In mercati sempre più instabili l’agentic ai segna il passaggio da strumenti reattivi a ecosistemi adattivi. Agenti capaci di pianificare, agire e apprendere trasformano R&S, metriche di successo e governance, rafforzando resilienza e velocità di apprendimento.
In questo quadro, vediamo perché i modelli lineari non bastano più e come l’Agentic AI cambia le metriche del successo.
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Perché i modelli lineari non bastano più
L’innovazione, storicamente motore del progresso, si confronta oggi con scenari di volatilità, incertezza e complessità senza precedenti. In questo contesto iper-dinamico, i modelli gestionali lineari e sequenziali non sono più sufficienti a garantire risultati duraturi. Emerge la necessità di approcci più agili e adattivi, dove il successo viene definito da nuove metriche, diverse da quelle a cui siamo tradizionalmente abituati.
Se l’Intelligenza Artificiale Generativa (GenAI) ha offerto una prima spinta riducendo i tempi di creazione di contenuti, tuttavia, la sua natura reattiva e la dipendenza dall’input umano limitano il suo impatto strategico nei progetti di R&S caratterizzati da forte dinamicità.
La nuova frontiera è rappresentata dall’Agentic AI, sistemi dotati della capacità di agire autonomamente, pianificare, apprendere dai risultati e coordinarsi con umani e altri agenti. L’Agentic AI può trasformare la gestione dell’innovazione attraverso lo scouting di opportunità in tempo reale, la simulazione di scenari what-if e relativi rischi, l’ottimizzazione della collaborazione tra stakeholder, riducendo il time-to-market e abilitando cicli continui di sperimentazione. Nonostante opportunità significative, non si è avulsi da diversi potenziali rischi.
In sintesi, la vera “rivoluzione silenziosa” è quindi culturale: l’Agentic AI deve essere intesa come un amplificatore delle capacità umane: il successo futuro dipenderà dalla capacità dell’organizzazione di integrare questi agenti in ecosistemi resilienti, definendo nuove metriche basate sulla capacità di adattamento e apprendimento continuo.
L’innovazione rappresenta da sempre il cuore del motore pulsante del progresso tecnologico, economico e sociale. Mai come negli ultimi anni ci siamo trovati a vivere in un contesto, definito prima VUCA e poi BANI, caratterizzato da volatilità, incertezza e complessità senza precedenti (Nambisan et al., 2019) che ha influenzato anche i progetti d’innovazione. Se in passato le imprese o più in generale le organizzazioni potevano ambire al successo attraverso un percorso lineare, la globalizzazione dei mercati, l’accelerazione dei cicli tecnologici e la crescente interconnessione dei sistemi socio-economici rendono sempre più arduo un approccio di questo tipo. Le aziende si trovano a dover navigare attraverso scenari mutevoli, dove quel che funziona oggi, che sia un approccio, un prodotto o altro, può risultare obsoleto domani, e dove al posto della capacità di pianificare in anticipo (Brynjolfsson & McAfee, 2017), risulta rilevante e sempre più vincente la capacità di adattarsi.
Proprio perché l’ambiente è instabile, i processi sequenziali soffrono di rigidità che rallenta apprendimento e decisioni.
Fine dell’illusione sequenziale: dallo stage-gate all’agile
A partire da questo quadro di riferimento, i modelli tradizionali di gestione dell’innovazione mostrano ormai evidenti limiti. La logica predominante, che per decenni ha guidato le attività di ricerca e sviluppo, sequenziale e rigida, non è più sufficiente a garantire risultati duraturi (Cockburn, Henderson & Stern, 2018). Il rischio di fallimenti, ritardi e dispersione delle risorse è elevato, e persino le organizzazioni più strutturate si trovano spesso a rincorrere i cambiamenti, piuttosto che anticiparli. Nasce dunque l’urgenza di nuovi approcci, metodi e strumenti di supporto capaci di rendere i processi di innovazione più agili, adattivi e resilienti (von Krogh, 2018).
La digitalizzazione negli ultimi anni ha rappresentato un boost senza precedenti in questo processo di innovazione anche a livello metodologico e più di recente l’Intelligenza Artificiale, soprattutto quella generativa, ha catalizzato un enorme interesse, offrendo nuove possibilità creative e operative (Kaplan & Haenlein, 2020). La sua capacità di produrre testi, immagini e soluzioni originali ha aperto prospettive inedite anche per l’innovazione. Tuttavia, nonostante il grande entusiasmo che caratterizza spesso innovazioni di tale portata, emergono anche limiti: la generazione di contenuti rimane in gran parte statica e legata a input umani, mentre la gestione dei progetti d’innovazione richiede una dinamicità continua, la capacità di osservare l’ambiente, prendere decisioni e adattarsi in tempo reale (Russell & Norvig, 2020).
È proprio qui che entra in gioco una nuova frontiera tecnologica: la cosiddetta Intelligenza Artificiale Agentica (Agentic AI). Non più soltanto sistemi generativi, ma agenti intelligenti in grado di agire autonomamente, apprendere, coordinarsi e supportare i team nel prendere decisioni strategiche (Bengio, 2022; Park et al., 2023). Una rivoluzione che avanza e che promette di trasformare radicalmente i criteri stessi con cui valutiamo il successo dei progetti d’innovazione. Non si tratta più soltanto di realizzare e consegnare un prodotto nel rispetto di tempi e costi previsti, ma soprattutto massimizzare il potenziale di valore, riducendo sprechi e accelerando la capacità di apprendimento collettivo (Rahwan et al., 2019).
Questa è la rivoluzione silenziosa: un cambiamento che non si limita a introdurre nuove tecnologie, ma ridefinisce il concetto stesso di innovare. Nel corso di questo articolo, a partire dall’intrinseca complessità dei progetti d’innovazione, verrà analizzato come l’Agentic AI può intervenire a supporto dei team di ricerca e sviluppo e a quali opportunità e rischi bisognerà fare fronte anche e soprattutto con approcci manageriali e competenze diverse dal passato. Infine, verrà posto un punto d’attenzione su come le organizzazioni possono prepararsi a un futuro, ma che è già il presente, in cui il successo non è più legato a un traguardo statico, ma a un processo continuo di adattamento e apprendimento strategico.
Innovazione come sinonimo di incertezza
Innovare è di fatto sinonimo d’incertezza. Ogni progetto di ricerca e sviluppo nasce da un’idea che, per quanto promettente, porta con sé variabili incontrollabili: la risposta del mercato, l’evoluzione tecnologica, i vincoli normativi, le dinamiche competitive (Cockburn, Henderson & Stern, 2019), oggi possiamo aggiungere anche il contesto socio-politico. A differenza dei processi, tipicamente considerati consolidati e legati alle operations, l’innovazione non si muove in un contesto di stabilità, ma in un terreno caratterizzato da rischio elevato, imprevedibilità e sempre più dal cambiamento. Se in passato il cambiamento poteva essere considerato come un’eccezione, oggi è sempre più una variabile da tenere sempre in considerazione. Secondo alcuni studiosi, l’unica certezza è rappresentata dall’incertezza stessa (Paulos, Baumann) e studi recenti mostrano che una percentuale significativa dei progetti innovativi non raggiunge mai la fase di commercializzazione, e che soltanto una minima parte genera ritorni economici in linea con le attese (Zhou et al., 2022), proprio a causa di queste dinamiche sempre più mutevoli.
Come già accennato, per decenni, le imprese hanno affrontato questa sfida affidandosi a modelli gestionali di tipo lineare e sequenziale. Uno dei più diffusi è lo stage-gate model, che scandisce l’avanzamento dei progetti in fasi successive (ricerca, sviluppo, test, lancio), con momenti di verifica e validazione formale (gate) tra una fase e l’altra (stage). Questo approccio ha avuto il merito di introdurre rigore metodologico e trasparenza decisionale (gate pass criteria), ma ormai mostra limiti evidenti in un contesto iper-dinamico come quello odierno in cui operano le aziende (Kaplan & Haenlein, 2020): ogni ritardo, ogni pivot necessario, diventa costoso e rallenta l’intero processo. Inoltre, la rigidità di tali modelli porta spesso a una visione del progetto come percorso chiuso, in cui l’obiettivo è “arrivare in fondo”, piuttosto che “imparare strada facendo”, secondo una logica agile, caratterizzata da un approccio empirico e iterativo.
Sperimentare meglio e più in fretta: limiti e premesse
Proprio per questi motivi, negli ultimi anni, la crescente complessità ha favorito l’adozione di approcci alternativi. Metodologie come il design thinking, il lean startup e l’agile development hanno introdotto il concetto di sperimentazione rapida e di iterazione continua (Nambisan et al., 2019). L’idea di fondo è che il valore emerga attraverso cicli successivi di ipotesi, test e correzione, riducendo l’impatto degli errori e trasformandoli in opportunità di apprendimento. In questo modo, il fallimento non è più visto solo con un’accezione negativa, ma come una componente fisiologica del processo di innovazione (Brynjolfsson & McAfee, 2017).
Tuttavia, anche questi modelli, pur essendo più flessibili, non risolvono tutte le criticità. Per essere davvero efficace e dirompente, la sperimentazione rapida richiede enormi quantità di dati, la capacità di interpretare segnali deboli e la disponibilità di risorse per eseguire numerosi test (Ha & Schmidhuber, 2018). Inoltre, la pressione sui tempi è sempre più forte: il time to market per portare sul mercato una nuova soluzione si riduce costantemente, e i competitor possono ribaltare le dinamiche di un settore nel giro di pochi mesi (Silver et al., 2021).
Ridefinire il successo: adattamento, apprendimento, valore sostenibile
È in questo scenario che le imprese si trovano spesso a dover scegliere sull’eterno dilemma: puntare su progetti potenzialmente dirompenti, ma rischiosi, o su progetti incrementali, più sicuri ma meno trasformativi (Cockburn et al., 2018)?
Ma quindi, quando un progetto viene ritenuto di successo? Forse è opportuno dire che il concetto stesso di successo si è evoluto. Se in passato, un progetto innovativo di successo era definito principalmente dal rispetto dei tempi e del budget, oltre che dall’introduzione sul mercato di un nuovo prodotto o servizio, oggi, invece, il successo tende a essere misurato secondo altre variabili, quali ad esempio: la capacità di apprendimento, la rapidità di adattamento e la generazione di valore sostenibile (von Krogh, 2018). Non basta più essere rapidi e arrivare prima: occorre arrivare con una soluzione capace di rispondere a bisogni reali, adattarsi a contesti in evoluzione e mantenere un impatto duraturo nel tempo (Pasquale, 2020).
Questo spostamento di prospettiva è sempre più cruciale. L’innovazione non è più un traguardo, ma un processo continuo, un ciclo di apprendimento collettivo che richiede strumenti capaci di ridurre l’incertezza e aumentare la resilienza dei team di ricerca e sviluppo (Zhou et al., 2022). È proprio in questa duplice tensione tra rischio e opportunità, tra linearità e adattività, che la nuova generazione di intelligenze artificiali – e in particolare la Agentic AI – trova il suo spazio naturale di applicazione (Bengio, 2022). Questa nuova capacità di osservare, agire e apprendere in maniera autonoma rende infatti questi sistemi potenzialmente ideali per supportare i progetti innovativi, trasformando la gestione dell’incertezza da ostacolo insormontabile a leva strategica (Rahwan et al., 2019).
Oltre la genai: che cos’è l’agentic AI
Negli ultimi anni l’Intelligenza Artificiale Generativa ha avuto un ruolo di primo livello, nei dibattiti sviluppati sia a livello aziendale, accademico e ovviamente pubblico. Questa innovativa capacità di generare contenuti, testi, immagini, codice o altre elaborazioni più complesse a partire da istruzioni relativamente semplici, ha aperto nuovi scenari inediti, senza precedenti, anche per quel che riguarda la sua applicabilità ai processi di innovazione (Kaplan & Haenlein, 2020). L’insieme di questi nuovi strumenti, come i modelli linguistici di grandi dimensioni (LLM) per citarne uno, hanno dimostrato concretamente di poter ridurre drasticamente le tempistiche per sviluppare analisi documentale, redigere un report, piuttosto che sviluppare nuove idee, concetti fino anche ad arrivare a prototipi (Russell & Norvig, 2020). Nonostante queste grandi potenzialità, tuttavia, la GenAI ha mostrato alcuni limiti: ad oggi, lo sviluppo e la produzione di nuovi contenuti è ancora vincolata all’input umano, dal momento che i modelli non hanno capacità autonome di pianificare azioni né tantomeno di agire o meglio reagire in modo dinamico a fronte di un cambiamento.
Se questo non ha impatti particolarmente rilevanti per quel che riguarda l’utilizzo dell’AI a livello personale, diverso è il caso che riguarda un’organizzazione e in particolare processi e progetti d’innovazione, dove questo aspetto diventa un “limite” abbastanza rilevante. L’innovazione, non può più essere considerata alla stregua di un percorso lineare, ma piuttosto un processo iterativo che richiede feedback e reloop costanti, unita ad una capacità e sensibilità di tenere in considerazione le condizioni al contorno, per poter selezionare le ipotesi più promettenti e scartare quelle meno rilevanti (Cockburn, Henderson & Stern, 2019). In questo contesto, una tecnologia puramente generativa rischia di essere un acceleratore parziale: sicuramente molto utile, come visto, per ridurre i tempi di elaborazione di contenuti o idee, ma insufficiente per poter supportare un impatto strategico, e stimolare capacità decisionali come quelle tipiche che caratterizzano le attività di ricerca e sviluppo.
È a partire da questo contesto che è emersa la nuova frontiera dell’intetelligenza artificiale: l’Agentic AI. Con questa accezione si fa riferimento a sistemi dotati di proprietà cosiddette “agentiche”, quali la capacità di pianificare azioni, apprendere dai risultati, coordinarsi con gli essere umani ma anche con altri agenti per svolgere attività più complesse (Wooldridge, 2021; Bengio, 2022). La differenza fondamentale quindi tra GenAI e l’AI agentica, è che mentre la prima si limitava a generare un determinato output a partire da un’iniziativa o input umano, la seconda è in grado di andare oltre, prendere iniziative in modo autonomo, interfacciandosi e interagendo con altri soggetti e fonti, inclusi altri agenti autonomi. In tal senso, ci sono studi (Park et al. , 2023), che hanno simulato il funzionamento di una comunità di agenti capaci di comportamenti sociali complessi, come pianificare eventi, scambiare informazioni e coordinarsi spontaneamente. Questi esperimenti mostrano come la dimensione agentica di fatto permetta un salto qualitativo: non più entità “reattive” che rispondono solo se stimolate da un input, ma entità digitali che interagiscono e collaborano attivamente al raggiungimento di uno scopo condiviso.
Cinque applicazioni chiave nei progetti d’innovazione
Con riferimento quindi ai progetti d’innovazione vediamo alcuni esempi concreti, dove l’Agentic AI potrebbe dare un valore aggiunto:
- Scouting di nuove opportunità – Agenti intelligenti possono analizzare in tempo reale grandi quantità di informazioni, dai brevetti alle pubblicazioni scientifiche, fino alle tendenze di mercato, identificando segnali deboli e opportunità emergenti che i team umani rischierebbero di trascurare (Zhou et al., 2022).
- Supporto al problem framing – La messa a fuoco e definizione corretta di un’esigenza o di un problema è spesso la parte più difficile del processo d’innovazione. La Agentic AI può aiutare a confrontare diversi approcci e proporre schemi di analisi per ridurre i bias cognitivi e favorire nuove prospettive a partire dall’analisi del contesto di riferimento (von Krogh, 2018).
- Generazione e selezione delle idee più promettenti – Non solo sviluppo di alternative progettuali, ma anche capacità di valutazione in base a metriche predeterminate, come fattibilità tecnica, impatto potenziale o allineamento strategico, piuttosto che schemi non convenzionali, per sviluppare analisi di scenari e confrontare le diverse opportunità (Cockburn et al., 2018).
- Simulazione e valutazione dei rischi – Grazie alla capacità di modellare scenari complessi, gli agenti possono supportare i team nell’esplorare l’effetto di decisioni alternative (what-if), evidenziando rischi e opportunità non immediatamente visibili (Silver et al., 2021).
- Organizzazione e sviluppo collaborativo tra i vari stakeholder – La ricerca e sviluppo è da sempre stata una pratica collaborativa che coinvolge esperti di discipline diverse, startup, centri di ricerca e partner industriali. La Agentic AI può fungere da “collante digitale”, organizzando e coordinando attività, segnalando interdipendenze e ottimizzando la distribuzione delle risorse, mantenendo una visione integrata del progetto tra i diversi stakeholder (Rahwan et al., 2019).
Sono stati citati alcuni esempi applicativi dell’Agentic AI nell’ambito dell’innovazione, da cui appare immediatamente chiaro come queste nuove capacità portano a impatti tangibili: una riduzione del time-to-market, una migliore allocazione delle risorse, la possibilità di ridurre sprechi legati a ipotesi sbagliate e, soprattutto, la creazione di un ciclo virtuoso di apprendimento continuo. La gestione dell’innovazione non si configura più quindi come un insieme di fasi predefinite, ma come un ecosistema dinamico dove agenti e umani collaborano per massimizzare il potenziale di successo (Nambisan et al., 2019).
Da strumento creativo a partner strategico: la transizione culturale
Traguardando quindi scenari e prospettive future, il passaggio dalla GenAI all’Agentic AI può essere meglio descritto come la transizione da uno strumento “creativo” a una sorta di partner strategico che supporta i processi decisionali orientati all’innovazione. In questo senso il nuovo ruolo dell’Agentic AI è quello di abilitare nuovi approcci e modelli all’innovazione, più rapida, resiliente e adattativa. Il fine ultimo diventa quello di sviluppare agenti in grado di agire efficacemente all’interno di sistemi più complessi che integrano la componente umana con quella tecnologica (Bengio 2022).
Benefici strategici: velocità, democratizzazione, governance, resilienza
Il valore che può essere generato in senso lato per le organizzazioni rappresenta la prospettiva più significativa dell’applicazione dell’Agentic AI, andando oltre quelle che sono le sue capacità tecniche intrinse. In tal senso, abbiamo discusso già come l’Intelligenza Artificiale Generativa abbia dimostrato di poter velocizzare attività a basso valore aggiunto e ridurre tempi di creazione di contenuti, mentre la dimensione agentica si possa spingere ben oltre questi confini, trasformando radicalmente la gestione dell’innovazione, aumentando la resilienza, così come su una dimensione più soft la velocità e la capacità di apprendimento collettivo delle organizzazioni (Bengio, 2022; Park et al., 2023).
In termini di nuove opportunità e benefici, indubbiamente uno dei vantaggi principali è rappresentato dalla capacità di accelerazione dei cicli di innovazione. A partire dall’analisi di dati eterogenei, che possono a loro volta aggiornarsi in tempo reale, gli agenti intelligenti sono in grado di anticipare cambiamenti tecnologici e di mercato, suggerendo possibili correzioni per prevenire che un progetto fallisca. Questo ovviamente riduce il rischio di sprechi e consente di concentrare le risorse sulle iniziative a più alto potenziale e maggiormente coerenti con quella che è la strategia aziendale (Cockburn, Henderson & Stern, 2019).
Un ulteriore beneficio riguarda la cosiddetta “democratizzazione dell’innovazione”. In passato era prassi, più o meno consolidata, solo all’interno di grandi organizzazioni di avere processi strutturati di R&S; questa barriera oggi può viceversa essere abbattutta anche per le PMI o altre entità quali startup e microimprese, grazie all’utilizzo degli agenti AI (Nambisan et al., 2019). E’ implicito che in questo scenario, aumenta di conseguenza il numero di attori parte dell’ecosistema dell’innovazione, e questo genera di per sè maggiori possibilità per tutti e la possibilità ulteriore di accelerare la velocità dell’innovazione, potendo sfruttare un numero maggiore di contributi, idee e soluzioni.
Da un punto di vista più strategico per l’organizzazione, in termini di governance complessiva delle iniziative che deve gestire, abbiamo visto che chi ha compiti decisionali, grazie all’Agentic AI può essere guidato con nuovi approcci e informazioni in tempo reale nella scelta di quali progetti finanziare, quali scartare e su quali concentrare gli sforzi, migliorando di conseguenza l’allocazione delle risorse disponibili che sono sempre limitate. In tal senso, gli agenti diventano sempre più dei veri e propri assistenti strategici, capaci di correlare gli obiettivi strategici dell’organizzazione, rispetto alle esigenze del mercato, sempre più dinamico e personalizzato, tenendo in considerazione anche l’evoluzione tecnologica, a sua volta inarrestabile.
Da ultimo, va anche sottolineato il concetto di resilienza organizzativa, diventato ormai negli ultimi anni uno dei pilastri fondamentali delle organizzazioni che operando sempre più all’interno di contesti incerti, grazie agli Agenti AI e alla loro possibilità di monitorare costantemente i segnali esterni, possono apportare aggiustamenti in tempo reale, il che significa aumentare la capacità di reagire rapidamente a crisi, cambiamenti o eventuali discontinuità improvvise (Rahwan et al., 2019).
I rischi da presidiare: bias, trasparenza, dipendenze, etica
Come spesso accade, grandi opportunità portano con sè anche rischi significativi e la diffusione della Agentic AI non fa eccezione in tal senso. Sicuramente uno dei rischi più diffusi riguarda il bias algoritmico: se gli agenti apprendono da dati imperfetti o distorti, le decisioni rischiano di replicare e amplificare ancor di più pregiudizi preesistenti (Pasquale, 2020). In un contesto come quello dell’innovazione, dove le scelte definiscono investimenti e direzioni strategiche, il rischio di orientamenti distorti è particolarmente delicato.
Un’ulteriore sfida, già emersa con l’avvento della Gen AI riguarda anche meccanismi di trasparenza e governance sull’utilizzo di questa tecnologia, soprattutto tenendo in considerazione che gli agenti, per definizione, possono prendere decisioni autonome o suggerirne altre secondo logiche non immediatamente comprensibili per l’essere umano. Questo apre dunque il tema dell’interpretabilità delle scelte e della responsabilità ultima su queste: chi è responsabile e chi risponde a fronte di un fallimento strategico se la decisione è stata fortemente influenzata da un sistema agentico? (Kaplan & Haenlein, 2020). Non ultimo, tanto più si spinge su soluzioni tecnologiche di questo tipo, tanto più c’è il rischio di crearne una dipendenza: se chi si occupa di innovazione delega eccessivamente la selezione delle idee o la valutazione dei progetti agli agenti, progressivamente si verrà a creare una mancanza di competenza interna per gestire questi ambiti (von Krogh, 2018). Questo indebolimento delle capacità umane a fronte della tecnologia agentica, rischia dunque di ridurre la creatività, elemento umano ad oggi ancora insostituibile nei processi di innovazione.
Infine, vanno fatte anche considerazioni da un punto di vista etico: agenti capaci di auto-apprendere e coordinarsi tra loro potrebbero essere manipolati, aggirati o indotti a perseguire obiettivi non allineati con quelli umani (Rahwan et al., 2019). Questo apre un fronte di ricerca e regolamentazione parallelo che dovrà necessariamente accompagnare lo sviluppo e la diffusione di queste tecnologie.
Nuove metriche e nuovi ruoli: come cambia il lavoro
Per concludere, guardando al futuro, è plausibile immaginare che la diffusione dell’Agentic AI porterà a una ridefinizione profonda dei modelli di innovazione. Non più pipeline lineari, ma ecosistemi adattivi in cui umani e agenti collaborano in cicli continui di sperimentazione e ottimizzazione (Bengio, 2022). In questa prospettiva, la vera sfida non sarà tanto tecnologica quanto culturale: accettare che il successo non coincide con la certezza del risultato, ma con la capacità di imparare più velocemente degli altri. In questo senso, l’introduzione della Agentic AI non solo cambia i processi, ma ridefinisce anche i ruoli professionali. Figure tradizionali come il project manager o l’innovation manager dovranno imparare a lavorare con agenti autonomi, integrando nei processi decisionali input provenienti da sistemi digitali avanzati. Allo stesso tempo, ricercatori e sviluppatori potranno concentrarsi sulle attività a maggior valore aggiunto, tipiche della componente umana – creatività, pensiero critico, immaginazione – lasciando agli agenti la gestione delle attività ripetitive o di analisi massiva (Brynjolfsson & McAfee, 2017). Tutto ciò, porta anche a una trasformazione delle metriche di successo. Se in passato un progetto innovativo veniva giudicato principalmente sul rispetto di tempi e budget, in futuro ci sarà bisogno di nuove metriche: velocità di apprendimento, capacità di pivot, resilienza ai cambiamenti esterni (Silver et al., 2021). In questo senso, la Agentic AI diventa il catalizzatore di una nuova concezione del successo, più dinamica e orientata alla generazione di valore sostenibile.
Conclusioni: una rivoluzione prima di tutto culturale
La transizione dall’Intelligenza Artificiale Generativa alla Agentic AI rappresenta una delle trasformazioni più significative degli ultimi anni nel rapporto tra tecnologia e innovazione. Se la GenAI ha aperto le porte a una nuova efficienza creativa, l’AI agentica aggiunge la capacità di agire, apprendere e coordinarsi, trasformando gli strumenti digitali da semplici supporti operativi a veri e propri partner strategici nei processi di innovazione (Bengio, 2022; Wooldridge, 2021).
Per i progetti innovativi, storicamente caratterizzati da alti livelli di incertezza e fallimento (Teece, 2010), questa evoluzione può fare la differenza: ridurre i tempi di apprendimento, migliorare l’allocazione delle risorse, limitare gli sprechi e abilitare cicli di sperimentazione rapida e continua (Nambisan et al., 2019). In altre parole, il successo non sarà più legato soltanto al risultato finale, ma anche e soprattutto alla capacità di imparare e adattarsi lungo il percorso.
Tuttavia, la diffusione dell’Agentic AI non è priva di rischi. Bias, trasparenza delle decisioni, dipendenza tecnologica e questioni etiche rappresentano sfide che non possono essere sottovalutate (Pasquale, 2020; Kaplan & Haenlein, 2020). Ignorare questi aspetti significherebbe esporre le organizzazioni a vulnerabilità potenzialmente gravi, non solo dal punto di vista operativo, ma anche reputazionale e sociale.
Per questo motivo, come spesso accade a fronte dell’introduzione di nuove tecnologie, è fondamentale sviluppare un approccio bilanciato, in cui l’adozione della tecnologia sia accompagnata da principi di governance chiari, da sistemi di monitoraggio e da pratiche di collaborazione uomo-macchina che preservino per il momento il ruolo insostituibile della creatività e del giudizio umano (Rahwan et al., 2019). L’AI agentica deve essere quindi intesa come un amplificatore delle capacità umane, non come un sostituto.
Guardando al futuro, ma già al presente prossimo, la vera rivoluzione silenziosa non sarà solo tecnologica, ma culturale. L’innovazione diventerà sempre più un processo adattivo, basato su cicli iterativi di apprendimento continuo, in cui il successo sarà definito dalla rapidità con cui un’organizzazione saprà riconfigurarsi di fronte al cambiamento (Silver et al., 2021). In questo scenario, gli agenti intelligenti avranno un ruolo chiave nel creare ecosistemi resilienti e dinamici, ma spetterà agli esseri umani la responsabilità di indirizzarne l’uso verso obiettivi sostenibili e inclusivi.
Come ricorda von Krogh (2018), l’innovazione non può essere considerata un risultato finale, bensì una pratica manageriale sociale ed economica in continua evoluzione. L’Agentic AI, se governata con lungimiranza, può diventare il vero catalizzatore di questa trasformazione, non soltanto quindi un acceleratore tecnologico, ma un alleato strategico nel ridisegnare i confini di ciò che intendiamo comunemente per successo dei progetti di innovazione.












