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Prompting Humans: se l’IA ci rieduca al dialogo



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Il prompting, nato per ottimizzare le risposte dell’IA generativa, si rivela utile per ripensare il dialogo tra persone, in un’epoca segnata da overload informativo e disattenzione

Pubblicato il 18 lug 2025

Massimo Pirozzi

Project, Program & Portfolio Manager, Generative AI Leader & Specialist, Lecturer, Educator



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La comunicazione interpersonale è oggi al centro di una crisi profonda, segnata da digitalizzazione, fretta e sovraccarico informativo. Ma proprio dall’interazione con i modelli linguistici generativi emerge un’opportunità inattesa: l’adozione di tecniche nate per dialogare con l’intelligenza artificiale può diventare un mezzo per ripensare il nostro modo di parlare, ascoltare e costruire senso.

A partire da questa intuizione, il paradigma Prompting Humans propone un approccio innovativo per migliorare la qualità della comunicazione tra persone.

Come il prompting può migliorare la comunicazione tra esseri umani

L’adozione su larga scala dei modelli linguistici di grandi dimensioni (LLM) ha dato origine a nuove modalità di interazione, in cui il “prompting” — cioè la progettazione intenzionale del messaggio — si è rivelato centrale per determinare la qualità degli output generati.

Partiamo allora da un ribaltamento di prospettiva – se i modelli LLM apprendono dalla comunicazione umana, i principi emergenti del prompting possono a loro volta essere utilizzati per migliorare la comunicazione interpersonale – per proporre un framework innovativo di classificazione della comunicazione umana, che consente di associare pattern e framework conversazionali già consolidati nel prompting alle diverse tipologie di comunicazione interpersonale, sulla base del contesto e dell’intenzionalità.

Ne risulta un paradigma operativo che permette di rendere più efficace la comunicazione fra esseri umani, applicando logiche di progettazione conversazionale già sperimentate con successo nell’interazione uomo-macchina.

L’interazione con l’IA come specchio delle nostre capacità comunicative

Negli ultimi anni, l’interazione tra esseri umani e sistemi di Intelligenza Artificiale Generativa ha conosciuto una crescita tanto rapida quanto trasversale. Che si tratti di modelli conversazionali come ChatGPT, di agenti generativi integrati in piattaforme aziendali o di strumenti creativi e decisionali assistiti, un aspetto emergente e molto interessante – e meno discusso – non è tanto l’efficacia delle risposte, quanto l’effetto collaterale, e con esiti inaspettati e meritevoli di approfondimento, che questo tipo di interazione ha avuto e sta avendo sulla comunicazione stessa.

Per la prima volta dopo decenni in cui la tecnologia digitale sembrava accelerare tutto tranne la riflessione, la volontà e l’attenzione al dialogo efficace con l‘IA ha infatti richiesto un rallentamento intenzionale del pensiero linguistico. Per ottenere risposte coerenti, utili e rilevanti dalla IA, ci siamo difatti trovati a riformulare le nostre richieste con una cura inusuale: a esplicitare meglio il contesto, a definire il tono desiderato, a chiarire l’obiettivo del nostro messaggio, a usare il linguaggio con maggiore consapevolezza. In sintesi, ci stiamo abituando a comunicare con le macchine meglio di quanto spesso oggi facciamo tra esseri umani.

Ed è qui che si apre una frattura epistemologica significativa, forse non ancora del tutto compresa: stiamo sviluppando, nel rapporto con l’IA, una disciplina comunicativa che stavamo in gran parte trascurando nei rapporti interpersonali. Se una macchina ci costringe a essere più chiari, contestuali, rispettosi del tempo e della coerenza… non sarà forse il caso di interrogarci su cosa tutto ciò dica della attuale qualità delle nostre relazioni umane?

In un’epoca in cui la comunicazione interpersonale è frammentata, stressata da digitalizzazioni forzate, asincronie relazionali, overload informativo e una generale perdita di attenzione al dialogo autentico, emerge quindi una domanda scomoda: può l’Intelligenza Artificiale diventare, paradossalmente, un laboratorio e/o una palestra per riabilitare la qualità del nostro linguaggio umano? Possiamo, cioè, apprendere dai modelli generativi non solo per “allenarli” a parlare meglio, ma per reimparare noi stessi a comunicare con le altre persone con più cura, più intenzione e più valore? In questa prospettiva, l’interazione con l’AI generativa si configura quindi non solo come fatto puramente tecnico o strumentale, ma come vero e proprio evento culturale e relazionale, in cui l’utente non si limita a “chiedere” o a “istruire”, ma viene a sua volta “trasformato” dal modo in cui la macchina risponde.

Dall’IA alla relazione umana: il valore percepito della risposta

Il presente contributo si muove esattamente in questa direzione, con un duplice obiettivo. Da un lato, proporre una lettura relazionale delle tecniche di interazione con l’AI generativa, analizzando come esse comportino già un insieme di buone pratiche comunicative – implicite, ma fortemente strutturate. Dall’altro, suggerire che proprio da questi modelli possa nascere un nuovo approccio alla comunicazione interpersonale – Prompting Humans – che metta al centro non tanto la prestazione linguistica o la pertinenza contenutistica, quanto il valore percepito della risposta, come nuovo metro della qualità relazionale.

Se infatti è vero che ogni messaggio è, in fondo, una proposta di senso, e ogni risposta un atto di riconoscimento, allora forse proprio nel dialogo con le IA possiamo trovare la traccia e gli spunti di una grammatica quasi dimenticata: quella che ci aiuta a essere, prima ancora che efficaci, autenticamente umani, in particolare per quanto attiene al reciproco rispetto, nel modo in cui ci rivolgiamo alle altre persone.

Il prompting come allenamento alla chiarezza e al rispetto

L’Intelligenza Artificiale Generativa, come sappiamo, è una realtà che non è senziente ma che si comporta come se lo fosse, attrice ed emulatrice di comportamenti umani più che simulatrice degli stessi, forma di “intelligenza condivisa” (Mollick, 2025) ancor più che “artificiale” in senso stretto. Di conseguenza, in tutti i progetti e le operazioni, e in definitiva in tutte le organizzazioni così come anche nelle sfere personali – nel 2025 i primi tre utilizzi più diffusi della AI sono, rispettivamente, di compagnia/terapeutico, di organizzazione della vita personale e di trovarsi uno scopo! (Harvard Business Review, 2025) – emerge e si afferma una nuova dimensione di stakeholder, gli AI-Stakeholder (Pirozzi, 2024), realtà sì virtuali ma con influenza e impatti assolutamente reali su performance e comportamenti.  

Gli AI-Stakeholder hanno delle caratteristiche assolutamente peculiari: si definiscono “neutrali” – certo, come possono essere neutrali dei sistemi comunque addestrati da essere umani -, intrinsecamente non portatori di interessi particolari – anche qui, escludendo gli interessi principali per cui sono stati addestrati, ovvero quelli di risponderci sempre, il prima possibile ecc. – e, quando glielo si chiede (Pirozzi, 2024) caratterizzano il loro stile di comportamento come SC (Supportive – Cautious) secondo il Modello DISC (Scullard e Baum, 2015) – si vedono difatti “supportivi” in quanto utili, cooperativi e pazienti (!), ma anche “cauti” in quanto accurati (!) e attenti sia ai dettagli che all’approccio analitico. T

uttavia, possiamo senz’altro chiedere loro di assumere il ruolo di qualunque altro stakeholder e di emularne toni e stili, così come di identificarsi nei nostri interessi e di supportarli, di effettuare azioni su nostra delega o per assisterci, e così via, il che rende le problematiche di efficacia del loro coinvolgimento e della relazione comunicativa con loro particolarmente complesse e sofisticate.

Il cosiddetto prompt engineering, vale a dire l’insieme delle arti, delle tecniche e delle strategie attraverso cui si formulano richieste efficaci a un modello di AI generativa, nasce senz’altro come una disciplina tecnica, figlia della necessità di istruire e/o addestrare un sistema linguistico-computazionale perché restituisca un risultato desiderato. Tuttavia, ben presto ha rivelato una natura ben più complessa, e con esiti inaspettati e meritevoli di approfondimento: non si tratta di fornire semplicemente dei comandi, ma di costruire vere e proprie interazioni linguistiche strutturate, in cui l’intenzionalità e la forma comunicativa sono determinanti.

Ottenere buone risposte da un sistema generativo non è questione di codici o algoritmi, almeno non dal lato dell’utente. È, piuttosto, una questione di chiarezza di pensiero, contestualizzazione del messaggio, adeguatezza del linguaggio, e persino rispetto per il “tono” dell’interazione. In altre parole, interagire con un modello generativo efficace impone di riconoscere che la comunicazione è un atto complesso, intenzionale e manifesto – proprio come dovrebbe essere, e troppo spesso purtroppo non è, nelle relazioni tra esseri umani.

Pattern conversazionali dell’IA ispirati al dialogo umano

Non sorprende quindi che tutti i pattern più importanti utilizzati nel prompting coincidano in larga misura con buone pratiche già note nella comunicazione didattica, nella psicologia del dialogo, o nella gestione relazionale nei contesti complessi.

Il Chain of Thought

Il Chain of Thought (Boonstra, 2025), ad esempio, consiste nel guidare il modello attraverso una catena logica di ragionamenti intermedi prima di arrivare alla risposta finale: una tecnica che richiama le strutture argomentative socratiche, dove l’interlocutore viene guidato attraverso domande successive a spezzare un problema complesso in parti più semplici.

Il Persona Prompting

Il Persona Prompting (White et al., 2024), invece, impone all’utente di definire un ruolo, un tono e una prospettiva al proprio interlocutore artificiale, chiedendo in pratica ciò che raramente riusciamo a fare nella comunicazione interpersonale: mettersi nei panni dell’altro prima di rispondere, in modo da saper “comunicare sé stessi, ma con il linguaggio degli altri” (Pirozzi, 2020).

Il Template Pattern

Il Template Pattern implica il fornire all’IA un format o schema predefinito che la risposta dovrà seguire rigorosamente: quando usiamo il template pattern con un modello, stiamo applicando una strategia ben nota nella comunicazione umana, ovvero l’uso di formati standardizzati per aumentare la chiarezza e facilitare la comprensione, riducendo i fraintendimenti.

Il Recipe Pattern

Il Recipe Pattern (White et al., 2024) prevede di far generare all’IA una risposta organizzata come una lista di passi sequenziali, simile alle istruzioni di una ricetta culinaria: il formato “ricetta” è comunissimo nella comunicazione umana quando vogliamo spiegare come fare qualcosa.

Il Question Refinement Pattern

Il Question Refinement Pattern (White et al., 2024) è un approccio in cui si chiede all’IA di migliorare o riformulare la domanda posta dall’utente per renderla più efficace: nelle conversazioni tra persone, qualcosa di simile avviene quando un interlocutore riformula la domanda dell’altro o effettua domande chiarificatrici per assicurarsi di aver capito bene o per indirizzare meglio la discussione.

L’Alternative Approaches Pattern

L’Alternative Approaches Pattern (White et al., 2024) istruisce l’IA a fornire modalità alternative di risolvere un problema o svolgere un compito, invece di proporre una singola soluzione: nel dialogo umano, offrire soluzioni alternative è una tecnica alla base sia del pensiero laterale che del brainstorming.

Il Flipped Interaction Pattern

Il Flipped Interaction Pattern (White et al., 2024) inverte invece i ruoli classici dell’interazione con l’IA: è l’IA a porre domande all’utente, guidando il dialogo per raggiungere un certo obiettivo, mentre l’utente fornisce le risposte; questo pattern ricalca uno schema conversazionale ben rodato tra le persone, con lo scambio di ruoli, dove l’esperto fa domande e il richiedente fornisce dati, finché l’esperto non ha un quadro completo.

Il Few-Shot Prompting

Nel Few-Shot Prompting (Boonstra, 2025), oltre a formulare l’istruzione generale, si includono alcuni esempi espliciti all’interno del prompt per guidare l’IA nel dialogo tra persone: l’idea dietro il few-shot prompting è del tutto assimilabile al fornire esempi concreti o dimostrazioni per chiarire cosa stiamo chiedendo, in modo da facilitare la comprensione e aiutare l’interlocutore a condividere il metodo e il formato della soluzione attesa.

Framework comunicativi per progettare chiarezza e relazione

In aggiunta, ci sono i framework.

Il framework RTF (Role – Task – Format)

Nel semplice framework RTF (Role – Task – Format), l’obiettivo è definire in modo essenziale e diretto chi fa cosa in quale formato, semplificando l’interazione e riducendo l’ambiguità, e conviene usarlo quando serve chiarezza immediata ed efficacia operativa, in comunicazioni funzionali, informative o procedurali, e per richieste ripetitive, operative, sintetiche; un esempio nella comunicazione interpersonale può essere: “Come responsabile tecnico (Role), ti chiedo di individuare le priorità per il prossimo sprint (Task), riportandole in ordine decrescente su una lista a tre voci (Format).”

Il framework TAG (Task – Audience – Goal)

Nel semplice framework TAG (Task – Audience – Goal), l’obiettivo è orientare la comunicazione rispetto all’intento finale e al destinatario, ottimizzando la pertinenza del messaggio, e conviene usarlo quando è importante tarare il messaggio sull’interlocutore, per comunicazioni persuasive, di supporto, regolative o informative, e per definire obiettivi chiari in messaggi complessi; un esempio nella comunicazione interpersonale può essere: “Vorrei che tu preparassi un riepilogo delle criticità emerse (Task), da condividere con il team di sviluppo (Audience), così da impostare un piano di miglioramento condiviso (Goal).

Il framework CREATE (Context – Role – Explicit Task – Audience – Tone – Example)

Nel ben più complesso framework CREATE (Context – Role – Explicit Task – Audience – Tone – Example) l’obiettivo è guidare una comunicazione complessa, contestualizzata e controllata, integrando obiettivi, destinatari e forma espressiva, e conviene usarlo in comunicazioni multi-livello o delicate, dove il contesto e il tono risultano determinanti, in ambienti multistakeholder, per attività di negoziazione, supporto, riflessione, creatività, e nelle interazioni dove è importante coerenza di tono e contenuto; un esempio nella comunicazione interpersonale può essere: “Nel contesto del prossimo audit interno (Context), come team leader (Role), ti chiedo di redigere una nota di allineamento (Task), destinata al board esecutivo (Audience), con tono neutro e assertivo (Tone), indicando i tre principali scostamenti rilevati (Example).”

Il framework CO-STAR (Context – Objective – Style – Tone – Audience – Result)

Nel framework CO-STAR (Context – Objective – Style – Tone – Audience – Result), l’obiettivo è fornire una cornice per progettare comunicazioni strategiche, con attenzione allo stile, all’effetto e all’impatto desiderato, e conviene usarlo in comunicazioni strategiche, persuasive o narrative, quando serve coerenza tra obiettivo, stile e impatto emotivo, per messaggi destinati a stakeholder esterni o di alto livello, e per pitch, briefing, storytelling direzionale; un esempio nella comunicazione interpersonale può essere: “Nel contesto della roadmap 2025 (Context), l’obiettivo è mostrare i risultati ottenuti (Objective), in modo sintetico e visionario (Style), con tono ispirazionale (Tone), rivolgendoci al top management globale (Audience), affinché si ottenga l’approvazione del piano (Result).”

Progettare interazioni significative: il prompt come proposta relazionale

E gli esempi a supporto potrebbero essere ulteriormente estesi: sostanzialmente, i prompt costituiscono delle modalità di interazione con l’IA volte a ottenere le migliori risposte e/o i migliori risultati, così come, con modalità assolutamente analoghe, nelle interazioni fra esseri umani ci aspettiamo di ottenere le migliori risposte e/o i migliori risultati da una comunicazione interpersonale efficace.

Nel Prompt Engineering, in ogni caso, questa rinnovata attenzione alla forma e al processo comunicativo non è certamente un dettaglio, ma, al contrario, diventa la chiave per comprendere cosa rende una risposta “buona” in un’interazione con l’AI.

La risposta come co-costruzione del senso condiviso

Ed è qui che emerge un elemento ancora poco discusso nella letteratura specifica, ma che può fungere da ponte concettuale decisivo tra comunicazione uomo-macchina e comunicazione interumana: il valore percepito della risposta.

Tradizionalmente, infatti, si valuta la performance di un sistema AI in base a indicatori di accuratezza, pertinenza, completezza o efficienza. Ma l’utente non si comporta affatto come un valutatore oggettivo: al contrario, la qualità della risposta è giudicata secondo criteri soggettivi, situazionali, relazionali. Ad esempio, una risposta formalmente corretta ma fredda, impersonale o decontestualizzata può risultare insoddisfacente, mentre, viceversa, una risposta non perfetta ma empatica, utile o stimolante può essere percepita come “buona”.

Il valore percepito della risposta, allora, può essere definito come il grado in cui il contenuto restituito dall’interlocutore – umano o artificiale – viene valutato come utile, comprensibile, rilevante e generativo da parte di chi l’ha richiesto. In questo senso, il valore non è contenuto nella risposta, ma emerge dall’interazione tra chi risponde e chi riceve. È una costruzione relazionale, non un dato. Questo concetto, già noto in ambiti come il project management (Pirozzi, 2020), il marketing relazionale, il design dell’esperienza o la customer satisfaction, si rivela particolarmente utile se traslato nel campo della comunicazione AI-human, non solo come aiuto a spiegare perché utenti diversi valutino in modo molto diverso la stessa risposta dell’AI, ma anche in quanto offre una metrica qualitativa per comprendere l’efficacia profonda del prompting. A ben vedere, dunque, il prompt non è tanto un input tecnico, quanto una proposta relazionale. E la risposta che ne segue non è un output deterministico, ma una manifestazione contestuale di senso condiviso. Più il prompt è centrato, consapevole e relazionale, più è probabile che la risposta venga percepita come significativa, anche se non perfetta.

L’AI come palestra linguistica per migliorare la comunicazione interpersonale

In questa luce, il dialogo con l’AI smette di essere uno scambio puramente funzionale e diventa una palestra linguistica e cognitiva, in cui il soggetto umano affina le proprie capacità di espressione, chiarezza, coerenza e ascolto riflessivo. È un’interazione che può educare, e che – se osservata con attenzione – può restituirci strumenti preziosi per riformare la nostra comunicazione efficace con gli altri esseri umani.

La crisi della comunicazione interpersonale: sintomi, cause e nuove esigenze

Se la comunicazione con l’Intelligenza Artificiale Generativa ci sta forzando, per ragioni funzionali, a recuperare un linguaggio più intenzionale, contestuale e strutturato, è inevitabile chiedersi quale sia lo stato attuale della comunicazione interpersonale. E la risposta, almeno nei contesti organizzativi e professionali – ma non solo – non sembra per niente incoraggiante.

Negli ultimi anni, e in particolare nel periodo post-pandemico, è evidente come la qualità percepita della comunicazione tra persone abbia subito un declino rilevante. La pandemia globale non ha soltanto trasformato i canali della comunicazione, spingendo verso una virtualizzazione massiccia dei rapporti; ha anche inciso profondamente sulle modalità cognitive, emotive e relazionali che sostengono l’interazione umana (Turkle, 2015). L’abitudine forzata a modalità asincrone, la riduzione dei momenti di conversazione autentica, e l’emergere di nuovi equilibri lavorativi ibridi hanno infatti ulteriormente accelerato trend che erano già in atto, portando la comunicazione interpersonale a livelli di efficacia e soddisfazione mai così bassi dagli anni del boom digitale (Carr, 2010).

I segnali di questa crisi – forse ampiamente sottovalutata – sono ormai osservabili quotidianamente nei contesti aziendali, istituzionali e persino familiari:

  • conversazioni dominate da reazioni rapide e superficiali, prive di ascolto autentico;
  • crescente ambiguità nelle richieste e nelle risposte;
  • aumento dei fraintendimenti dovuti all’assenza di contesto esplicitato;
  • impoverimento lessicale e stilistico, con conseguente perdita di sfumature comunicative;
  • aumento della “rudezza” in dialoghi e comportamenti;
  • saturazione comunicativa, con overload di input informativi e scarsa capacità di elaborazione e restituzione.

Questi fenomeni, acuitisi proprio nel periodo post-pandemico, non si sono risolti con il parziale ritorno alla presenza: molte organizzazioni hanno consolidato modelli di lavoro ibridi in cui le conversazioni virtuali restano preponderanti, senza tuttavia che siano stati sviluppati strumenti adeguati a governarle, o piani formativi che mettessero le persone in grado di gestirle.

Quali sono le cause profonde alla base di questo deterioramento? Si possono individuare almeno quattro ordini di fattori principali.

  • Effetto di sostituzione tecnologica. L’adozione massiccia di strumenti digitali ha progressivamente sostituito spazi e tempi della comunicazione umana autentica (Turkle, 2015). Le conversazioni asincrone, mediate da email, chat, piattaforme collaborative, hanno ridotto il feedback immediato e la componente prosodica (tono, ritmo, gestualità) che contribuisce in modo determinante al senso condiviso (Watzlawick et al., 1967). Inoltre, la velocità dei canali digitali spinge verso una comunicazione ridotta e contratta, che tende a semplificare eccessivamente concetti complessi, a discapito di una reale comprensione condivisa (Carr, 2010).
  • Asimmetria di attenzione. Nel contesto digitale, l’attenzione dei partecipanti è costantemente dispersa tra molteplici flussi informativi.
    Questo genera una asimmetria crescente tra chi invia un messaggio (centrato sul proprio obiettivo comunicativo) e chi lo riceve, che lo interpreta in condizioni di attenzione parziale, in un contesto che spesso non è quello originariamente previsto (Grice, 1975). Quando vengono violate le massime conversazionali – chiarezza, pertinenza, quantità adeguata di informazione – il rischio di fraintendimento cresce esponenzialmente.
  • Carenze di consapevolezza comunicativa. Nel tempo, l’abitudine a forme di comunicazione rapide e minimali ha eroso competenze comunicative che un tempo venivano sviluppate in modo più strutturato (Clark, 1996).
    La capacità di formulare richieste chiare, di costruire una narrazione coerente, di adattare il tono e lo stile all’interlocutore, non è più data per scontata. Ne consegue che molte interazioni risultano impoverite nella loro dimensione relazionale: non si tratta solo di cosa si dice, ma di come lo si dice e di come viene percepito.
  • Sovraccarico emotivo post-pandemico. A questi elementi si aggiunge un fattore spesso trascurato: l’impatto psicologico e relazionale della pandemia.
    Molti individui, anche nei contesti professionali, manifestano oggi una ridotta tolleranza allo sforzo comunicativo, una minore pazienza nell’ascolto, e una propensione crescente all’evitamento dei confronti complessi (Turkle, 2015).

In questo quadro, il concetto di valore percepito della risposta diventa particolarmente utile per comprendere il disagio comunicativo diffuso. Infatti, il significato linguistico non è trasmesso, ma co-costruito (Clark, 1996). Ogni messaggio si completa nella ricezione, attraverso un processo di negoziazione interpretativa che oggi risulta spesso compromesso. La percezione di valore dipende dunque non solo dalla correttezza o dalla completezza della risposta, ma anche, in maniera determinante:

  • dalla sua pertinenza rispetto al contesto;
  • dal tono e dalla forma;
  • dalla capacità di generare senso condiviso (Watzlawick et al., 1967).

Quando questi elementi mancano, anche risposte formalmente “corrette” risultano percepite come insoddisfacenti o addirittura irritanti e, nei contesti organizzativi e professionali, tutte queste problematiche si traducono in criticità operative molto concrete:

  • difficoltà a costruire vision e obiettivi condivisi;
  • crescente fatica nei processi di allineamento tra team e stakeholder;
  • moltiplicazione dei conflitti latenti, legati a incomprensioni comunicative non risolte;
  • aumento della “fatica relazionale” nelle interazioni sia in presenza che digitali, che porta a un calo di engagement e di senso di appartenenza;
  • perdita progressiva della “autenticità” delle relazioni, che mina la capacità stessa delle organizzazioni di generare fiducia, condivisione e cooperazione.

In sintesi, la comunicazione interpersonale nei contesti professionali contemporanei si trova oggi di fronte a una sfida cruciale: recuperare, con urgenza sempre più crescente, qualità relazionale, chiarezza e intenzionalità in un ecosistema che tende, per sue caratteristiche strutturali, a favorire la semplificazione, la frammentazione e l’accelerazione. Come si è peraltro già da tempo osservato (Carr, 2010), l’iper-accelerazione digitale spinge infatti verso un’elaborazione cognitiva superficiale, riducendo il tempo e l’attenzione dedicati alla costruzione di messaggi di qualità.

È per questo che la proposta del paradigma Prompting Humans può inserirsi in modo così pertinente nel contesto attuale, in quanto offre un metodo e una lente per affrontare questa crisi: non si tratta di “tecnicizzare” la comunicazione umana, ma al contrario di riportarla a una dimensione più consapevole, ispirandosi a pratiche che, sebbene nate appositamente per dialogare con l’AI, recuperano principi fondamentali della relazione umana.

Come i LLM apprendono e riproducono le buone pratiche comunicative

La comprensione delle modalità con cui vengono addestrati i modelli di linguaggio di grandi dimensioni (LLM, Large Language Models) è essenziale per valutare in che misura il loro comportamento emuli – e a volte possa addirittura migliorare – le dinamiche tipiche della comunicazione interpersonale efficace. Sebbene infatti i LLM non siano agenti senzienti né dotati di intenzionalità, la loro architettura e i metodi di addestramento li spingono a riprodurre con sorprendente accuratezza molte delle pratiche linguistiche e pragmatiche che caratterizzano il dialogo umano di qualità, tanto che, in effetti, queste stesse modalità di addestramento degli LLM li hanno portati a diventare strumenti che emulano (e a volte ispirano) le migliori pratiche della comunicazione tra persone.

I LLM più avanzati – tra cui GPT-4o (OpenAI), Gemini (Google DeepMind), Claude (Anthropic) – si basano su architetture di tipo Transformer (Vaswani et al., 2017): questi modelli vengono inizialmente addestrati attraverso una fase detta pre-training su enormi quantità di dati testuali provenienti da fonti molto eterogenee: libri, articoli scientifici, pagine web, dialoghi, codice, documentazione tecnica e così via. Durante questa fase, il modello apprende a predire la parola successiva (next token prediction), ossia a calcolare la probabilità che una determinata sequenza di parole venga completata in un certo modo. Questo compito apparentemente semplice in realtà induce il modello a interiorizzare regole grammaticali, strutture sintattiche, relazioni semantiche e pattern pragmatici. Il risultato è la formazione di una competenza linguistica generale che non si limita a ripetere frasi, ma che consente di generare testo nuovo e coerente in risposta a input diversificati.

Dalla prospettiva della comunicazione interpersonale, questa fase porta il modello a sviluppare una sensibilità ai contesti linguistici, in cui apprende a riconoscere registri linguistici, stili, toni e convenzioni conversazionali. In sostanza, il pre-training costruisce una base che già riflette – statisticamente – le pratiche linguistiche più diffuse e “socialmente approvate” all’interno della cultura di riferimento dei dati di addestramento.

Dopo il pre-training, i LLM vengono sottoposti a una fase detta fine-tuning supervisionato. In questa fase, il modello viene ulteriormente addestrato su dataset più specifici, curati e annotati, per ottimizzare la sua capacità di seguire istruzioni e generare risposte più utili, pertinenti e sicure. Tipicamente, team di esperti preparano prompt-response pairs (coppie di richieste e risposte), correggendo gli output e fornendo esempi di “buone risposte”. Ciò guida il modello a imparare:

  • come adattare il tono e il registro alla situazione comunicativa;
  • come essere pertinente e non ridondante;
  • come rispondere in modo chiaro ed esaustivo;
  • come mantenere la coerenza pragmatica nel dialogo.

È in questa fase che i LLM apprendono comportamenti conversazionali che corrispondono alle buone pratiche della comunicazione interpersonale efficace: ascolto attivo (attraverso l’analisi del prompt), coerenza di registro, rispetto per il contesto, chiarezza e completezza della risposta.

Un’ulteriore fase di raffinamento è poi quella del Reinforcement Learning from Human Feedback (RLHF), introdotta in modo sistematico da OpenAI (Christiano et al., 2017; Ouyang et al., 2022). In questa fase, esseri umani valutano molteplici risposte del modello a uno stesso prompt, indicando quali sembrino essere le più appropriate, utili, chiare e anche socialmente accettabili. Il modello viene poi aggiornato per aumentare la probabilità di produrre risposte preferite dagli umani. Il RLHF contribuisce in modo decisivo a sviluppare nei LLM una “sensibilità” non solo linguistica, ma anche relazionale. In altre parole, il modello apprende che il valore di una risposta non risiede solo nella correttezza formale o informativa, ma anche nella percezione che essa genera nell’interlocutore umano – concetto molto vicino a quello di valore percepito della risposta già discusso nella sezione precedente (Pirozzi, 2024).

In definitiva, le tre fasi principali di addestramento (pre-training, fine-tuning supervisionato, RLHF) portano i LLM a sviluppare una competenza che, pur non cosciente né intenzionale, risulta molto vicina alle caratteristiche della comunicazione interpersonale efficace.

Le principali dimensioni in cui i LLM emulano tale comunicazione sono:

  • la chiarezza, attraverso la predizione sequenziale e il feedback umano;
  • la pertinenza contestuale, attraverso il fine-tuning e il RLHF;
  • la coerenza pragmatica, attraverso dei pattern nei dati e la valutazione umana;
  • l’adattamento del registro e del tono, attraverso l’esposizione a stili diversi nei dati;
  • l’ascolto attivo (ricettività al prompt), attraverso l’architettura Transformer (grazie al meccanismo di self-attention);
  • la sintesi e la strutturazione dei contenuti, attraverso il training su degli esempi di buona scrittura;
  • un’empatia simulata e un’attenzione relazionale, che viene “rinforzata” con RLHF e preferenze umane.

Il modo in cui gli LLM vengono addestrati spiega anche perché i pattern e i framework di prompt engineering che funzionano meglio nell’interazione con l’IA (es.: Chain of Thought, Persona, Template, CREATE, CO-STAR, RTF) si basano proprio su pratiche consolidate della comunicazione interpersonale efficace: il prompting, infatti, funziona bene quando riesce a “parlare il linguaggio” che il modello ha appreso a riconoscere come efficace e preferibile, e questo è lo stesso linguaggio che, come abbiamo visto, riflette le buone pratiche della comunicazione umana di qualità.

Questo crea un circolo virtuoso: per ottenere buoni risultati con i LLM, le persone devono riscoprire e praticare schemi comunicativi chiari, contestuali, rispettosi e ben strutturati. A loro volta, i modelli restituiscono risposte che rafforzano tali pratiche, suggerendo nuovi standard di comunicazione efficace. Nel linguaggio del system thinking (Senge, 2006), prompting e comunicazione interpersonale costituiscono un reinforcing loop (Figura 1), in cui il valore percepito condiziona l’efficacia, ed in cui i limiti alla crescita continua (limits to growth) sono rappresentati proprio dal livello di competenze che si hanno a disposizione

In conclusione, il modo in cui i LLM sono addestrati porta a un esito tanto inatteso quanto interessante: questi modelli non sono solo generatori di linguaggio, ma potenziali catalizzatori di una nuova grammatica condivisa del dialogo, in cui elementi di comunicazione umana ed elementi di prompting convergono, e i cui si aprono prospettive molto rilevanti sul piano didattico – con l’alfabetizzazione alla comunicazione efficace nell’era dell’AI-, sul piano relazionale -con la progettazione di interazioni AI-human sempre più fluide e “umane” – e sul piano culturale – con la riscoperta di pratiche comunicative che valorizzano chiarezza, rispetto, coerenza e valore percepito. Non a caso, oggi i LLM “migliori” ottengono valutazioni molto elevate in benchmark che misurano proprio la qualità percepita della comunicazione (es.: MT-Bench, Chatbot Arena, Stanford HELM).

Figura 1: il “Circolo Virtuoso” fra Prompt Engineering e Comunicazione Interpersonale

Una mappa funzionale per progettare comunicazione interpersonale efficace

In un’ottica pragmatica, per trasferire con successo pattern e framework nati per ottimizzare il dialogo con l’IA (come il Prompt Engineering) nella comunicazione tra esseri umani, occorre prima disporre di un modello solido e operativamente utilizzabile della comunicazione interpersonale stessa. Le distinzioni tradizionali – ad esempio, comunicazione formale/informale, verbale/non verbale, verticale/orizzontale – risultano infatti troppo generiche o strutturali per orientare scelte mirate di pattern comunicativi che siano efficaci.

Serve dunque una categorizzazione funzionale della comunicazione interpersonale, capace di riflettere il “perché” e il “come” delle interazioni umane, e, pertanto, proponiamo qui un framework innovativo di categorizzazione che integra e sintetizza contributi assolutamente “classici” di diversi ambiti disciplinari – dalla pragmatica della comunicazione (Watzlawick et al., 1967), alla psicologia sociale (Clark, 1996), alla teoria dei codici (Bernstein), alla sociolinguistica, fino a recenti approcci del dialogo uomo-macchina (Mollick, 2024; White et al., 2024). Il modello è volutamente operativo, in quanto ha l’obiettivo principale di supportare la progettazione di interazioni efficaci, e non solo quello di descrivere le interazioni stesse, è basato sull’osservazione, ed è naturalmente aperto alla possibilità di aggiungere altre categorie.

L’attributo principale che caratterizza in questo modello le varie tipologie di comunicazione è lo scopo principale della comunicazione stessa: ogni comunicazione è infatti evidentemente purposeful, ovvero ha (almeno) uno scopo da raggiungere. Possiamo distinguere 10 caratterizzazioni principali.

  • Comunicazione informativa. Il suo scopo primario è quello di trasmettere informazioni chiare e accurate. Comprende comunicazione unidirezionale, condivisione di dati, istruzioni operative. È tipica di contesti organizzativi formali (briefing, procedure, comunicati) ma anche di situazioni quotidiane (segnalazioni, avvisi). Oltre alla trasmissione di dati e istruzioni, questa categoria include anche la capacità di adattare il linguaggio al destinatario per garantire effettiva comprensione. Una comunicazione informativa efficace non si limita alla correttezza dei contenuti, ma cura anche la forma e la chiarezza, prevedendo e gestendo possibili barriere cognitive o linguistiche. Riferimenti: Shannon & Weaver (1949); Clampitt (2016).
  • Comunicazione persuasiva. Il suo scopo primario è quello di modificare atteggiamenti o comportamenti. Include la comunicazione di vendita, il public speaking, la leadership motivazionale, la negoziazione politica. Richiede una gestione fine del linguaggio emotivo e della narrazione. Si fonda su strategie retoriche, narrazione e leve psicologiche volte a orientare atteggiamenti e comportamenti. Una comunicazione persuasiva ben progettata rispetta l’etica della relazione, evitando manipolazioni, e mira a generare un consenso autentico e sostenibile. Riferimenti: Cialdini (2001); Petty & Cacioppo (1986).
  • Comunicazione negoziale. Il suo scopo primario è quello di trovare un accordo reciprocamente accettabile. Si sviluppa in interazioni tese a risolvere conflitti o a generare soluzioni condivise. È fortemente pragmatica e relazionale, basata su dinamiche di riconoscimento reciproco e gestione delle concessioni. Non riguarda solo il raggiungimento di un accordo, ma anche la qualità della relazione che ne scaturisce. Include competenze di ascolto attivo, gestione delle emozioni, riconoscimento reciproco degli interessi e costruzione di opzioni creative per il compromesso. Riferimenti: Fisher, Ury, Patton (2011); Grice (1975).
  • Comunicazione collaborativa. Il suo scopo primario è quello di costruire valore condiviso attraverso l’interazione. Tipica di contesti di co-creazione, brainstorming, progettazione partecipata, lavoro di squadra. Richiede capacità di ascolto attivo, gestione dei turni conversazionali, valorizzazione dei contributi altrui. Si basa sulla costruzione di significati condivisi e sull’intelligenza collettiva. Presuppone apertura, disponibilità ad apprendere dagli altri e capacità di integrare prospettive diverse, spesso emergendo come comunicazione “in divenire” più che come scambio definito a priori. Riferimenti: Surowiecki (2004).
  • Comunicazione di relazione. Il suo scopo primario è quello di costruire e mantenere legami di fiducia e reciprocità. Presente in tutte le interazioni umane a lungo termine: rapporti personali, leadership, customer relationship management. Il contenuto veicolato è spesso meno importante della qualità del rapporto che si costruisce. Agisce prevalentemente sul piano implicito e paraverbale, oltre che sul contenuto esplicito. Le componenti emotive, i segnali di attenzione e rispetto, la congruenza tra parole e comportamenti sono centrali per costruire e mantenere fiducia e reciprocità. Riferimenti: Goleman (1995); Rosenberg (2003).
  • Comunicazione esplorativa. Il suo scopo primario è quello di costruire nuova conoscenza o comprensione condivisa. Si realizza attraverso domande aperte, dialoghi socratici, discussioni scientifiche, esplorazione di scenari complessi. È comunicazione ad alto valore cognitivo, fondata sulla ricerca di senso. Richiede tolleranza per l’ambiguità e apertura alla scoperta. Le domande hanno spesso più valore delle risposte, e il dialogo è orientato non a chiudere il senso ma ad aprirlo, favorendo la riflessione e la co-costruzione di nuove conoscenze o interpretazioni. Riferimenti: Metodo Socratico; Schön (1983); Clark (1996).
  • Comunicazione di supporto. Il suo scopo primario è quello di favorire la crescita, il benessere o la resilienza dell’interlocutore. Comprende pratiche di coaching, mentoring, counseling, comunicazione educativa. Richiede empatia, capacità di feedback costruttivo, rispetto dei tempi dell’altro. Si distingue per la sua attenzione ai bisogni emotivi, motivazionali e di sviluppo dell’altro. Richiede empatia autentica, sospensione del giudizio e capacità di calibrare il proprio intervento in funzione del momento e della situazione dell’interlocutore. Riferimenti: Whithmore (1992); Meggison et al. (2005).
  • Comunicazione creativa. Il suo scopo primario è quello di stimolare immaginazione, ispirazione e coinvolgimento. Presente nel storytelling, nelle arti performative, nei processi di design thinking. Fa leva su metafore, narrazioni, immagini, gioco linguistico, creando nuove cornici interpretative. Attiva processi di pensiero divergente, favorendo nuove connessioni tra idee e nuovi modi di vedere la realtà. È fortemente dipendente dal contesto culturale e dalla disponibilità emotiva dei partecipanti, e può fungere da potente leva per il cambiamento. Riferimenti: McKee (1997); Brown (2015).
  • Comunicazione riflessiva. Il suo scopo primario è quello di stimolare consapevolezza, apprendimento e revisione critica. Si manifesta nel feedback formativo, nelle pratiche di auto-riflessione guidata, nei processi di debriefing. Richiede un clima di fiducia e competenze metacomunicative. Stimola il metapensiero e la consapevolezza, sia nei singoli che nei gruppi. È particolarmente efficace nei contesti di apprendimento, di sviluppo della leadership e nei processi di miglioramento continuo, poiché porta a interiorizzare le esperienze e a trarne insegnamenti. Riferimenti: Argyris & Schön (1978); Kolb (2015).
  • Comunicazione regolativa. Il suo scopo primario è quello di definire e regolare comportamenti, ruoli e processi. Include la comunicazione normativa, la governance organizzativa, la definizione di ruoli e responsabilità. Spesso trascurata, è invece fondamentale per il funzionamento fluido dei sistemi complessi. Non si limita alla definizione di norme e procedure, ma ha una funzione fondamentale di costruzione e mantenimento di un ordine sociale condiviso. La sua efficacia dipende dalla trasparenza, dalla coerenza e dalla percezione di legittimità da parte dei destinatari. Riferimenti: Weick (1995); Watzlawick et al. (1967).

Il framework qui proposto offre quindi una mappa operativa della comunicazione interpersonale, utile non solo per l’analisi, ma soprattutto per la progettazione di interazioni efficaci. Non è ovviamente un modello “normativo” (le categorie possono sovrapporsi e combinarsi), ma uno strumento per:

  • riconoscere il tipo di interazione prevalente in un contesto dato;
  • selezionare i pattern e framework di comunicazione più adatti (tema che svilupperemo nella sezione successiva);
  • valutare la qualità della comunicazione in relazione agli scopi perseguiti.

In prospettiva, l’applicazione di pattern e framework di Prompt Engineering a queste categorie potrebbe sia contribuire al miglioramento della comunicazione uomo-IA, che offrire nuove pratiche per riqualificare la comunicazione tra esseri umani, oggi, come abbiamo visto, spesso impoverita o disfunzionale nei contesti professionali (Carr, 2010; Turkle, 2015).

Prompting Humans come strumento operativo per la comunicazione tra persone

L’interazione con i LLM ci sta “educando” a una comunicazione più chiara, intenzionale e contestuale. Come abbiamo visto, ciò avviene attraverso l’uso di pattern e framework di prompt engineering, i quali rappresentano, di fatto, pratiche linguistiche e cognitive che valorizzano la qualità del dialogo. Ma se questi pattern sono così efficaci nell’interazione uomo-macchina, perché non considerarli anche come strumenti di miglioramento della comunicazione interpersonale?

Il paradigma che qui proponiamo, Prompting Humans, parte proprio da questa osservazione: molte delle tecniche di prompting che oggi usiamo con i LLM possono essere “riportate” nella comunicazione tra esseri umani, per renderla più efficace, più intenzionale e più centrata sul valore percepito della risposta. Per farlo in modo sistematico, abbiamo costruito una matrice che mette in relazione le categorie funzionali della comunicazione interpersonale (definite nella sezione precedente) con alcuni dei pattern e framework di prompting più consolidati e rilevanti. In particolare, per valorizzare l’applicazione dei prompt pattern e dei prompt framework alla comunicazione interpersonale, abbiamo esaminato le dieci tipologie funzionali di comunicazione precedentemente proposte, individuando — per ciascuna — i pattern e/o framework consigliati, in ordine di rilevanza e di efficacia. Questa selezione si fonda su criteri funzionali, cognitivi e relazionali, coerenti con gli obiettivi della comunicazione stessa, e rappresenta un primo riferimento operativo per il paradigma Prompting Humans (Fig.1).

Fig.1 – Rappresentazione del Paradigma Prompting Humans

Nella comunicazione informativa, il framework RTF è il più indicato per garantire chiarezza e struttura; segue TAG, che consente di adattare il contenuto al destinatario e agli obiettivi specifici. Il Template Pattern è utile quando la comunicazione è ricorrente, mentre il Fact-Check List Pattern aiuta a verificarne completezza e correttezza.

Nella comunicazione persuasiva, è particolarmente efficace il Persona Pattern, che consente di assumere un’identità credibile e coinvolgente. Il Chain of Thought aiuta a costruire un’argomentazione graduale, mentre il framework CO-STAR permette di calibrare stile, tono e impatto. Sono inoltre utili l’Alternative Approaches Pattern, per gestire obiezioni, e CREATE, per una piena coerenza tra contesto, ruolo e tono.

Nella comunicazione negoziale, il Chain of Thought si conferma centrale per strutturare razionalmente le argomentazioni. L’Alternative Approaches Pattern consente di esplorare più opzioni di compromesso, mentre il Flipped Interaction Pattern aiuta a comprendere prospettive diverse. Il framework CREATE supporta la complessità del contesto, e RTF chiarisce ruoli e compiti.

Nella comunicazione collaborativa, il framework CREATE è il più completo per sostenere una collaborazione contestualizzata e relazionale. Seguono il Chain of Thought, che facilita la co-costruzione del significato, e il Flipped Interaction Pattern, che stimola reciprocità e parità di scambio. Il Question Refinement Pattern raffina l’allineamento reciproco, e TAG agevola la coordinazione.

Nella comunicazione di relazione, il Persona Pattern è la leva principale per creare sintonizzazione emotiva e identitaria. Il Flipped Interaction Pattern favorisce l’ascolto e la reciprocità, mentre CREATE consente di governare tono, ruolo e contesto. Il Chain of Thought può essere utile per modulare la progressività dell’apertura comunicativa.

Nella comunicazione esplorativa, il Chain of Thought consente di aprire il pensiero e articolare ipotesi. Il Question Refinement Pattern stimola riflessione e profondità. Il Flipped Interaction Pattern favorisce prospettive alternative, mentre il Few-Shot Prompting consente di esplorare varianti e possibilità. In contesti dialogici, può essere utile anche il pattern socratico, in forma derivata.

Nella comunicazione di supporto, il Persona Pattern è fondamentale per generare prossimità ed empatia. Il framework CREATE permette di calibrare con precisione il tono e l’intenzione. Il Chain of Thought aiuta a supportare l’elaborazione dell’interlocutore, mentre il Flipped Interaction Pattern promuove un ascolto attivo autentico. Il Question Refinement Pattern aiuta a far emergere bisogni impliciti.

Nella comunicazione creativa, il pattern di generazione continua (Infinite Generation) stimola la produzione divergente di idee. Il Chain of Thought incoraggia connessioni nuove, mentre il Few-Shot Prompting offre esempi variati per ispirare. Il Flipped Interaction Pattern rompe la linearità consueta, e il framework CO-STAR consente narrazioni creative orientate a obiettivi.

Nella comunicazione riflessiva, il Reflection Pattern è lo strumento elettivo per stimolare metacognizione e consapevolezza. Il Chain of Thought rende trasparente il percorso del pensiero, mentre il Question Refinement Pattern sostiene l’autoanalisi. Il framework CREATE contribuisce a integrare la riflessione in un contesto relazionale; in contesti educativi può essere utile anche il pattern socratico.

Nella comunicazione regolativa, il framework RTF garantisce la chiarezza esecutiva nei ruoli, nelle azioni e nei formati. Il Template Pattern standardizza la comunicazione ricorrente, mentre il Fact-Check List Pattern contribuisce a verificarne affidabilità e rigore. Il framework TAG consente di orientare i messaggi rispetto al pubblico, e CO-STAR può essere usato per comunicazioni regolative a forte impatto direzionale.

Scenari futuri e sfide etiche del prompting interpersonale

Il paradigma del Prompting Humans introduce una visione sistemica della comunicazione interpersonale che ne valorizza la progettualità, la consapevolezza e la operatività. Tuttavia, proprio per la sua natura innovativa e trasversale, questo paradigma apre una serie di linee di sviluppo potenzialmente molto promettenti, ma anche di sfide non trascurabili, sia in termini epistemologici sia applicativi.

Estensione e raffinamento dei framework operativi. Un primo ambito di sviluppo riguarda il raffinamento e la specializzazione dei framework esistenti, ma anche l’eventuale progettazione di nuovi framework dedicati esclusivamente alla comunicazione interpersonale.

Pattern come Chain of Thought, Persona, Template o framework come RTF e CREATE si dimostrano già efficaci in ambito umano-umano, ma sono comunque nati per contesti di interazione con modelli LLM. I futuri sviluppi potranno orientarsi verso l’adattamento sistematico dei pattern esistenti con integrazioni emotive, relazionali o meta-comunicative, la creazione di pattern originali per ambienti cooperativi, conflittuali o ad alta asimmetria relazionale, l’elaborazione di micro-framework contestuali, specifici per ambienti come riunioni decisionali, colloqui valutativi, negoziazioni complesse o comunicazioni inter-culturali. Un obiettivo di lungo periodo potrebbe quindi essere l’integrazione dei framework in modelli conversazionali espliciti, che possano essere insegnati, appresi, simulati e valutati anche in ambito educativo e professionale.

Nuovi metodi per il training umano alla comunicazione strutturata. Un secondo sviluppo cruciale riguarda l’ambito formativo e metodologico. Se i LLM sono addestrati tramite strategie basate su corpus, supervisione umana, reinforcement learning e self-reflection, emerge la questione delle strategie più efficaci per sviluppare delle competenze comunicative che siano rivolte a comunicare meglio con altri esseri umani, secondo principi comparabili di ottimizzazione. In questa prospettiva, possibili direzioni possono includere l’utilizzo di prompt pattern nella formazione soft skills (es. leadership, negoziazione, teamwork), lo sviluppo di simulatori conversazionali umani-umani, analoghi a quelli IA, ma orientati al miglioramento comunicativo, la definizione di metriche di qualità conversazionale basate non solo su contenuto e forma, ma anche su allineamento di intenzioni, chiarezza degli obiettivi e reciprocità relazionale. Queste metodologie potrebbero rappresentare una significativa evoluzione della formazione comunicativa, attualmente ancora troppo spesso ancorata a modelli lineari e scarsamente misurabili.

Interazione ibrida: comunicazione interpersonale mediata da IA. Un ulteriore sviluppo riguarda il ruolo delle intelligenze artificiali nella facilitazione della comunicazione interpersonale. Già oggi, assistenti virtuali, strumenti di sintesi e analisi del linguaggio, piattaforme di collaborazione intelligente stanno trasformando il modo in cui le persone comunicano. Tuttavia, il paradigma del Prompting Humans apre a possibilità più profonde e a possibili scenari emergenti, quali strumenti che suggeriscono in tempo reale pattern di comunicazione durante un dialogo (es. “usa un approccio Chain of Thought”), sistemi di coaching conversazionale assistito, che aiutano i professionisti a migliorare la qualità delle loro interazioni critiche, e ambienti collaborativi dotati di “IA facilitatori”, che supportano team nel negoziare, decidere, convergere. Questi scenari pongono però la necessità di definire ruoli, limiti, etica e trasparenza della mediazione IA, evitando che diventi surrogato o manipolazione della relazione umana.

Misurabilità e valutazione della qualità comunicativa. Uno dei temi più promettenti ma anche più sfidanti è la valutazione oggettiva della qualità della comunicazione interpersonale. L’utilizzo di pattern e framework strutturati potrebbe fornire, per la prima volta, una base operativa per misurare la comunicazione non in base a parametri puramente psicologici o soggettivi, ma secondo, ad esempio, la coerenza tra intento e struttura del messaggio, l’adeguatezza tra contenuto, audience e obiettivo, e/o l’aderenza al pattern adottato e rispetto della sequenzialità logica o emotiva. Queste metriche potrebbero configurarsi come strumenti strutturati e utili per valutare competenze comunicative in contesti HR, formazione, consulenza, project management, negoziazione e sanità, dove i contenuti in senso stretto da soli non bastano e la forma risulta comunque determinante ai fini dell’efficacia.

Evoluzione del prompting verso interazioni metacognitive. Una delle direzioni più affascinanti consiste nell’evoluzione del prompting verso forme di meta-comunicazione consapevole, in cui gli interlocutori non solo strutturano le loro interazioni, ma ne parlano, le valutano, le correggono. L’introduzione di metaprompt (prompt per valutare, riflettere, riformulare altri prompt) nei LLM suggerisce come anche la comunicazione interpersonale possa evolvere verso un approccio meta-riflessivo (es. “abbiamo davvero chiarito il nostro obiettivo?”), auto-correttivo (es. “questa formulazione è ambigua, riformuliamo in modo RTF”), e/o apprendente (es. “quale pattern ha funzionato meglio nel nostro dialogo?”). L’integrazione esplicita di questi livelli metacognitivi potrebbe innalzare significativamente la qualità dei processi comunicativi e decisionali nei contesti complessi.

Prompting Humans e intelligenza collettiva. Un’altra prospettiva di sviluppo riguarda la gestione della comunicazione nei gruppi, nei team, nelle reti collaborative. Il prompting potrebbe costituire una grammatica condivisa di interazione in ambienti dove la qualità delle relazioni è decisiva per il successo. Si apre quindi il campo a framework conversazionali per team, con ruoli e turni strutturati secondo pattern condivisi, protocolli di dialogo per la co-creazione (es. design thinking, deliberative democracy, agile retrospectives), e/o strumenti di facilitazione che monitorano l’aderenza al framework comunicativo prescelto (es. CO-STAR per presentazioni strategiche, TAG per briefing operativi). In questo senso, il Prompting Humans può diventare un abilitatore di intelligenza collettiva, trasformando la conversazione in un artefatto progettabile e replicabile.

Nuove sfide: ambiguità, resistenza, eccessiva strutturazione. Tutti questi sviluppi si accompagnano, inevitabilmente, a nuove criticità e interrogativi. Il rischio di un’eccessiva strutturazione delle conversazioni potrebbe minare spontaneità, empatia e creatività. Inoltre, pattern e framework, se usati meccanicamente o senza consapevolezza, possono diventare gabbie espressive. Tra le principali sfide aperte, la necessità di bilanciare struttura e autenticità, di gestire la resistenza culturale a strumenti percepiti come artificiali o formalizzanti, di formare al prompting persone con stili comunicativi divergenti o non lineari, di evitare che il prompting umano degeneri in manipolazione strategica… Affrontare queste domande richiederà, oltre a ricerca applicata, anche un approccio etico e umanistico, che riconosca comunque la dignità dell’interazione umana come scambio dialogico e non come semplice sequenza di comandi.

In conclusione, il paradigma del Prompting Humans si presenta come una proposta innovativa che introduce una nuova dimensione nella comunicazione, in quanto prevede di integrare armonicamente nella comunicazione interpersonale le migliori pratiche nate dall’interazione uomo-IA, senza per questo ridurre la persona all’automa, ma al contrario riappropriandosi del linguaggio come strumento di progettazione relazionale. I futuri sviluppi indicano una traiettoria verso una comunicazione più consapevole, più strutturata, ma anche più libera e riflessiva, mentre le nuove sfide, se affrontate con rigore e responsabilità, potranno trasformarsi in opportunità per ripensare il modo in cui parliamo, ascoltiamo e costruiamo senso insieme.

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