L’utilizzo dell’intelligenza artificiale per compiti cognitivi complessi, come la scrittura, può generare un debito cognitivo significativo. È quanto emerge da una recente ricerca che rilancia il dibattito sull’impatto dell’AI sulla mente e sulla qualità dell’esperienza umana.
Il lungo articolo che ha guadagnato velocemente le prime pagine dei giornali di tutto il mondo si chiama Your Brain on ChatGPT: Accumulation of Cognitive Debt when Using an AI Assistant for Essay Writing Task ed è stato scritto da un Gruppo di studiosi del prestigioso MIT di Boston.
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La ricerca del MIT e il rischio di omologazione cognitiva
La ricerca evidenzia l’insorgenza di un debito cognitivo importante in chi utilizza pesantemente e da subito strumenti di intelligenza artificiale per la redazione di un testo. Gli studiosi sono pervenuti a questo risultato dividendo in tre gruppi un campione di 54 volontari: il gruppo “brain only” poteva scrivere senza nessun accesso a risorse digitali, il secondo poteva utilizzare solo un motore di ricerca, il terzo aveva accesso a ChatGPT di OpenAI.
L’analisi delle attività celebrali e dei risultati prodotti è stata clamorosa: i cervelli dei tre gruppi registravano connettività celebrali significativamente differenti in aree dell’encefalo diverse; i testi prodotti dai “brain only” sono apparsi decisamente più originali e articolati, a differenza di quelli degli utilizzatori dell’intelligenza artificiale che erano tutti più omogenei e piatti; il grado di appropriazione dei concetti espressi era significativamente maggiore in chi non aveva utilizzato alcun strumento digitale.
La trasformazione digitale come questione antropologica
Probabilmente la ricerca produrrà un notevole dibattito nel prossimo futuro, per la serietà del lavoro svolto e gli importanti risultati.
Un primo effetto lo ha già però ottenuto: riportare l’attenzione sulla qualità antropologica dei cambiamenti prodotti dalla trasformazione digitale in atto, in modo particolare dall’impatto dei LLM, dopo un periodo in cui, giustamente, l’accento era caduto più sull’impatto nei dinamismi sociali globali e locali.
L’intervento del Papa e il richiamo alla dignità umana
Il medesimo spostamento si rivela anche nell’ultimo intervento sul tema dell’intelligenza artificiale che Papa Leone ha fatto in una coincidenza tanto casuale quanto provvidenziale con l’uscita dell’articolo del MIT.
La rilevanza sociale dell’intelligenza artificiale è stata da subito il tema centrale del nuovo Papa, a tal punto da motivare addirittura la scelta del suo nome, ispirato a quel Leone XIII che all’inizio del ventesimo secolo scriveva la Rerum Novarum, enciclica che dava il via alla moderna dottrina sociale della chiesa. Nel messaggio del 20 giugno ai partecipanti alla Seconda Conferenza Annuale di Roma sull’Intelligenza Artificiale, Papa Leone si sofferma piuttosto sulle conseguenze antropologiche della trasformazione digitale in atto. Così scrive: “Come ha sottolineato il defunto Papa Francesco, le nostre società oggi stanno vivendo una certa «perdita, o almeno un’eclissi, del senso dell’umano», e questo a sua volta ci sfida tutti a riflettere più profondamente sulla vera natura e unicità della nostra comune dignità umana. L’IA, in particolare l’IA generativa, ha aperto nuovi orizzonti a molti livelli diversi, […] ma solleva anche interrogativi inquietanti sulle sue possibili ripercussioni sull’apertura dell’umanità alla verità e alla bellezza, sulla nostra capacità distintiva di cogliere ed elaborare la realtà. Riconoscere e rispettare ciò che è caratteristico dell’essere umano è essenziale per discutere qualsiasi quadro etico adeguato per la governance dell’IA.”
La tecnologia non è neutra: un invito alla responsabilità
La coincidenza tra i due scritti è potente e merita qualche considerazione.
La prima può sembrare banale ma in realtà non lo è, almeno nel sentire comune. Le tecnologie, qualunque tecnologia, non sono mai neutre e non posso essere comprese come semplici strumenti da utilizzare in modo più o meno virtuoso pensando che non provochino effetti e conseguenze.
La necessità di un nuovo approccio culturale alla tecnologia
Gli umani abitano il mondo in modo tecnologico e continuano a plasmare la realtà anche attraverso questa dimensione. Non esistono umanità e società a prescindere dalle forme tecnologiche con cui si attuano e dispiegano nella storia. L’umanità e i legami sociali sono stati cambiati dalla scrittura, dalla ruota, dall’elettricità e dal motore a scoppio.
Anche dall’intelligenza artificiale. Questa considerazione apparentemente banale impone una certa custodia dell’allarmismo facile e una responsabilità impegnativa circa le scelte concrete di realizzazione e implementazione delle forme tecnologiche. In breve: l’articolo dell’MIT non sorprende né spaventa; piuttosto apre nuovi campi di lavoro e di riflessione.
Esperienza umana e mutamento: un orizzonte dinamico
Anche la seconda osservazione può risultare a qualcuno banale: l’esperienza umana è costitutivamente dinamica. Non esiste l’idea immutabile di uomo, piuttosto esistono le persone concrete che abitano nei luoghi e nei tempi loro capitati. La tecnologia è uno dei motori di questo dinamismo.
Sarebbe bello poter studiare con gli stessi criteri dell’articolo del MIT l’impatto sui processi cerebrali dell’introduzione della scrittura avvenuta probabilmente in Mesopotamia circa 3000 anni prima dell’era cristiana, per vedere come ha cambiato le attività celebrali e le modalità del pensare. L’assunzione della forma storica e dinamica dell’esperienza umana costituisce il più potente vaccino davanti a tutte quelle reazioni che tentano di ridurre l’umanità a un’idea fissa da proteggere e congelare, affinché nulla la inquini.
Apprendistato e dialogo intergenerazionale nell’era digitale
Certamente, come nota Papa Leone XIV, nel prosieguo del suo messaggio, “I nostri giovani devono essere aiutati, e non ostacolati, nel loro cammino verso la maturità e la vera responsabilità. [… E] l’accesso ai dati – per quanto vasto – non deve essere confuso con l’intelligenza, che necessariamente «implica l’apertura della persona alle domande ultime della vita e riflette un orientamento verso il Vero e il Bene».”
Come realizzare questa custodia doverosa e dinamica della specificità e della qualità umana nell’era digitale, invocata dal Pontefice?
Verso un uso maturo e integrato dell’intelligenza artificiale
Una prima risposta la offre la seconda parte dell’esperimento del MIT. In questa fase i ricercatori hanno invertito i ruoli, chiedendo ai tre gruppi un secondo testo. Mentre gli orfani dell’intelligenza artificiale non hanno mostrato un’adeguata attività celebrale e hanno prodotto testi identici a quelli precedenti, chi invece la usava per la prima volta ha potuto integrare questo ulteriore supporto in una attività celebrare già avviata, producendo materiale particolarmente originale e strutturato.
L’esperimento apre dunque a una introduzione saggia e proficua, da regolare ma non da vietare, dei LLM nell’attività intellettuale. C’è un modo di utilizzare (a questo si ferma l’esperimento) che non solo riduce i rischi ma produce una modificazione dell’esperienza umana positiva e proficua.
Non siamo lontani da quel “necessario apprendistato intergenerazionale” invocato dal Papa alla fine del suo messaggio. C’è anzitutto bisogno di un apprendistato: non possiamo lasciare che la trasformazione tecnologica accada in modo insensato e sregolato. Poi, e qui la notazione meriterà qualche approfondimento futuro, c’è una risorsa che si chiama dialogo intergenerazionale. Forse il rapporto tra immigrati e nativi digitali, tra anziani e tecnologie, non può e non deve essere risolto nella semplice tensione a colmare il digital divide tra generazione. Se proprio questa differenza fosse una risorsa di umanità per tutti?