Mentre ci si avvicina ad uno degli eventi principali in Italia sul tema delle smart city, gli annunci di avvio di “progetti smart city” si susseguono (trai più recenti quello di Treviso), ed è prossima la presentazione del primo “Vademecum” a cura dell’Osservatorio Nazionale Smart City dell’ANCI, l’impressione è che tutte queste iniziative avvengano senza aver risolto uno dei problemi di base: la definizione degli indirizzi strategici che consentano di condividere una visione di Paese delle smart city, e di qui gli obiettivi misurabili.
In una lucida e chiara analisi dello stato attuale in Italia del concetto e delle esperienze di smart city anche dal punto di vista della misurazione degli obiettivi, alcuni studiosi dell’Istat non possono che concludere che, di fatto, non ci sono le condizioni per la definizione di quel “Sistema di monitoraggio delle comunità intelligenti” a carico dell’Istat previsto dal Decreto Legge n. 179 del 2012 (“Decreto Crescita 2.0”). Non solo, la loro valutazione è che uno dei punti chiave da affrontare è l’aspetto strategico “In Italia, occorre stabilire un indirizzo strategico che permetta di omogeneizzare e, quindi, rendere più confrontabili le diverse esperienze già implementate in contesti locali sotto forma di progetti Smart City, che al momento risultano essere a macchia di leopardo, sia in termini di diffusione sia in merito ai contenuti”. In altri termini, stante le condizioni attuali, senza strategia organica, senza definizione condivisa di smart city e comunità intelligenti, senza esperienze significative di misurazione (che escano dal terreno della semplice classifica, e siano funzionali al governo del processo di cambiamento), tutte le virtuose iniziative in atto non consentono un salto di qualità del sistema-Paese e anzi rischiano di condurre a evoluzioni inefficienti e inefficaci.
L’azione dell’ANCI, da questo punto di vista, senz’altro meritevole e virtuosa, tende a correlare le città che vogliono intraprendere il percorso di cambiamento, costruendo una rete di scambio di esperienze e avviando laboratori di co-progettazione. Ma manca di un presupposto sui diversi livelli di governo: la condivisione a livello regionale e governativo, l’integrazione con le Agende Digitali locali, la connessione con le politiche nazionali sulle comunità intelligenti, ancora al palo dopo le misure inserite nel decreto Crescita 2.0.
Così, le iniziative regionali, di sistema a livello territoriale, rischiano di avviarsi su un percorso che non ha una visione capillare di coinvolgimento della rete dei comuni, necessario, ovviamente, a livello operativo, e non si inseriscono su un quadro organico di governance del Paese.
A questa significativa carenza se ne somma una, sostanziale, di approccio ai progetti “Smart City”, che si situa nell’ambito dei principi di base dell’essenza di una smart city e di una comunità intelligente, e che potremmo indicare come la “necessità della partecipazione dei cittadini”. Non a caso Carlo Ratti pone questo punto come il primo del suo “decalogo per la città sostenibile/smart”.
Senza partecipazione dei cittadini non esiste smart city, e non solo perché gli obiettivi di qualità della vita che indirizzano la smart city si declinano nel concreto e nel territorio attraverso il coinvolgimento attivo della popolazione come principale “stakeholder”, ma anche perché i servizi di una smart city vivono grazie ai contributi e all’interazione costante con i cittadini. Tanti e vari gli esempi, dalla qualità delle mappe e dei dati geografici (tema approfondito anche al recente Innovation Festival di Bolzano) ai dispositivi di monitoraggio della qualità dell’aria basati sulla piattaforma Arduino presentati al Maker Faire di Roma, al caso di Buenos Aires, in cui i cittadini possono accedere al sistema giudiziario per fare denunce, monitorare lo stato delle loro pratiche, verificarne la risoluzione, stimolando una qualità dei servizi sempre più elevata.
La partecipazione, “l’engagement” (coinvolgimento) dei cittadini è fondamentale anche perché smart city e comunità intelligenti si costruiscono nel territorio, dove i problemi e le esigenze specifiche devono trovare risposte flessibili e dinamiche, con la consapevolezza che l’unica via per mantenere nel tempo un’elevata qualità della vita, e l’adeguatezza del tessuto urbano ad esigenze in costante evoluzione, è di procedere su una programmazione che coniughi progettazione e monitoraggio dal basso con infrastrutture e strategie di sistema.
E se questo significa valorizzare e favorire lo sviluppo dell’intelligenza del territorio (come ha ben compreso ad esempio l’Argentina con il sistema delle “extension” delle università nei territori”) allora i progetti “smart city” di molte città italiane, ancora basati su un approccio tendenzialmente “top-down”, dall’amministrazione agli amministrati, devono essere profondamente ripensati per adottare un modello profondamente diverso.
Le iniziative “dal basso” delle associazioni che operano sul territorio possono essere da stimolo per mettere al centro la partecipazione dei cittadini come elemento fondamentale, soprattutto lì, come a Roma, dove l’avvio del processo di cambiamento sembra più difficile, ma è necessario che la politica nazionale riprenda il ruolo che dovrebbe competerle, e affronti il tema di base, di quale modello di comunità territoriale vogliamo sviluppare.
Senza strategia non si va da nessuna parte. E invece è da qui che passa il futuro del Paese.
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