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Marketing e IA: perché i giovani temono la tecnologia e i senior no



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L’intelligenza artificiale trasforma il marketing creando un divario tra generazioni. I senior vedono l’IA come alleato strategico, mentre i junior la temono come possibile sostituto. I professionisti, insomma, la utilizzano, ma con percezioni diverse

Pubblicato il 18 dic 2025

Beatrice Agostinacchio

Managing Director Italy & Spain di Hotwire



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Qual è il ruolo dell’IA nel marketing? Rappresenta soltanto uno strumento a supporto dei brand o sta acquisendo progressivamente spazio nei processi decisionali? Qual è il percepito dei professionisti del settore a riguardo? E chi si sente davvero pronto a sfruttarne il potenziale?

Per cercare di rispondere a queste e molte altre domande, Hotwire e ROI DNA hanno condotto un’indagine in collaborazione con il think tank internazionale The House of Beautiful Business. I dati raccolti mostrano differenze significative tra generazioni e livelli di seniority, oltre a delineare le nuove sfide per le aziende e i brand.

Senior sicuri, junior diffidenti: il divario generazionale

Uno dei risultati più sorprendenti dello studio riguarda il livello di familiarità e fiducia nell’uso dell’IA. Secondo la ricerca, infatti, i profili più senior si dichiarano molto più a loro agio con l’IA rispetto ai colleghi junior: il 76% dei leader afferma di sentirsi sicuro nell’utilizzo di questa tecnologia, contro appena il 43% dei più giovani.

Questa differenza può essere spiegata da vari fattori. In primis, i professionisti con maggiore esperienza sono spesso coinvolti nella definizione delle strategie e nell’implementazione dei progetti e pertanto sono più portati a percepire l’IA come un alleato che può contribuire ad amplificare la propria capacità decisionale. I giovani, invece, vedono la tecnologia come una possibile minaccia: molte aziende, infatti, considerano le figure più junior e le mansioni correlate quelle più facilmente sostituibili dall’automazione e questo alimenta in loro un senso di vulnerabilità.

L’adozione diffusa dell’IA tra i professionisti

Nonostante queste discrepanze, non c’è dubbio su un aspetto: l’adozione dell’IA è già una realtà consolidata nel settore del marketing e della comunicazione, considerato che il 100% degli intervistati dichiara di utilizzare l’IA sul lavoro e il 69% lo fa con regolarità. Tuttavia, il modo in cui questa tecnologia viene impiegata e il grado di fiducia riposto in essa variano notevolmente.

Dall’assistente al collega: la percezione mutevole dell’IA

Un altro dato significativo riguarda la percezione del ruolo dell’IA. Infatti, se il 63% dei professionisti interpellati la definisce ancora un “supporto” o un “assistente“, oltre un terzo la considera qualcosa di diverso: il 21% la definirebbe come un “collega” e il 14% addirittura come un “decisore“.

La prospettiva di delegare decisioni alle macchine è ancora lontana, ma non irrealistica. Attualmente, la maggior parte delle aziende concede agli agenti basati sull’IA un’autonomia limitata e per buone ragioni, dal momento che gli errori, i bias e le conclusioni imprecise sono ancora frequenti. Le esperienze finora mostrano che, pur riducendo i tempi operativi in modo significativo, gli agenti AI richiedono ancora un controllo umano attento per la preparazione dei dati, nonché la verifica e successiva correzione di errori o conclusioni imprecise.

I rischi dell’autonomia: tra engagement e disinformazione

Inoltre, il tema della supervisione si lega a un rischio significativo emerso da un recente studio di Stanford, secondo il quale l’impiego di agenti AI ottimizzati per massimizzare l’engagement sui social media aumenta la probabilità di generare contenuti falsi o inaccurati fino al 188%. Nonostante questo, la diffusione degli agenti autonomi non sembra destinata a rallentare, poiché aziende e sviluppatori prevedono di ottenere dalla tecnologia un valore molto superiore rispetto a quello attuale.

Manager artificiali: scenari e implicazioni etiche

Un ulteriore spunto di riflessione riguarda la propensione ad attribuire all’IA funzioni tipicamente manageriali. Se è prevedibile che l’86% degli intervistati si dichiari a proprio agio nel gestire un “dipendente” IA, sorprende che il 43% accetti l’idea di essere gestito da una macchina. Una percentuale elevata, che indica come per molti il problema non sia “se” l’IA avrà un ruolo di leadership, ma “quando” e “in che forma”.

Tale orientamento apre scenari complessi: come si definiranno le responsabilità in caso di errore? Quali saranno le implicazioni etiche e legali? In questo contesto la governance dell’IA diventerà un tema centrale, non solo per le aziende tecnologiche, ma per tutte le organizzazioni che intendono integrare agenti autonomi nei processi decisionali.

Generative Engine Optimisation: la nuova frontiera della visibilità

La ricerca affronta anche un tema cruciale per il marketing, ovvero l’impatto dell’IA sulla visibilità dei brand. Il 60% dei professionisti monitora già cosa dicono i chatbot IA relativamente al proprio business. E non è un caso: ChatGPT è tra i dieci siti più visitati al mondo, Perplexity gestisce oltre 100 milioni di query a settimana, e secondo Andreessen Horowitz il 60% dei consumatori statunitensi ha utilizzato un chatbot IA per informarsi o prendere una decisione di acquisto.

Questa evoluzione cambia le regole del gioco. Infatti, la ricerca AI non è come quella condotta sui tradizionali motori di ricerca: è un sistema che risponde e suggerisce e sempre più gli utenti si fidano della risposta ottenuta senza approfondire cliccando sui link di supporto. Nasce così la Generative Engine Optimisation (GEO), ovvero l’ottimizzazione dei contenuti per i modelli di intelligenza artificiale generativa. Oggi quindi non basta più essere primi su Google: occorre essere compresi e “citati” dall’IA.

Le analisi condotte mostrano pattern sorprendenti: a volte una testata di nicchia ha la capacità di influenzare più di un media prestigioso e la sovrapposizione tra risultati Google e risposte IA può essere inferiore al 5%. Questo impone una riflessione strategica: come garantire che il brand sia presente e correttamente rappresentato nelle risposte fornite dall’IA?

Il futuro dell’IA nel marketing: tra opportunità e responsabilità

Al momento l’IA è soprattutto un assistente. Le decisioni restano umane, perché le macchine sbagliano e mancano di giudizio, sfumature e responsabilità. Ma l’autonomia è la prossima frontiera e con essa arriveranno sfide pratiche, tecniche, etiche e di governance.

Una certezza c’è: la ricerca online sarà ridefinita e i brand dovranno ripensare come farsi trovare e comprendere. In questo scenario, chi lavora nella comunicazione e nel marketing ha una responsabilità enorme: contribuire a definire l’uso dell’IA in modo consapevole e sostenibile.

Le scelte che vengono compiute oggi determineranno l’impatto dell’IA sul lavoro, sulle aziende e sull’intero settore nei prossimi anni. Non è solo una questione tecnologica: è una questione di cultura, fiducia e leadership. Prepararsi significa investire in formazione, aggiornare le competenze e sviluppare strategie che tengano conto non solo delle opportunità, ma anche dei rischi. Perché l’IA non è più un tema futuristico: è già qui e sta cambiando il modo in cui si comunica, si decide e si compete.

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