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Open data: molte parole, contraddizioni e nessun investimento

Il Governo italiano, insieme a tutti gli altri Paesi del G8, ha firmato una “carta dei dati aperti” che prevede una vera e propria rivoluzione nei prossimi due anni.
Un piano d’azione che si scontra con l’assenza di governance nostrana

Pubblicato il 25 Giu 2013

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Forse non tutti sanno che, nel corso del vertice dei G8 tenutosi nel Regno Unito il 17 e 18 giugno, i Capi di Stato e di Governo di quelli che una volta venivano definiti “gli 8 Paesi più industrializzati del Mondo” hanno parlato anche di innovazione e di Open Data.

E non si sono limitati a discuterne. Infatti, grazie all’importante lavoro di impulso dato dal Governo inglese, gli otto Paesi hanno sottoscritto una vera e propria “Carta dei dati aperti” (Open Data Charter).

Partendo dal presupposto per cui i dati aperti rappresentano un’incredibile occasione per rendere i governi più trasparenti ed efficienti, oltre che per stimolare la crescita economica, sono stati definiti cinque principi:

1) Open Data By Default

2) Quantità e Qualità dei dati aperti

3) Accessibilità dei dati per tutti

4) Utilizzare i dati aperti per migliorare la Governance

5) Utilizzare i dati aperti per promuovere l’innovazione

Ma non si tratta solo di una generica enunciazione di principi: gli Stati si impegnano ad attuarli – al più tardi – entro il 2015, identificando altresì i dati di più alto valore da liberare prioritariamente (ad esempio, dati su aziende e registro imprese, criminalità, dati di performance delle strutture sanitarie, informazioni sulla qualità delle scuole, leggi e regolamenti).

Ciascun Paese dovrà descrivere le politiche per raggiungere questi obiettivi in un vero e proprio “piano d’azione” sulla cui implementazione discutere in un successivo incontro che si terrà nel corso del 2014.

Si tratta indubbiamente di un’iniziativa ambiziosa, per un duplice ordine di motivi: da un lato, per la prima volta in modo così compiuto, si affronta il tema dei dati aperti in ambito multinazionale, dall’altro perché questa Carta tiene in conto dell’esperienza (e quindi degli errori) che i Paesi pionieri (come USA e UK) hanno compiuto.

Per non parlare della circostanza per cui la Carta definisce uno standard minimo di una seria politica nazionale in materia di dati aperti. Certo, adesso bisognerà capire come – esaurita la Presidenza inglese che tanto si è spesa sul tema della trasparenza – gli Stati si impegneranno davvero.

A cominciare dall’Italia, uno dei Paesi – anche secondo il monitoraggio condotto da Open Knowledge Foundation proprio in occasione del G8 meeting – più indietro tra gli otto firmatari della Carta.

Nel nostro Paese, infatti, si parla ancora molto di Open Data e esiste un’attiva comunità fatta di amministratori/funzionari illuminati e civic hackers, ma ancora non esiste una strategia consapevole in materia di dati aperti.

Se dovessimo fare un riassunto: molte parole, altrettante contraddizioni e nessun investimento.

Siamo il Paese convinto che sia sufficiente cambiare le norme per fare Open Data. Per questo motivo, alcune Regioni hanno approvato leggi regionali in materia di dati aperti e Il principio dell’Open by default è già stato introdotto dal nostro legislatore con il decreto sull’Agenda Digitale (art. 9 D.L. n. 179/2012) che ha modificato il Codice dell’Amministrazione Digitale. Tuttavia, è sufficiente navigare sui siti delle PA italiane o sul portale nazionale dei dati aperti www.dati.gov.it per verificare come siano ancora poche le Amministrazioni che hanno liberato i propri dati (i 982 datasets sono stati liberati da 73 Enti) e, a prescindere da ogni discorso sulla qualità, pochi dati siano davvero importanti per cittadini e imprese.

Per non parlare del fatto che – mentre negli altri Paesi i Governi decidono le priorità sui dati da pubblicare – noi siamo bloccati su discorsi di tipo normativo-regolatorio: l’Agenzia per l’Italia digitale è impegnata, ormai da mesi, in un complesso lavoro in materia di linee guida dei dati aperti.

Ma chi si occupa della strategia? Chi definisce le priorità e chi si occupa del necessario raccordo con Regioni ed Enti Locali? Quante saranno le risorse investite nella strategia di Open Data?

Il Governo, ad esempio, negli ultimi mesi ha adottato alcuni provvedimenti (Decreto n. 83/2012 e il Decreto n. 33/2013) che impongono alle Amministrazioni di pubblicare i dati di spesa: migliaia di Enti si stanno quindi cimentando con le difficoltà relative alla pubblicazione dei propri dati di spesa e di bilancio.

Probabilmente, almeno all’inizio, sarebbe stato più efficace (e meno dispendioso) procedere all’apertura dei dati di SIOPE, un Sistema Informativo pubblico che esiste già e che “rileva in via telematica gli incassi e i pagamenti effettuati dai tesorieri e dai cassieri delle Amministrazioni pubbliche”.

La “Carta dei dati aperti” rappresenta l’ennesima occasione (forse l’ultima) per progettare una strategia di dati aperti compiuta e consapevole, considerando anche che – sempre entro il 2015 – l’Italia dovrà adeguarsi anche alla nuova Direttiva in materia di riutilizzo delle informazioni del settore pubblico appena approvata dal Parlamento Europeo. Le nuova regole, innovando rispetto al passato, prevedono un vero e proprio diritto di cittadini e imprese al riutilizzo dell’informazione pubblica che dovrà essere garantito dalle Amministrazioni.

Appare evidente come questi traguardi possano essere raggiunti solo cambiando metodo rispetto al passato: non sarà più sufficiente il solito position paper fatto di generici impegni, ma si renderà necessario un vero e proprio action plan – da adottare con il coinvolgimento di imprese e società civile – in cui descrivere gli impegni e vincolarsi ad osservare una precisa roadmap. Da rispettare, se non altro, per paura di una brutta figura al prossimo meeting.

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