Tra il 2 e il 3 ottobre 2025 Apple ha rimosso dagli store l’app ICEBlock, usata per segnalazioni e mappature dal basso delle operazioni ICE, l’agenzia federale statunitense responsabile del controllo della sicurezza delle frontiere e dell’immigrazione; Google ha limitato download e distribuzione di strumenti analoghi; il 15 ottobre Meta ha oscurato una pagina/gruppo di Chicago dedicata al tracciamento degli agenti, su richiesta formale del Dipartimento di Giustizia.
La vicenda rappresenta un caso emblematico della mutazione in atto della censura digitale delle piattaforme: quando Apple, Google e Meta rimuovono applicazioni su sollecitazione governativa, non si limita un singolo contenuto ma si spegne l’intero circuito di comunicazione e controllo civico.
Si trasforma così la libertà di espressione in una concessione revocabile piuttosto che in un diritto garantito.
Indice degli argomenti
Il caso ICEblock e la “censura per interposta infrastruttura”
Le motivazioni ufficiali richiamano rischi per la sicurezza e violazioni delle policy contro danni coordinati; gli sviluppatori rivendicano finalità di accountability civica e tutela dei diritti informativi. Reuters, CBS e PBS confermano la sequenza con riferimenti all’interlocuzione governativa; Al Jazeera, Business Insider e The Guardian registrano la scelta di Apple e l’intervento dell’esecutivo; fonti locali descrivono l’azione sul gruppo di Chicago.
Questo avvio fattuale introduce una questione di rango costituzionale: l’infrastruttura privata della comunicazione digitale, in presenza di sollecitazioni governative, svolge una funzione materiale di limitazione dell’accesso allo spazio pubblico informativo.
La dinamica produce un effetto di “censura per interposta infrastruttura”: l’ordinamento evita lo scrutinio giudiziale tipico delle restrizioni statali dirette, mentre l’attore privato decide sull’esistenza stessa del canale di manifestazione e di controllo diffuso dell’azione amministrativa. L’accento non cade sul contenuto singolo, bensì sul potere di spegnimento del circuito. In tale potere si legge una traslazione della sovranità: dalla sede normativa alla sfera tecnica di chi governa l’architettura. Il diritto costituzionale della libertà di espressione, nella sua dimensione di garanzia per il dissenso politico e per la sorveglianza civica, richiede una base infrastrutturale stabile; la sottrazione della piattaforma riduce il bene protetto in radice, perché restringe il dominio di realtà in cui la libertà diventa esercizio effettivo.
Il nesso con il potere esecutivo e la funzione para-amministrativa
Il nesso con l’azione esecutiva appare centrale. La richiesta del Dipartimento di Giustizia produce una conformazione immediata della condotta di Meta; la contestuale pressione politica su Apple orienta la rimozione dell’app. La sfera privata assume così una fisionomia para-amministrativa: esegue, traduce in atti di gestione tecnica, realizza un interesse pubblicizzato come sicurezza degli operatori, mentre organizza la rete in senso conforme all’indirizzo governativo. La legittimazione di questo passaggio si appoggia su formule di policy interne e su nozioni elastiche di rischio; il risultato incide sulla distribuzione del potere nel mercato delle idee. Il criterio decisivo rimane l’accesso all’infrastruttura, non la qualità del discorso.
L’uguaglianza politica e la contro-sorveglianza democratica
La vicenda ICEBlock pone così un punto teorico decisivo: l’eguaglianza politica richiede parità di accesso agli strumenti che rendono verificabile l’azione del potere?
L’app istituisce una contro-sorveglianza diffusa, tipica delle democrazie costituzionali mature, in cui la collettività controlla i corpi amministrativi con pratiche di trasparenza dal basso. La rimozione sopprime il meccanismo di visibilità laterale e restituisce alla verticalità del comando l’ultima parola sulla circolazione delle informazioni operative. In questo scarto si consuma una perdita per l’ordine costituzionale: il conflitto leale tra poteri e cittadini, fonte di qualità decisionale, arretra a favore di un’amministrazione dell’informazione concentrata tra governo e piattaforme.
Nel caso americano, privo di obblighi simmetrici, la libertà rimane affidata a scelte aziendali influenzate da rapporti con il potere esecutivo. In quell’interstizio cresce un “consenso algoritmico”, non imposto per legge, ma costruito attraverso interruttori tecnici azionati in nome della sicurezza. La qualità costituzionale della sfera pubblica digitale dipende dalla possibilità di sottrarre tali interruttori all’opacità proprietaria e di assoggettarli a criteri di legalità, pubblicità e controllo giurisdizionale.
L’intreccio organico tra Big Tech e governo
La relazione tra le grandi piattaforme digitali e il potere esecutivo statunitense assume la forma di un intreccio organico, nel quale la distinzione tra autonomia privata e funzione pubblica perde consistenza sostanziale. L’origine di tale legame risiede nella struttura stessa dell’ecosistema digitale americano: un sistema privo di un diritto pubblico della comunicazione, dominato dall’autoregolazione industriale e dall’intervento episodico dell’amministrazione federale.
In questa cornice, le Big Tech più che subire vere imposizioni esterne, incorporano progressivamente l’orientamento politico come parametro di legittimità economica e reputazionale. L’esecutivo, consapevole della centralità infrastrutturale di tali soggetti, esercita un’influenza pervasiva attraverso canali informali, capaci di produrre risultati più incisivi della normazione. L’apparato politico ottiene disciplina senza coercizione e il privato tecnologico consolida la propria posizione come garante dell’ordine informativo.
Dalla neutralità alla content moderation politicizzata
La neutralità originaria delle piattaforme come spazi di libertà comunicativa si dissolve dentro un meccanismo di selezione funzionale. La logica della content moderation, in apparenza volta alla protezione degli utenti, diventa progressivamente strumento di conformazione agli indirizzi governativi. Ogni decisione di rimozione, oscuramento o limitazione della visibilità si inserisce in un sistema di allineamento reciproco tra potere e infrastruttura.
La sicurezza nazionale, la tutela dell’integrità elettorale, la prevenzione della disinformazione: ciascuna formula legittima una porzione del controllo politico sul linguaggio digitale. La piattaforma, per preservare il proprio ruolo centrale nel mercato globale, adotta il lessico e le priorità dell’esecutivo, traducendo in procedure tecniche la volontà politica. In questa traslazione, la libertà di parola perde la sua base istituzionale, perché la sua tutela non dipende più dalla Costituzione ma dalla policy interna dell’operatore tecnologico.
La continuità storica: dal Patriot Act al consenso algoritmico
Il percorso storico americano mostra la continuità di questo processo. Dopo l’11 settembre, il Patriot Act inaugurò un regime di cooperazione obbligatoria tra imprese e autorità federali, con un’estensione capillare della sorveglianza attraverso reti private. La logica dell’eccezione divenne regola di governo tecnologico. L’attuale alleanza tra piattaforme e potere politico riprende quella matrice, ma in una forma più sofisticata: la subordinazione non nasce dalla costrizione, ma dall’identificazione tra l’interesse nazionale e l’interesse corporativo. La democrazia liberale assume tratti di consenso algoritmico, nel quale la fiducia istituzionale si costruisce attraverso la continuità operativa dei sistemi di controllo informativo. Il modello cinese, spesso evocato come antitesi, fornisce in realtà un paradigma funzionale condiviso: la fusione tra efficienza tecnologica e finalità politica.
Il punto critico risiede nella normalizzazione della deferenza verso il potere, ove la subordinazione appare come metodo. L’infrastruttura digitale diventa parte dell’ordine amministrativo, ne assorbe il linguaggio e ne garantisce la durata attraverso la regolazione automatica delle condotte comunicative.
La retorica della sicurezza e la sorveglianza unilaterale
In questo quadrante concettuale si innesta il tema della sicurezza. O meglio della sorveglianza.
La retorica della sicurezza costituisce il linguaggio dominante attraverso cui il potere politico giustifica l’estensione illimitata della sorveglianza. In nome della prevenzione, ogni spazio di vita collettiva viene tradotto in dato, ogni interazione in informazione utile al controllo. L’idea di protezione assume così valore performativo: trasforma il cittadino in oggetto statistico e l’amministrazione in apparato di visione permanente. La tecnologia offre al potere la possibilità di osservare senza intervento diretto, e di organizzare la società secondo un principio di trasparenza unilaterale. La sicurezza diventa misura morale della fiducia, e la sorveglianza acquisisce una legittimazione quasi pedagogica.
L’esperienza di IceBlock introduce un’inversione di questa grammatica. L’applicazione consentiva una sorveglianza inversa, esercitata dal basso, in cui la collettività monitorava l’azione amministrativa. Tale rovesciamento ribadiva un principio fondativo del costituzionalismo democratico: l’autorità pubblica esiste sotto lo sguardo del cittadino, non il contrario. La soppressione di IceBlock interrompe questo movimento e ripristina la verticalità originaria del potere. Il monopolio dello sguardo torna allo Stato, ma con una differenza sostanziale: l’occhio pubblico agisce ora attraverso la cooperazione tecnica delle piattaforme. La sorveglianza si realizza in modo invisibile, diffuso, privo di responsabilità diretta, e la neutralità apparente della tecnologia copre la concentrazione effettiva del potere.
Il regime di osservazione asimmetrica
La logica del controllo condiviso, che avrebbe potuto generare forme di trasparenza reciproca, si trasforma in un regime di osservazione asimmetrica. Il cittadino fornisce dati, la piattaforma li organizza, lo Stato li interpreta. Da questa triangolazione nasce un sistema chiuso, in cui ogni flusso informativo percorre un’unica direzione. L’esperienza pandemica, con il tracciamento sanitario, ha consolidato tale schema: l’eccezione temporanea ha reso stabile l’idea di un corpo sociale interamente visibile. Le pratiche di predizione criminale e le classificazioni algoritmiche dei migranti completano il quadro di una società gestita attraverso previsioni, profilazioni e punteggi di affidabilità.
La questione giuridica più profonda riguarda la titolarità dello sguardo. Chi osserva esercita potere; chi viene osservato subisce governo. La democrazia costituzionale si fonda sull’inversione periodica di tale rapporto, perché la libertà politica presuppone la capacità del cittadino di vigilare sul potere. L’architettura digitale, invece, consolida una visione unidirezionale: l’autorità guarda, il cittadino appare.
Le risposte europee e la riconquista democratica
Il diritto costituzionale non può restare spettatore di questa mutazione. L’infrastruttura digitale esercita oggi poteri equivalenti a quelli dello Stato, senza sottoporsi a forme di controllo democratico. Il sistema europeo tenta di introdurre un principio di resistenza istituzionale.
L’AI Act, il Digital Services Act e il Digital Markets Act compongono una grammatica di limiti che riconduce la tecnica dentro l’ordine del diritto. La regolazione non persegue l’intervento politico, ma la trasparenza delle procedure, l’identificabilità dei criteri e la responsabilità degli operatori. La sovranità non si fonda più sulla forza, ma sulla visibilità dei meccanismi che producono la realtà.
La giurisprudenza tedesca, con il principio di informationelle Selbstbestimmung, e la dottrina francese, con la neutralité du numérique, offrono modelli di equilibrio tra libertà e controllo. Entrambe riconducono l’informazione al rango di diritto personale e collettivo, imponendo un vincolo di proporzionalità a chi gestisce l’infrastruttura. In questa prospettiva, la sorveglianza assume forma trasparente, poiché ogni atto di visione genera obbligo di responsabilità. La trasparenza non coincide con l’apertura indiscriminata, ma con la tracciabilità dell’autorità.
Un modello americano alternativo potrebbe nascere da tale logica: non un diritto alla segretezza, ma un diritto alla conoscenza del processo informativo. L’infrastruttura deve rispondere pubblicamente delle proprie scelte, e il cittadino deve disporre di strumenti di opposizione tecnica. La democrazia digitale esige un principio di resistenza informativa, cioè la facoltà di comprendere e correggere l’algoritmo che governa il linguaggio. Solo attraverso questa riconquista del sapere l’ordine costituzionale può ritrovare il proprio fondamento nel dissenso, e trasformare il conflitto in forma di libertà.



































































