Lo scenario

IA, così la computer vision aiuta i medici a identificare il tumore al seno

L’intelligenza artificiale può essere alleata dei medici nell’identificazione e nella diagnosi del tumore al seno, grazie all’utilizzo e all’analisi delle immagini: i progressi in questo ambito negli anni hanno rappresentato un crescendo, come dimostra per esempio il caso del modello Mirai del MIT di Boston

Pubblicato il 10 Ago 2022

Eugenio Zuccarelli

Data Scientist

La consapevolezza di sé stessi: cosa serve raggiungere un’alta autoconsapevolezza

L’identificazione del tumore al seno è una tra le diagnosi che meglio si presta all’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale, poiché basata principalmente sull’utilizzo di immagini, radiologiche appunto, in grado di mostrare la posizione del tumore. L’IA applicata alle immagini, quello che in gergo si chiama computer vision, è uno degli ambiti di adozione che ha riscosso maggior successo nello scorso decennio, aprendo nuovi enormi sviluppi ad esempio nel campo della guida autonoma, ma non solo.

Del resto i progressi registrati dall’utilizzo dell’IA nell’identificazione del tumore al seno, come riportato da diverse fonti tra cui il MIT Technology Review , sono enormi.

AI e radiomica per la classificazione di tumori alla mammella: le prospettive

AI per diagnosticare il cancro, il caso Mirai

La capacità dell’IA di stimare la presenza o meno di un cancro mostra un’accuratezza tale da competere persino con quella dei dottori. L’IA analizza inizialmente migliaia o centinaia di migliaia di immagini radiologiche, annotazioni del personale medico e l’indicazione stessa se il cancro è presente e dove. Dopo aver elaborato tutte le immagini, il modello inizia ad apprendere quali sono le relazioni che solitamente portano alla presenza del tumore, come ad esempio la densità dei tessuti o la presenza di “macchie” nell’immagine. Una volta appreso ciò, il modello si comporta quasi come una sorta di “oracolo”, capace di ricevere un’immagine come input e stimare in modo quasi istantaneo la presenza o meno del tumore.

Come spesso accade, questa scoperta è iniziata nel mondo accademico, nei laboratori di ricerca delle migliori università del mondo, quali il MIT e Stanford. Uno dei modelli che ha riscosso più successo negli ultimi mesi, e che ha avuto eco a livello mondiale, è l’IA creata al CSAIL, il laboratorio del MIT di Boston che si occupa in particolare di Intelligenza Artificiale applicata principalmente nel campo della prevenzione e diagnosi. Il modello, chiamato Mirai e creato dal team di Regina Barzilay, utilizza un algoritmo di Reinforcement Learning e oltre 200.000 mammografie provenienti dall’ospedale Massachusetts General, fiore all’occhiello della sanità americana, per predire con un elevato grado di certezza la presenza o l’assenza di un tumore o aiutare a risolvere casi di incertezza nella diagnosi. Il lavoro svolto, menzionato su testate di fama internazionale come Nature, Washington Post e molte altre, ha dimostrato come sia possibile riuscire ad applicare sistemi avanzati nell’industria della sanità, con grandi risultati non solamente nell’ambito della ricerca, ma persino in prima linea.

Il team del MIT ha infatti utilizzato Mirai per analizzare oltre 129.000 mammografie tra il 2008 e il 2016, ottenendo un’accuratezza del 76% (+22% rispetto al metodo Tyrer-Cuzick, il sistema più comunemente utilizzato negli ospedali).

Le applicazioni nell’industria

Cavalcando l’onda dei successi nell’ambito della ricerca, anche grandi aziende come IBM e la tedesca Vara hanno avviato la sperimentazione e l’utilizzo di tecnologie basate sull’IA per diagnosticare il tumore al seno. Nel 2015, IBM comprò Merge Healthcare, pagando più di un miliardo di dollari principalmente per avere accesso ad oltre mezzo milione di radiografie al seno che avrebbero permesso all’azienda di usufruire di un numero notevole di dati tale da creare un’Intelligenza Artificiale con potenzialità mai viste prima.

I dati, infatti, sono probabilmente l’elemento più importante e più difficile da ottenere per la realizzazione di questi modelli. Non è infatti sufficiente avere accesso alle mammografie, cosa di per sé già non molto semplice, ma è importante che queste siano “labeled” come si dice in gergo, cioè accompagnate da informazioni fornite da esperti nell’analisi delle immagini che indicano se, ad esempio, l’immagine mostra o meno la presenza di tumori. Questo processo è il più dispendioso in termini di tempo e denaro perché richiede l’intervento di esperti; inoltre più le immagini vengono analizzate velocemente, maggiore è la probabilità che vengano commessi errori di valutazione, con conseguenti effetti sul processo di apprendimento e applicazione dell’IA.

Il team di Vara, startup tedesca, sta fornendo un approccio tra i più promettenti in questo ambito: l’IA sviluppata dalla startup non è pensata per offrire uno strumento alternativo al dottore, ma – al contrario – in grado di supportarlo nei processi decisionali. L’IA si occupa di dare un’opinione iniziale e di precompilare alcuni dei campi testuali e non, per poi fornire “insight” ai medici, che devono approvare o meno le informazioni ricevute.

I limiti da superare

L’approccio di sinergia tra dottori e IA è quello che si sta dimostrando più efficace. I modelli sono e devono essere pensati per fornire al settore sanitario strumenti innovativi e nuove capacità. Tuttavia, sono ancora molti i limiti dell’intelligenza artificiale che rendono ad oggi necessaria l’analisi in prima persona dei medici, per esempio in fatto di bias. Ogni modello sviluppato, infatti, sottostà alla cosiddetta regola “garbage in, garbage out”: se il modello viene “allenato” con dati di scarsa qualità, il modello stesso risulterà tale. Questo è particolarmente vero se consideriamo che la maggior parte dei dati proviene, solitamente, da uno spaccato della popolazione non troppo rappresentativo. Per esempio, se i dati provengono da una popolazione principalmente caucasica, il modello non sarà ugualmente efficace nello stimare tumori al seno su persone di altre etnie. Questo problema si presenta spesso nel campo del riconoscimento facciale e in campo diagnostico è particolarmente serio perché può incidere sull’accuratezza nello stimare la presenza di cancro differente a seconda dell’etnia.

Un’ulteriore limitazione della maggior parte di questi modelli riguarda le cosiddette “black box”, ovvero algoritmi che prendono decisioni in modo incomprensibile, non solo per gli utilizzatori, ma anche per i ricercatori che le creano. Un ambito che spesso provoca grandi difficoltà nel portare un modello dalle aule universitarie agli ospedali, poiché rende difficile guadagnarsi la fiducia dei medici. Quando si devono prendere decisioni importanti, come quelle riguardanti la salute di una persona, è necessario che i medici si possano fidare dei modelli, capire come funzionano e perché hanno prodotto una determinata conclusione, prima di poterli utilizzare. Sono state sviluppate tecnologie, spesso basate su Game Theory, che aiutano nell’interpretabilità di questi modelli, ma bisogna ammettere che almeno per il momento più un modello mostra elevate performance, meno è interpretabile, come nel caso dei modelli appena descritti.

Uomo e macchina, come lavorare in sinergia

Proprio questi ambiti sono quelli che richiedono il maggior sforzo da parte dell’industria dell’Intelligenza Artificiale nel prossimo futuro. I maggiori investimenti in fatto di tempo e denaro si stanno focalizzando sui temi dell’etica nell’IA, per rimuovere ostacoli come quello della possibile discriminazione e quello dell’interpretabilità, con l’obiettivo di poter fare crescere la fiducia dei medici nell’intelligenza artificiale. Queste, e non l’accuratezza dei modelli che rimane alta, sono al momento le principali barriere che rallentano l’adozione in ambito sanitario.

Quello che è certo, però, è che questi strumenti tecnologici non sono e non devono essere creati per sostituire il ruolo del medico ma per migliorare il suo lavoro fornendogli strumenti che permettono di avere migliori capacità, ridurre i tempi di diagnosi e alleggerire i carichi di lavoro. Raggiungere una sinergia tra uomo e macchina è imperativo proprio perché la componente umana che un medico porta nella diagnosi e nella relazione con un paziente non è sostituibile e rimarrà sempre il cardine della medicina.

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