Il ritorno di Trump alla casa Bianca ha riacceso il dibattito sulle criptovalute, in particolare sugli stablecoin legati alla valuta statunitense, e con esso il timore che esse possano limitare la sovranità monetaria dei singoli stati, con preoccupazioni condivise ai più alti livelli, incluso il nostro Ministro dell’economia e delle finanze.
Indice degli argomenti
Lo scenario globale delle monete digitali
In particolare, la possibilità di trasferire con facilità mezzi di pagamento, legati al dollaro USA quali gli stablecoin, secondo varie opinioni, potrebbe, infatti, condurre a indebolire gli strumenti delle autorità monetarie per agire sulle relative politiche sino a limitare i singoli stati nella propria capacità di collocamento del debito pubblico del quale gli Stati Uniti diverrebbero di fatto i monopolisti (gli stablecoin in USD infatti presuppongono il mantenimento da parte del relativo emittente di un adeguato sottostante in denaro contante oppure di titoli di debito a breve, nel nostro caso i treasury bond emessi dagli Stati Uniti).
La risposta a tale minaccia sarebbe, secondo anche la Banca centrale europea, l’introduzione dell’euro digitale: esso sarebbe, infatti, in grado di rispondere all’esigenza dei consumatori e, più in generale, gli operatori economici di avere mezzi rapidi e sicuri di pagamento, alienando così la simpatia per altri strumenti quali, appunto, gli stablecoin. Per i suoi sostenitori, inoltre, l’euro digitale consentirebbe un’infrastruttura di pagamento autonoma e indipendente, non soggetta a influenze esterne, alle quali potrebbero, in astratto, essere soggetti i sistemi di pagamento delle carte di credito, di fatto monopolio degli Stati Uniti d’America.
Paesi in via di sviluppo, emarginazione finanziaria e pagamenti digitali
In questo dibattito, può essere utile vedere come le monete digitali (CBDC – Central Bank Digital Currency) siano utilizzate in alcuni paesi in via di sviluppo e l’effettivo successo, anche se ovviamente l’ambiente di sperimentazione può avere delle peculiarità intrinseche tali da non consentire una semplice traslazione dei risultati.
Un dato comune ai paesi in via di sviluppo è (o almeno era, sino a pochissimi anni fa) costituito dall’elevata percentuale della popolazione che non usufruisce di servizi bancari o di pagamento. Una situazione in continua evoluzione con risultati che possono essere modificati o addirittura ribaltati in archi temporali assai ridotti e imprevedibili ex ante.
Si pensi ad esempio all’India, che sino al 2006 aveva più del 50% della popolazione esclusa dall’accesso al sistema bancario e quello dei pagamenti in genere e che già nel 2021 di fatto si era ridotta a meno di un 4% (fonte DATAINDIA).
Situazione non dissimile è quella dell’Africa subsahariana, dove, prendendo a riferimento quattro economie significative (Kenya, Mali, Senegal e Sud Africa), la percentuale della popolazione che usufruisce di servizi finanziari è più che raddoppiata dal 2011 al 2024 (fonte Banca Mondiale).
In questi stati, e in particolare in Kenya, la carenza di banche è stata soppiantata dall’utilizzo del mobile money, fornito dagli operatori telefonici che consentono di eseguire pagamenti senza l’apertura di un conto corrente bancario. Limitandosi al solo Kenya, la percentuale che ormai usufruisce dei servizi di pagamento è ormai prossima al 90% (fonte Banca Mondiale).
Di fatto, comunque, esistono ancora paesi che vedono molte persone emarginate dai servizi finanziari, spesso a causa delle vaste zone rurali e dei costi proibitivi delle banche, e dove, anche il FinTech non appare risolutivo, causa l’assenza di reti informatiche e telefoniche: un dato da considerare anche quando si pensa alle valute digitali, che appunto vivono nel mondo virtuale.
Vantaggi competitivi delle monete digitali
L’Indonesia ad esempio, nel 2021 aveva quasi il 50% della popolazione esclusa da servizi finanziari (fonte Banca Mondiale).
Laddove però le reti esistono, le criptovalute hanno incontrato il favore del pubblico, perché meno costose degli ordinari strumenti di pagamento offerti dai servizi bancari perchè consentono una certa protezione dall’inflazione. Se infatti è vero che alcune criptovalute si prestano a notevoli oscillazioni di valore, è pur vero che in molti paesi le valute nazionali sono esposte a livelli di inflazione elevatissimi. I pagamenti in criptovalute riescono inoltre anche a ridurre i costi di cambio, nelle operazioni transfrontaliere, laddove l’operazione di conversione tra valuta e criptovaluta e viceversa siano eseguite in prossimità del pagamento: in tali casi, infatti, il soggetto pagatore e il soggetto ricevente il pagamento sono esposti al rischio cambio nella stessa misura di ogni conversione di valute, ma pagano commissioni assai più ridotte.
Di fondo poi rimane la considerazione che, si tratti di criptovalute o di monete digitali, comunque, l’utilizzo è condizionato dall’esistenza di reti informatiche che possano assicurare l’infrastruttura sottostante, limitando di fatto il loro utilizzo alle aree coperte da tali reti.
Un aspetto ulteriore da considerare è che le CBDC scontano anche la fiducia degli utilizzatori nella relativa valuta e nelle competenti autorità.
Due casi sono emblematici.
Valute digitali, l’esempio della Nigeria con l’e-naira
Annunciata nel 2022 dall’allora presidente Muhammad Buhari la valuta digitale nigeriana è stata caratterizzata da una parabola senza particolari picchi e vita breve. I dati parlano da soli: dopo avere raggiunto in quasi un anno 10 milioni in dollari USA di transazioni, gli scambi appaiono ormai quasi inesistenti. Tra le varie cause conclamate, la difficoltà di avere soggetti disposti ad accettare i pagamenti in naira digitale (un poco come accade con le carte di credito che servono a poco se poi non trovi il negoziante che le accetta). Difficoltà sono state attribuite anche all’assenza di reti informatiche e telefoniche idonee, il timore delle frodi e il timore legato alla sorveglianza indiretta che i pagamenti digitali causano con il tracciamento delle operazioni
A poco sono serviti i tentativi del governo di darle supporto, limitando la circolazione della valuta fisica e osteggiando l’utilizzo delle criptovalute, attraverso l’arresto di funzionari di Binance e il processo per frode fiscale.
Di fatto un aspetto non sufficientemente considerato è stato quello del valore della valuta stessa e del suo deprezzamento legato all’inflazione (a maggio 2025, essa era al 23,71% – fonte Trading Economics): la forma digitale ha potuto ben poco rispetto alla ricerca di beni rifugio quali le sono considerate alcune criptovalute.
La Cina e l’e-yuan: esperimento di successo?
Sebbene la Cina, laddove considerata nella sua totalità, sia la potenza che contende il primato mondiale agli Stati Uniti d’America, se si guarda al reddito pro-capite, con una popolazione di circa 1,4 miliardi di persone e ampie zone rurali, può essere considerata ancora un paese in via di sviluppo.
La Cina ha lanciato la sua moneta digitale, l’eYuan, ormai da quasi 5 anni (i primi test sono partiti nel 2020), potendo contare su un ampio mercato interno largamente diretto dallo stato: i risultati non si sono fatti attendere, già a gennaio del 2022, 260 milioni di utenti avevano compiuto almeno una transazione in e-yuan. Nel 2023, le operazioni nella moneta digitale cinese avrebbero raggiunto, secondo il governatore della banca centrale, il valore complessivo di 250 miliardi di dollari USA (da notare che i dati che riguardano la moneta, come altre informazioni relative alla Cina, sono quelli vulgati dalle autorità e non corroborati da controlli indipendenti).
Come per l’e-naira, non mancano comunque timori in relazione al suo utilizzo, considerando che l’e-yuan (come le altre monete CBDC) è trasferito non attraverso una blockchain pura, ma in un distributed ledger gestito centralmente dall’istituto di emissione: in questo senso, l’utilizzo dell’e-yuan potrebbe diventare un ulteriore strumento di controllo del Grande Fratello cinese.
Allargando la riflessione oltre la Cina e la Nigeria, non si deve dimenticare che molto del successo delle criptovalute è legato alla gestione diffusa e decentrata delle medesime, in assenza di amministratori che possano influenzarne la circolazione: in altri termini, alla base delle criptovalute e del loro successo vi è la negazione stessa dei sistemi dirigistici che hanno sempre influenzato la creazione e la circolazione delle monete.
Un ulteriore aspetto da considerare quando si tende ad assimilare criptovalute e CBDC, dimenticando che i modi in cui esse circolano sono assai differenti nei fatti e nella percezione di chi le utilizza.
Quali prospettive pr le monete digitali nei paesi in via di sviluppo
Il quadro che emerge dai due esempi e comunque dall’ampia narrativa riportata anche nel blog dedicato al tema da parte del Fondo Monetario Internazionale evidenzia alcune luci sull’utilizzo delle valute digitali, ma anche ampie zone d’ombra in relazione alla sicurezza delle transazioni, agli aspetti relativi alla riservatezza, all’assenza (non dichiarata) di un quid pluris rispetto ad altri sistemi quali i pagamenti istantanei: significativo è il fatto che nello stesso blog quando sono rilevate difficoltà o possibili rischi, si scriva sempre che tali criticità possano essere superate se lo strumento è ben progettato (well designed) senza però svelare quale siano i criteri da seguire per assicurare lo specifico design e quindi il successo della valuta.
Rimane alla base un’idea di fondo: la molteplicità dei canali di pagamento è un valore di per sé. In questo le CBDC hanno un ruolo importante, si tratta però di capire se tale ruolo possa essere il principale, o semplicemente secondario.
La seconda opzione risponderebbe da sola al dubbio che l’euro digitale possa essere la risposta agli stablecoin di valute, ammesso e non concesso che essi rappresentino un’effettiva minaccia alla sovranità monetaria dei singoli stati.











