiti di spessore inferiore ai 10 nanometri (nm), prefigura uno sviluppo molto sfavorevole a livello mondiale.

Infatti, Taiwan detiene il 92% delle quote mondiali e la Corea il restante 8% della capacità di questo specifico segmento. Segmento in cui si svolge il principale confronto competitivo per la supremazia nel mercato, poiché sono questi i processori più avanzati sia per le performance di velocità sia per quelle di consumo. Ricordiamo che la riduzione dei consumi elettrici è uno dei fronti su cui si misura la qualità dei nuovi terminali mobili, poiché bassi consumi assicurano maggiore durata alla carica delle batterie a parità di prestazioni e minor peso complessivo del terminale stesso.

La figura seguente indica come la divisione internazionale del lavoro nel settore dei semiconduttori abbia prodotto il paradosso che i tre principali attori globali che si contendono la supremazia tecnologica, USA, Europa e Cina, siano del tutto assenti nella produzione dei chip a maggiore valore aggiunto e di maggiore valore strategico, ossia quelli con connessioni inferiori ai 10 nm.

Il Chips for America Act

La legge per incentivare la produzione dei chip negli Stati Uniti deve ancora ricevere completa attuazione attraverso i fondi che il Congresso deve stanziare, sulle basi delle indicazioni del governo federale.

Secondo le analisi dell’Associazione dei Produttori di Semiconduttori (SIA), che conduce una lobby stringente su questo fronte, tra il 40% e il 70% del maggior costo degli investimenti in ricerca negli Stati Uniti, è spiegabile in ragione dei minori incentivi garantiti dal governo americano rispetto a quelli di Cina, Taiwan, Singapore e di altri stati con maggiore presenza di industria dei semiconduttori [2].

Le previsioni dello studio citato indicano che, senza interventi, la capacità di attrazione di nuovi investimenti degli Stati Uniti si colloca intorno al 6% per il periodo 2020-2030, in discesa rispetto al 10 % attuale.

Come si vede dal grafico che segue, senza interventi la capacità produttiva degli Stati Uniti e ancor più quella dell’Europa, si riducono in termini relativi.

Gli Stati Uniti avrebbero un incremento atteso medio per anno (CAGR) del 3% dal 2020 al 2030, contro il 4,6 mondiale. L’Europa avrebbe un andamento analogo, mentre sarebbero meglio posizionate le altre nazioni asiatiche, con quote solo leggermente decrescenti a fronte dell’imponente crescita della quota cinese, dal 15% al 24%.

Con il programma di incentivi attraverso i crediti di imposta, l’attrattività in termini di nuovi investimenti da parte degli Stati Uniti aumenterebbe in modo significativo, portando la quota americana al 24%, ponendo comunque il paese in seconda posizione dopo la Cina. Gli incentivi dovrebbero consentire, secondo l’analisi proposta nel documento, la creazione di 19 nuovi stabilimenti negli Stati Uniti, con un incremento della capacità produttiva del 57% e la creazione di 70.000 posti di lavoro diretti nel settore.

La situazione in Europa

L’Europa è l’area che ha perso di più nella redistribuzione delle quote di produzione globale. Essa non ha più una posizione rilevante nella progettazione e nella ricerca, dove gli Stati Uniti mantengono la leadership.

La Commissione intende introdurre una propria versione del Chips Act, per riportare la quota europea al 20% della produzione globale per il 2030. Mentre prepara questo intervento, la Commissione cambia l’approccio agli aiuti di stato in tema di semiconduttori, giustificando l’eccezione con ragioni strategiche e di urgenza: la scarsità di disponibilità di prodotti, ormai necessari per la produzione e distribuzione dei beni primari rende questo settore critico per la sicurezza europea in un momento delicato come quello della pandemia[3] .

Intanto i paesi europei si contendono gli investimenti, come Francia e Germania, prime candidate per gli insediamenti che Intel promette di fare con importanti investimenti in Europa per 80 miliardi di euro nel prossimo decennio.

Cosa fa l’Italia

Il governo italiano, sulla base delle indicazioni della Commissione, interviene in modo più deciso per far valere clausole di golden power negli acquisti (soprattutto da parte cinese) di produttori nazionali. Questo è stato il caso della azienda Lpe Spa che doveva essere acquisita al 70% dalla Shenzhen Investment Holdings, ma il governo a marzo di quest’anno ha invocato i poteri del golden power conferitigli dalla norma (legge 56/2012) che protegge i settori strategici per la difesa e la sicurezza nazionale dalla possibile uscita dal perimetro controllato da operatori nazionali. Il più recente intervento del governo è sulla filiale italiana della Applied Material, società americana che ha ricevuto un’offerta di acquisto da parte cinese dalla Zhejiang Jingsheng Mechanical, azienda di componenti di microchip.

L’attivismo del governo gode del favore della Commissione che ha bisogno di prendere tempo per predisporre il Chips Act europeo e serve sicuramente a dare un segnale sia verso l’America, che s preoccupa della fuga di tecnologie verso Pechino, sia verso Pechino per scoraggiare lo shopping cinese delle aziende italiane.

Ma l’esercizio del golden power non rappresenta una strategia: fino ad oggi dal 2012 la legge sul golden power è stata applicata poche volte e sempre per aziende di dimensioni medie.

Sono queste dimensioni che hanno maggiore bisogno di capitali: la quotazione in borsa non sempre avviene per tempo e le aziende di origine familiare spesso si trovano il passaggio generazionale impreparate per le sfide di mercato globali altamente dinamici, come quello dei semiconduttori.

É sulla capitalizzazione delle aziende che occorre fare leva, se si vuole rafforzare il settore, mentre il golden power è uno strumento che, se usato di regola, finisce con disincentivare proprio gli investimenti di cui il settore ha bisogno.

Note

  1. ) Fonte: World Semiconductor Trade Statistics (WSTS).
  2. ) Antonia Varas, Raj Varadrajan, Jimmy Goordrich, Falh Yinug, Government Incentives and US Competitivness in Semiconductor Manufacturing, SIA-BCG, September 2020, https://www.semiconductors.org/wp-content/uploads/2020/09/Government-Incentives-and-US-Competitiveness-in-Semiconductor-Manufacturing-Sep-2020.pdf
  3. ) Sabine Siebold, Philips Blenkinshop, EU looking to relax rules to allow funding of cutting edge chip plants, Reuters, November 18, 2021.

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