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IA e lavoro, più produttività ma anche più disuguaglianze: lo scenario



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La società di analisi Idc prevede che ogni nuovo dollaro investito in soluzioni e servizi di IA per le imprese genererà 4,60 dollari nell’economia globale nel 2030. Ecco gli studi ottimisti sull’impatto dell’IA nell’economia e nel lavoro a firma di McKinsey, Goldman Sachs e Bain & Capital. Più scettici gli esperti sul futuro delle professioni

Pubblicato il 12 nov 2024

Mirella Castigli

ScenariDigitali.info



L'impatto dell'IA nell’economia e nel lavoro: più produttività, ma anche più disuglianze

Il Pil italiano è tornato allo “zero virgola” (+0,7% quest’anno e poi +0,8% secondo il Fmi), la crescita da prefisso telefonico che ha caratterizzato gli ultimi decenni, nonostante il generoso PNRR europeo (senza il quale saremmo forse già in recessione o quasi). Invece l’economia globale compie un balzo in avanti del 3,2% nel 2024 e nel 2025.

Ferma al palo è la produttività tricolore, come è stagnante da decenni, mentre nel resto delle economie occidentali gli investimenti in innovazione digitale hanno sempre sprigionato aumenti rilevanti della produttività.

The economic potential of generative AI: The next productivity frontier

A promettere di imprimere una forte spinta alla produttività, anche se finora i risultati sono controversi, sono intelligenza artificiale (IA) ed automazione. “Importante è l’aumento della produttività, però comunque l’AI che ha tante sfaccettature”, commenta Sandro Trento, professore di Economia e Management dell’Università di Trento, già direttore responsabile del Centro Studi Confindustria: “Alcuni studi dicono che l’intelligenza artificiale sprigionerà maggiore competitività e produttività. Però ci sono anche i contro”.

Nuovi studi permettono di fare il punto sull’impatto dell’intelligenza artificiale nell’ambito dell’economia e del lavoro. Ecco i risultati.

Gli studi

Le ricerche, che si riferiscono all’intelligenza artificiale nel complesso, non solo all’IA generativa (tipo ChatGpt), sono numerose. L’IA è trasversale ed impatterà settori quali settore informatico, farmaceutico e sanitario, trasporti e mobilità, aerospazio, agri-food eccetera.

“Questo strumento farà accrescere l’efficienza delle delle aziende, ridurre i costi e consentirà di incrementare la qualità dei prodotti e dei servizi, permettendo anche una riorganizzazione proprio della creatività. Quindi in questo senso è una di quelle tecnologie definite trasversali”, conferma Sandro Trento.

I dati sono complessivamente positivi. Le ricerche sono permeate di un cauto ottimismo, ma si teme al contempo l’insorgere di due fenomeni.

La prima preoccupazione è che la crescita indotta dall’IA possa vedere emergere pochi vincitori, lasciando invece sul terreno tanti vinti. L’aumento delle disuguaglianze potrebbe essere, almeno nel breve termine, un effetto importante.

Però altri studi prevedono attualmente un impatto minimo dell’IA. Forse siamo infatti ancora solo agli albori del ciclo di integrazione dell’IA nella nostra economia per vedere effetti davvero significativi, nel bene (l’aumento della produttività) e nel male (sul fronte della disoccupazione).

“L’AI si diffonde in tutto il sistema produttivo e ha una ricaduta di tipo anche organizzativo. Non tutte le tecnologie hanno questo aspetto ovvero di essere capaci di modificare l’organizzazione aziendale”, sottolinea Trento: “Quindi sicuramente va salutata come una una tappa importante di innovazione. La mia preoccupazione riguarda l’impatto sulle professioni“.

La ricerca di Idc

La società di analisi Idc, a settembre ha rilasciato un report secondo cui stima che l’IA produrrà una crescita dell’economia globale già di 1,2 mila miliardi nel 2024, per salire a un aumento di 4,9 mila miliardi di dollari nel 2030. Secondo queste previsioni, l’IA (come spesa diretta, ricavi aziendali, ma anche budget per hardware e processori), potrebbe diventare un mercato che vale il 3,5% del Pil globale.

Nella spesa indiretta, il colosso delle previsioni di mercato include ciò che serve per creare datacenter, l’energia necessaria per i centri dati energivori e i posti di lavoro, oltre ai guadagni che derivano dall’efficienza e dai ricavi frutto dell’implementazione dell’IA. La spesa indotta invece è l’attività economica aggiuntiva di coloro che sono impiegati nel settore dell’IA o che si avantaggiano dei progressi dell’IA.

Idc prevede che, comprendendo la spesa indiretta e indotta, ogni nuovo dollaro investito in soluzioni e servizi di IA per le imprese genererà 4,60 dollari nell’economia globale nel 2030.

Gli studi di McKinsey e Goldman Sachs

Anche Goldman Sachs stima che gli strumenti che sfruttano gli LLM, che fanno il loro ingresso in azienda e in società, provocano un incremento del 7% del Pil globale, fino a sfiorare i 7mila miliardi di dollari.

McKinsey prevede che l’IA generativa possa apportare tra i 2,6 e i 4,4 mila miliardi di dollari all’economia annuale. L’impatto si attesterebbe al 15-40%. Nel settore tecnologico, nell’arena dei media e delle Tlc, si stima che l’intelligenza artificiale produrrà un effetto tra i 380 e i 690 miliardi di dollari.

La stima spazia da 60 a 100 miliardi di dollari nelle telecomunicazioni, da 80 a 130 miliardi di dollari nei media e da 240 a 460 miliardi di dollari nell’alta tecnologia. “Entro i prossimi tre anni tutto ciò che non è collegato all’IA potrebbe essere visto obsoleto o inefficace”, spiega McKinsey.

Lo scenario italiano

In Italia, soltanto l’IA generativa potrà produrre un’impennata dell’economia italiana nei prossimi 15 anni fino a 312 miliardi di euro di valore aggiunto all’anno. La crescita potrebbe essere fino al 18,2% del Pil, secondo TEHA Group (The European House Ambrosetti), una ricerca in collaborazione con Microsoft Italia.

Lo scetticismo del Mit e di Goldman Sachs

Nei mesi scorsi Goldman Sachs ha pubblicato una ricerca che esprimeva perplessità su un ritorno degli investimenti in AI da parte delle aziende rispetto alle spese sostenute. Secondo l’analista Jim Covello, è vero che l’intelligenza artificiale generativa sa sintetizzare contenuti testuali e scrivere codice, ma, fra allucinazioni ed errori, è normale nutrire dubbi sulla sua reale capacità di risolvere problemi complessi. Prima di misurare un impatto positivo su economia e produttività, trascorreranno anni.

Anche in una ricerca del Mit del 2024, l’economista Daron Acemoglu ha affermato che, dai dati combinati con la teoria economica dell’aggregazione, emerge soltanto un impatto moderato dell’ordine dello 0,1% all’anno, sulla produttività e sulla crescita del Pil.

L’impatto dell’IA su economia e lavoro

Attualmente un terzo delle aziende europee ha adottato l’IA. La crescita è pari al 32% rispetto al 2023. A questo ritmo, l’intelligenza artificiale potrebbe apportare 600 miliardi di euro di valore aggiunto lordo all’economia del vecchio continente entro il 2030. Lo stima un report di Strand Partners, commissionato da Amazon Web Services (Aws). L’impatto economico dell’implementazione dell’IA potrebbe salire a 3,4 mila miliardi di euro in Europa entro il 2030.

Secondo Bain & Company, inoltre, nell’arco del prossimo biennio, i risparmi, frutto dall’innovazione, dovrebbero ammontare fra il 10-15% tali da generare un incremento della competitività trasversale su tutte le attività aziendali.

Ma se la maggior parte degli studi sono ottimistici, non mancano le criticità. Secondo i Cfo, riuniti in occasione della 46esima edizione dell’Andaf, la principale problematica consiste nel reperire risorse.

Il delisting del 20% delle società da Wall Street nel corso degli ultimi anni testimonia che la soluzione, ovvero il reperimento di capitali, risiede nel venture capital. In Italia solo il ramo dedicato all’AI del venture capital di Cdp ha stanziato un miliardo di euro per finanziare l”IA’intelligenza artificiale. Ma, in questo ambito, l’Italia sconta i suoi tradizionali ritardi. Nel nostro Paese si investe infatti appena lo 0,07% in venture capital, contro lo 0,3% in Europa e il 3-4% degli Usa.

E in queste cifre si scorge la differenza dell’Europa e degli Stati Uniti che, proprio sull’AI, stanno seguendo strade molto diverse. “L’Europa sta facendo prima le regole del mercato: prima regolamentiamo e poi sviluppiamo l’intelligenza artificiale. Intanto gli USA la fanno sviluppare quasi in assenza di regole e poi forse un giorno faranno le regole. Infatti sono più avanti. Stati Uniti e Cina competereranno, invece l’Europa sarà in ritardo”.

L’altro aspetto riguarda l’impatto dell’IA sul mondo dell’economia e del lavoro. “Da sempre ci sono gli economisti ottimisti e gli scettici: nulla di nuovo sotto il sole”, evidenzia Sandro Trento. “Molti economista affermano che quello che si distrugge in un settore, verrà creato altrove. Per alcuni secoli i cavalli venivano usati in maniera massiccia: per il trasporto, le guerre, l’agricoltura e così via. A partire dall’elettrificazione, quindi parliamo del ventennio post 1910, è finita l’epoca di cavalli. Praticamente i cavalli non servono più, quindi invece delle carrozze ci sono i tram, i treni, poi le auto. Con i treni, non sono più stati utilizzati i cavalli fuori dalle attività ricreative”.

Pro e contro: il rischio di disoccupazione tecnologica

L’altra criticità riguarda l’impatto sul lavoro. “Un tempo l’approccio consisteva nel cercare le professioni che sarebbero state rimpiazzate dalle macchine, dai robot e dall’intelligenza artificiale, e l’approccio tradizionale era quello di ragionare in termini di ripetitività”, evidenzia il professor Trento: “In passato si diceva che le professioni intellettuali fossero protette, mentre le professioni più manuali fossero quelle più a rischio. Oggi, in vece, l’AI generativa punta a rimpiazzare anche le professioni di tipo intellettuali, dai giornalisti ai chirurghi, dai musicisti agli artisti. Il rischio è quello di una disoccupazione tecnologica dove algoritmi potrebbero sostituire l’uomo in qualunque attività anche le attività, comprese quelle di tipo artistico che in passato si consideravano protette”.

Il potenziale di applicazione di questi strumenti è enorme. “Questi algoritmi che, da una parte, sicuramente ridurranno le inefficienze, miglioreranno la qualità a dei prodotti dei servizi. Quindi, sotto questo aspetto, svolgeranno una funzione di aumento della crescita. Ma dall’altro lato piatto dall’altro lato della bilancia, rischiano di creare una disoccupazione importante”.

Allora la questione riguarda i tempi. “In passato le rivoluzioni tecnologiche si diffondevano con una velocità relativamente bassa e quindi c’era il tempo di immaginare che le persone espulse da un settore, avevano il tempo di essere riqualificate per lavorare altrove. Il passaggio dall’agricoltura all’industria è avvenuto in millenni. Dalla macchina a vapore alle macchine elettriche si è accorciato. Oggi la velocità invece è talmente alta che questo processo di riconversione dei lavoratori degli impiegati è molto difficile. I tempi sono la prima questione”.

Il capitale umano

La seconda questione riguarda il capitale umano. “Questo tipo di tecnologia si associa a una richiesta di qualificazione molto alta. In passato abbiamo avuto abbiamo avuto momenti storici nei quali le tecnologie si associavano a un processo quasi di dequalificazione del lavoro umano. Pensiamo alla catena di montaggio. Questo tipo di rivoluzione tecnologica invece funziona nella misura in cui le persone sono molto qualificate. Anzi i requisiti di qualificazione crescono. Ma come troviamo lavoro a centinaia di migliaia di persone che sono tutte a metà della loro carriera professionale?”, si domanda Sandro Trento. “Macchine sofisticate richiedono competenze, anche matematiche, molto elevate”.

Ma c’è una terza considerazione da fare. “Di solito si dice che se si distruggono posti di lavoro in alcuni settori, ma se ne creano altri in prodotti, servizi e tecnologie nuove. In passato, le carrozze vengono rimpiazzate dalle ferrovie. Ma oggi le aziende di alta tecnologia più competitive importanti in settori della frontiera tecnologica, come Google, creano un po’ un numero di posti di lavoro, rispetto ai posti di lavoro creati dalle ferrovie rispetto alle carrozze, e poi dal mercato automobilistico in confronto a quest’ultime”.

“Prendiamo per esempio il gruppo Volkswagen che dà lavoro a circa mezzo milione di persone. Ma le aziende tecnologiche, pur avendo una capitalizzazione pari a nazioni ricchissime, richiedono una quantità di lavoro umano molto limitata”, mette in guardia Sandro Trento.

Altro elemento da considerare è il progresso veloce dell’AI. “Nella diagnostica medica, un medico normale vede un certo numero di casi, ma all’IA possono essere dati in pasto milioni di analisi che un uomo impiegherebbe anni per aggiornarsi. Non c’è un limite. Per questo non posso stabilire quali lavori sono protetti, perché la macchina non ragiona ma segue un percorso di ragionamento e di apprendimento che gli umani non sono in grado di seguire”.

Quindi “i tre fattori messi insieme sono abbastanza preoccupanti”, afferma Trento: “Nei prossimi anni potremmo immaginare la realizzazione di prodotti oggi inimmaginabili, però saranno prodotti e servizi che non creeranno tanti posti di lavoro come la Volkswagen. Se non interviene il legislatore, dunque la politica con i suoi strumenti, è difficile immaginare il futuro del lavoro“.

Occorre ragionare in termini un po’ diversi. “A una grande rivoluzione, di tipo tecnologico, deve forse seguirne una anche di tipo sociale. Si potrebbe ridurre, per esempio, il tempo di lavoro, tagliando gli orari di lavoro. Il maggior PIL prodotto dall’AI potrebbe essere distribuito con politiche economiche, in maniera diversa dal passato, liberando tempo libero per le persone“, ipotizza il professor Trento.

Gli studi sull’IA vedono l’IA come l’auspicio principale di sbloccare la produttività.
Il tasso di crescita della produttività del lavoro ha registrato un calo nelle economie Ocse di circa il 2% annuo tra gli anni ’70 e ’90, fino all’1% negli anni 2000. Invece, gli economisti di Stanford e del Mit hanno rilevato un aumento del 14% quando i lavoratori dei call center impiegano l’assistenza conversazionale dell’IA. Le prestazioni dei lavoratori inesperti e poco qualificati, in particolare, migliorano del 35%.

I progressi sono dunque sotto i nostri occhi. Ma dobbiamo rivedere alcune policy.
Il Fmi stima infatti che sfiora il 40% l’occupazione globale esposta all’IA. “In passato la preoccupazione dei governi era quella di creare posti di lavoro, quindi si cercavano politiche per il pieno impiego. Oggi potremmo immaginare che ci sarà un giorno in cui esisteranno politiche per il tempo libero. I governi per la prima volta nella storia potrebbero avere un ministero per il tempo libero. Questo potrebbe creare nuovi posti di lavoro a maggior intensità di lavoro umano. Serve una prospettiva nuova, un po’ futuristica”, avverte Sandro Trento.

Sarà necessario “trovare attività che le persone svolgono in assenza di lavoro. Il famoso reddito di cittadinanza, in un futuro non tanto lontano, potrebbe essere riprogettato. Al momento della nascita ciascuna persona potrebbe ricevere un fondo che via via si alimenta: il fondo potrebbe servire per lo studio, per una formazione continua”, conclude il professor Trento.

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