memoria degli Agenti AI

Protocollo MCP: un passo avanti verso agenti AI davvero intelligenti



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Il protocollo MCP consente agli agenti AI di dialogare con fonti esterne in modo standardizzato e sicuro, aprendo nuove prospettive applicative. Obiettivo: trasformare questi assistenti in consulenti digitali personalizzati e proattivi

Pubblicato il 13 giu 2025

Andrea Benedetti

Senior Cloud Architect Data & AI, Microsoft



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Il Model Context Protocol (MCP) sta emergendo come un elemento centrale per lo sviluppo di agenti di intelligenza artificiale più efficaci, interoperabili e dotati di memoria duratura. A partire da questa innovazione, il settore AI si interroga su come costruire un ecosistema basato su standard condivisi che trasformi il modo in cui le macchine accedono ai dati e collaborano tra loro.

Model Context Protocol (MCP), clearly explained (why it matters)

Agenti AI con memoria e collaborazione: le sfide iniziali

Immaginate agenti di intelligenza artificiale di diverse aziende che collaborano tra loro senza problemi e ricordano tutto ciò che hanno fatto per voi in passato. È questa la visione che si sta delineando tra gli esperti del settore della generative AI.

Per realizzare il pieno potenziale di questi agenti sarà fondamentale affrontare due sfide: migliorarne la memoria (cioè, la capacità di ricordare interazioni e informazioni precedenti) e sviluppare nuovi protocolli standard per l’accesso ai dati e la collaborazione tra agenti.

Questi elementi apriranno la strada a un vero web agentico, un ecosistema in cui agenti di AI potranno interagire liberamente un po’ come le pagine web fanno tramite i protocolli Internet.

Allora, cerchiamo di capire che cosa significhi dotare gli agenti di memoria duratura, quali sono le attuali limitazioni nel fornire contesto e dati personalizzati alle AI, e perché si stanno studiando protocolli aperti, per superare tali ostacoli, come il Model Context Protocol (MCP) – uno standard lanciato da Anthropic a fine 2024.

La capacità di memoria degli agenti AI: perché è importante

Un aspetto chiave per rendere gli agenti AI davvero utili è la loro capacità di memoria. Oggi molte interazioni con assistenti virtuali e chatbot risultano “usa e getta”: l’AI risponde a una singola richiesta alla volta, senza tenere traccia di ciò che è accaduto prima, a meno che quell’informazione non rientri esplicitamente nel prompt corrente. In pratica, ogni conversazione o comando viene trattato come un evento isolato: l’agente risponde e dimentica, perdendo il contesto pregresso. Ciò limita fortemente la sua utilità in compiti più complessi o prolungati, dove sarebbe invece necessario ricordare preferenze, istruzioni precedenti o risultati già ottenuti.

Pensiamo a come interagiamo con un assistente umano: se oggi chiedo al mio collega (o assistente personale) di aiutarmi con una serie di attività, mi aspetto che ricordi le istruzioni iniziali e gli aggiornamenti successivi senza dover ogni volta ripetere tutto da zero. Con le AI odierne, invece, spesso è come parlare ogni volta con un’entità priva di ricordi, costringendo l’utente a ricontestualizzare continuamente la richiesta. Questa mancanza di memoria si traduce in inefficienza e in un’esperienza utente frammentata.

Migliorare la memoria degli agenti AI significherebbe poter avere conversazioni continue e cumulative: l’agente imparerebbe progressivamente dalle interazioni passate, potrebbe riferirsi a informazioni fornite dall’utente giorni o settimane prima, e affrontare compiti multi-step tenendo a mente ciò che ha già fatto. Ad esempio, un assistente AI che vi aiuta a pianificare una vacanza potrebbe ricordare che preferite i posti di finestrino in aereo e che avete già prenotato un hotel, evitando di proporvi soluzioni incompatibili. Oppure un agente dedicato al coding, dopo aver risolto un bug, potrebbe conservare la spiegazione di quella soluzione per applicarla se in futuro si ripresenta un problema simile.

Perché gli agenti attuali non hanno già una memoria robusta

Perché allora gli agenti attuali non hanno già una memoria robusta? Il problema principale è tecnico e computazionale. I modelli linguistici di ultima generazione (come GPT-4, Claude, etc.) hanno un contesto limitato a un certo numero di token (parole o frammenti di testo) – tipicamente qualche migliaio – oltre il quale dimenticano letteralmente l’inizio della conversazione. Estendere artificialmente questo contesto a tutta la cronologia delle interazioni sarebbe enormemente costoso in termini di potenza di calcolo e risorse: Scott ha evidenziato che migliorare la memoria di un agente AI con l’approccio “brute force” (fornendogli ogni volta tutto lo storico completo) “costa moltissimo” in termini computazionali e di denaro. Ogni turno di conversazione aggiuntivo aumenta esponenzialmente il carico di lavoro sull’infrastruttura AI, rendendo l’utilizzo di memorie estese poco sostenibile su larga scala.

Soluzioni per dotare gli agenti di memoria e come funzionano

Per aggirare questo ostacolo, i ricercatori stanno esplorando metodi più intelligenti. Microsoft, ad esempio, sta sperimentando un approccio chiamato structured retrieval augmentation (arricchimento strutturato tramite recupero). L’idea è di far estrarre all’agente brevi riassunti o “punti chiave” da ogni interazione con l’utente, costruendo man mano una sorta di roadmap della conversazione. Invece di memorizzare ogni singola parola detta, l’agente conserva solo le informazioni essenziali di ogni turno, in forma strutturata.

Questa tecnica ricorda il funzionamento della memoria umana, in cui il cervello consolida e compatta i ricordi importanti invece di conservare ogni dettaglio bruto. Ad esempio, se in tre passaggi l’utente chiede all’AI prima di trovare ricette vegetariane, poi di fare la lista della spesa e infine di programmare un timer per la cottura, l’agente potrebbe salvare un riassunto tipo: “Utente sta organizzando cena veg – ricette trovate (lasagna verdure), lista spesa fatta, timer impostato 40 minuti”. La volta successiva, se l’utente chiede qualcosa di correlato (es. “ricordami quanti minuti avevo impostato per la lasagna”), l’AI potrà rispondere attingendo a quel riassunto anziché dover rielaborare tutto da capo.

Modifiche architetturali necessarie per dotare le AI di memoria a lungo termine

In sintesi, una memoria migliore renderà gli agenti più autonomi, utili e “umani” nell’interazione. Tuttavia, dotare le AI di memoria a lungo termine richiede innovazioni nell’architettura dei modelli e nelle tecniche di gestione del contesto, in modo da bilanciare efficacia e costi computazionali.

Oltre alla memoria intrinseca del modello, un agente AI efficace deve poter accedere a dati esterni e contestuali – dai documenti personali dell’utente alle informazioni aggiornate sul web – in modo flessibile e sicuro. Anche su questo fronte, le soluzioni attuali presentano diverse limitazioni.

Ogni fonte di dati (dal calendario personale, al CRM aziendale, a un servizio cloud) richiede oggi un’integrazione ad-hoc con l’assistente AI. Ad esempio, per far leggere all’AI i propri appuntamenti sul calendario Google, bisogna usare un plug-in o un’API specifica per Google Calendar; per i file su Dropbox serve un’integrazione diversa, e così via. Questa mancanza di un metodo unificato significa che non esiste un modo standard per collegare l’AI a nuove fonti di dati. Ogni sviluppatore deve creare connettori personalizzati, portando a un ecosistema disomogeneo e difficile da scalare.

Superare l’isolamento degli agenti con standard comuni

Molte AI operano in parziale isolamento a causa di restrizioni di sicurezza o privacy. Un chatbot generico come ChatGPT, ad esempio, di default non sa nulla delle e-mail nel vostro account o dei vostri documenti privati, a meno che non glieli copincolliate esplicitamente. Questa separazione garantisce riservatezza, ma impedisce all’AI di sfruttare dati contestuali personalizzati che potrebbero renderla molto più utile. Idealmente l’agente dovrebbe poter accedere (previo consenso) alle informazioni pertinenti su di voi o sulla situazione corrente – ad esempio la posizione geografica per fornirvi il meteo locale, oppure il vostro storico di interazioni passate per personalizzare le risposte. Oggi ottenere ciò è macchinoso e spesso non in tempo reale.

Senza standard comuni, un agente AI creato da una certa azienda fa fatica a interagire con un agente di un’altra. I sistemi sono chiusi nei loro ecosistemi: l’assistente di Microsoft (basato su GPT-4) non può “chiedere aiuto” all’agente di Google (magari basato su PaLM o Gemini) in modo nativo, e viceversa. Questo spreca opportunità di mettere insieme competenze diverse. Se ogni agente avesse un modo condiviso di comunicare e condividere informazioni, potremmo immaginare “squadre” di AI specializzate che cooperano su un problema complesso, ciascuna contribuendo con le proprie capacità. Al momento, però, manca un linguaggio comune perché ciò accada al di là di contesti controllati.

In breve, l’ecosistema attuale degli agenti AI assomiglia a un mosaico di piccoli mondi separati: ognuno con la propria memoria circoscritta e con accesso a porzioni di dati limitate, spesso confinato all’interno dei servizi del rispettivo produttore. Per sbloccare davvero il potenziale degli agenti, occorre abbattere questi silos, creando canali sicuri e standardizzati attraverso cui un agente possa ottenere le informazioni di cui ha bisogno, al momento giusto, indipendentemente da dove risiedono o da chi ha sviluppato l’agente.

Protocolli aperti per superare la frammentazione, come con internet

Sono molti i leader di settore a ritenere che la soluzione alle frammentazioni odierne sia l’adozione di protocolli aperti che possano essere condivisi da tutti, un po’ come avvenne per i protocolli di Internet.

L’obiettivo è quello di promuovere standard comuni nell’industria tech, in modo che agenti AI sviluppati da aziende diverse possano finalmente collaborare e comunicare tra loro. L’obiettivo finale è la creazione di un “agentic web” cioè, una rete in cui gli agenti software interagiscono tra loro e con le risorse online in maniera trasparente, analoga a come le pagine web e le applicazioni internet comunicano tramite HTTP e altre tecnologie condivise.

L’analogia con il World Wide Web degli anni ‘90 non è casuale. Negli albori di Internet, i protocolli hypertext aperti (come HTTP per le richieste web e HTML per i documenti) permisero a computer e server di diverse aziende e piattaforme di dialogare nello stesso linguaggio, facendo esplodere la crescita del web. Allo stesso modo, un protocollo standard per agenti AI potrebbe spalancare le porte a un’impennata dell’innovazione: invece di “recinti” chiusi controllati da pochi grandi player, avremmo un ecosistema dove chiunque – dal gigante tech alla startup, fino allo sviluppatore indipendente – può far parte della “rete agentica” semplicemente aderendo allo standard.

In sostanza, protocolli aperti democratizzano l’evoluzione degli agenti AI, un po’ come gli standard del web democratizzarono l’accesso all’informazione online.

La continuità del contesto: assistenza agentica senza intermediari manuali

Un ulteriore beneficio di un web agentico basato su standard condivisi sarebbe la continuità del contesto: un agente potrebbe portarsi dietro le informazioni apprese e lo stato di una task da un servizio all’altro.

Immaginiamo un futuro in cui avete un vostro AI assistant personale che vi aiuta nelle attività quotidiane. Al mattino gli chiedete via smartphone di pianificare la giornata; lui comunica con il vostro calendario (tramite il protocollo standard) e apprende i vostri impegni. Poi, in ufficio, l’assistente sul PC “eredita” lo stesso contesto e vi aiuta a riassumere le e-mail ricevute, perché conosce già gli appuntamenti che avete e le priorità odierne. Nel frattempo, per un progetto, l’assistente dialoga con un agente specializzato di un servizio esterno (poniamo, un tool di analisi dati) fornendogli solo le informazioni necessarie e ottenendo i risultati da integrarvi. Tutto questo scambio avviene senza che dobbiate fare da intermediari manuali: sono gli agenti stessi a parlare tra loro in background, in modo standardizzato e autorizzato, per portarvi il risultato finale. Un vero web di agenti cooperanti.

Naturalmente, affinché questo scenario diventi realtà, servono specifici protocolli e tecnologie di collegamento.

Qui entra in gioco l’MCP, proviamo a spiegarlo nel dettaglio.

Il Model Context Protocol (MCP): cosa fa e perché suscita interesse

Il Model Context Protocol (MCP) è uno dei primi e più importanti tentativi di standardizzare le modalità con cui gli agenti AI accedono a dati esterni e interagiscono con altri sistemi. Introdotto ufficialmente da Anthropic (società nota per aver sviluppato il modello Claude) a fine 2024, MCP è stato rilasciato come protocollo open source e promosso come standard aperto a cui chiunque può aderire. Ma cosa fa esattamente MCP e perché sta suscitando così tanto interesse?

In parole semplici, MCP fornisce un linguaggio comune tramite cui un’applicazione AI può chiedere informazioni a una fonte di dati, o inviare comandi ad uno strumento esterno, in modo uniforme e sicuro. Una metafora efficace è quella del connettore universale: Anthropic descrive MCP come “una porta USB-C per le applicazioni AI“. Così come lo standard USB-C consente di collegare qualunque dispositivo (dallo smartphone al laptop) a periferiche di vario tipo usando lo stesso attacco, MCP offre un metodo unificato per “collegare” i modelli di intelligenza artificiale a diverse fonti di dati e servizi esterni. Invece di avere decine di adattatori diversi, c’è un unico cavo virtuale che si adatta a tutte le fonti compatibili.

Dal punto di vista tecnico, il Model Context Protocol definisce un’architettura a client-server semplificata per gli agenti AI. Da un lato ci sono i cosiddetti MCP server: essi non sono altro che “porta di accesso” ai dati. Qualunque sistema o applicazione che detiene dati (un database, un’app di note, un repository di codice, un CRM, etc.) può implementare un piccolo server MCP che si occupa di ricevere richieste e restituire le informazioni pertinenti. Dall’altro lato ci sono i MCP client, tipicamente gli agenti o le applicazioni AI stesse, che formulano richieste ai server MCP per ottenere il contesto necessario. Ad esempio, un agente potrebbe fare una richiesta MCP al server “XYZ” fornito da un vostro fornitore, chiedendo “dammi i documenti recenti della cartella ordini dell’utente”; il server MCP esegue l’autenticazione, recupera i dati richiesti e li restituisce in una forma comprensibile al modello AI.

Interazioni bidirezionali e in tempo reale

Uno dei punti di forza di MCP è che queste interazioni sono pensate per essere bidirezionali e in tempo reale. Ciò significa che l’agente non solo può leggere da fonti esterne, ma in certi casi anche scrivere o inviare azioni. Per esempio, un agente dotato di accesso MCP a un servizio di messaggistica potrebbe sia leggere i messaggi di un canale, sia pubblicare una risposta automatica in quel canale se l’utente glielo chiede – il tutto utilizzando gli stessi meccanismi standardizzati. MCP diventa così un ponte universale tra l’AI e il mondo digitale circostante: contenuti, servizi e applicazioni. Gli sviluppatori possono costruire una volta sola un connettore MCP per una certa piattaforma, e a quel punto qualsiasi AI compatibile con MCP potrà interagirvi senza bisogno di ulteriori integrazioni custom.

Per rendere concreto il concetto, Anthropic ha già messo a disposizione diversi server MCP open source come esempi e strumenti pronti all’uso. Ve ne sono per GitHub, database SQL, e perfino per pilotare un browser web. Ciò significa che un agente AI configurato con questi connettori potrebbe, ad esempio, leggere e scrivere file dal vostro repository, cercare conversazioni tra le vostre chat, estrarre codice da un repository o eseguire uno script, tutto tramite comandi MCP uniformi.

Il protocollo si occupa di gestire dettagli come l’autenticazione, la formattazione dei dati e la sicurezza delle richieste, sollevando lo sviluppatore dall’implementare queste funzioni per ogni nuova integrazione.

Da notare che MCP è completamente open source: le specifiche sono pubbliche e disponibili su GitHub, con SDK (kit di sviluppo) per diversi linguaggi, il che incoraggia contributi della comunità e adozioni rapide. Anthropic, nel presentare il protocollo, ha enfatizzato proprio l’importanza dell’apertura: l’auspicio è che MCP diventi un bene comune dell’ecosistema AI, proprio perché più attori vi aderiscono, più aumenta il suo valore. Se ogni servizio web importante avrà il suo endpoint MCP e ogni agente AI moderno supporterà MCP, si verrà a creare un circolo virtuoso: le AI diventeranno più utili perché potranno accedere a più dati e funzionalità; al contempo, i fornitori di dati e tool vorranno offrire un connettore MCP per essere facilmente raggiungibili da queste AI; gli utenti beneficeranno di un’esperienza integrata senza soluzione di continuità.

Memoria degli agenti Ai: cosa spinge aziende concorrenti a collaborare su uno standard comune

Il fatto che praticamente tutti abbiano espresso sostegno per MCP è un segnale forte della direzione in cui ci si sta muovendo. Ma cosa spinge aziende che spesso sono concorrenti agguerriti a collaborare su uno standard comune? In parte, la storia si ripete: anche nei primi anni del web aziende rivali finirono per adottare gli stessi protocolli base di Internet, capendo che era nell’interesse di tutti avere un linguaggio universale su cui poi concorrere offrendo servizi migliori. Allo stesso modo, si vede in MCP un’infrastruttura condivisa su cui si possa costruire soluzioni più avanzate, invece di chiudersi ognuno nel proprio recinto.

Per molti, MCP viene definito un tassello fondamentale per realizzare l’agentic web, paragonandolo ai protocolli ipertestuali che fecero decollare Internet.

Per Microsoft, che integra AI in prodotti come Windows, Office e Azure, adottare MCP significa facilitare ai propri agenti l’accesso a un mondo di dati eterogenei – dai servizi cloud di terze parti ai sistemi legacy usati dalle aziende – senza dover sviluppare e mantenere decine di connettori proprietari.

Forse ancora più significativo è il coinvolgimento di OpenAI, la cui piattaforma ChatGPT inizialmente aveva seguito una strada propria con l’introduzione dei plugin. A marzo 2025 OpenAI ha annunciato l’adozione di MCP nei suoi prodotti, compresa l’app desktop di ChatGPT e il suo SDK per agenti. Sam Altman, CEO di OpenAI, ha dichiarato entusiasmo per questa convergenza, riconoscendo che MCP aiuta i modelli a produrre risposte più pertinenti e utili grazie all’accesso a dati esterni. Nonostante MCP sia nato in “casa” di un’azienda concorrente, OpenAI ha colto l’opportunità di abbracciare uno standard che la comunità di sviluppatori stava accogliendo calorosamente: “la gente adora MCP e siamo felici di supportarlo attraverso i nostri prodotti,” ha commentato Altman.

In generale, l’adesione convinta a MCP riflette la consapevolezza che l’interoperabilità giova a tutti in un mercato nascente come quello degli agenti AI. Un protocollo condiviso riduce gli sforzi duplicati (ogni azienda non deve scrivere gli stessi connettori), accelera l’adozione presso gli utenti e facilita la collaborazione cross-platform. Ciò non significa che non vi siano aspetti competitivi – ognuna di queste aziende cercherà di offrire i migliori agenti o servizi AI attorno allo standard – ma la base comune garantisce che stiano almeno giocando sullo stesso campo, per così dire.

Va detto che esistono anche altre iniziative di protocolli per agenti (ad esempio A2A – Agent-to-Agent protocol e altri proposti in ambito open source), ma MCP al momento sembra quello con il maggior slancio grazie al supporto congiunto di attori importanti. Sarà interessante vedere se in futuro questi sforzi convergeranno ulteriormente in meta-standard unificati o se coesisteranno protocolli differenti per esigenze diverse.

Come potrebbero cambiare la nostra vita e il lavoro con Agenti AI dotati di memoria

Come potrebbe cambiare, in concreto, la nostra vita digitale e il lavoro delle aziende grazie ad agenti AI dotati di memoria potenziata e di protocolli aperti per i dati? Ecco alcuni scenari futuri e implicazioni pratiche che emergono da questa evoluzione tecnologica.

Proviamo a ragionare di assistenti personali davvero smart e proattivi.

Consulenti digitali personali

Per l’utente comune, un assistente AI con lunga memoria e pieno accesso (autorizzato) ai propri dati significa passare da semplici chatbot a consulenti digitali personali. Immaginate un unico assistente che vi segue ovunque – sullo smartphone, al PC, in auto tramite l’assistente vocale – ricordando le vostre preferenze, la vostra agenda, lo storico delle conversazioni e imparando dalle vostre abitudini. Potrebbe suggerirvi proattivamente azioni (“Hai un volo domani, vuoi che effettui il check-in online?”), oppure coordinarsi con altri agenti: ad esempio dialogare con l’AI della vostra banca per pianificare un pagamento ricorrente, il tutto senza che dobbiate impazzire tra app diverse.

Questo assistente sfrutterebbe protocolli come MCP per aggregare informazioni da e-mail, calendario, note, mappe, meteo, ecc. e vi presenterebbe un aiuto integrato e contestuale. L’esperienza utente diverrebbe molto più fluida: meno tempo speso a passare dati da un posto all’altro, più valore ottenuto da un’AI che vi conosce (entro i limiti da voi stabiliti) e che “ricorda per voi” ciò che avete fatto o deciso in precedenza.

Collaborazione tra agenti specializzati

Potremmo ragionare anche di collaborazione tra agenti specializzati.

In ambito professionale e aziendale, la possibilità di far cooperare agenti multipli apre la strada a workflow automatizzati complessi. Ad esempio, in un’azienda potremmo avere un agente AI esperto di gestione ordini, uno dedicato all’analisi dei dati di vendita, uno per l’assistenza clienti. Con standard come MCP, questi agenti possono parlare tra loro: l’agente analitico può chiedere all’agente ordini i dati grezzi necessari, elaborarne un rapporto e poi far notificare all’agente customer care eventuali anomalie da riferire ai clienti. Tutto ciò senza intervento umano fino al risultato finale, se così desiderato. Su scala ancora maggiore, pensiamo a catene di fornitura automatizzate: l’agente AI di un rivenditore potrebbe negoziare con l’agente del fornitore tempi e condizioni di consegna ottimali, scambiandosi informazioni di inventario e logistica via protocollo standard. Si va delineando un futuro in cui le aziende interagiranno anche tramite i loro agenti AI come fossero “impiegati digitali” che comunicano via API anziché via e-mail o telefono.

Protocolli aperti e memorie estese: cosa cambia per gli sviluppatori

Per gli sviluppatori, protocolli aperti e memorie estese significano poter creare applicazioni AI innovative più facilmente. Con MCP disponibile, ad esempio, uno sviluppatore può concentrarsi sulla logica del proprio agente sapendo di avere a disposizione una miriade di integrazioni pronte (tutti i server MCP già scritti dalla community e dalle grandi piattaforme). Occorre costruire un AI tutor che aiuta lo studente attingendo sia al libro di testo PDF, sia a Wikipedia, sia agli appunti su OneNote? Se esistono connettori MCP per PDF, per Wikipedia e per OneNote, basta configurarli e il tuo agente potrà accedere a tutte queste fonti senza scrivere codice specifico per ognuna. Ciò abbassa le barriere d’ingresso allo sviluppo di agenti sofisticati, favorendo l’emergere di start-up e servizi specializzati. Inoltre, la presenza di standard apre alla portabilità: lo stesso agente potrebbe funzionare su diverse piattaforme (oggi su Azure, domani su Google Cloud ad esempio) senza dover essere riscritto, perché il modo in cui accede ai dati esterni è standard. Questo incentiva anche le aziende utenti a investire in soluzioni AI, sapendo di non legarsi mani e piedi a un singolo fornitore.

Agenti potenziati: la necessità di garantire sicurezza, privacy e controllo

Un aspetto cruciale, in un mondo di agenti potenziati, sarà garantire la sicurezza, la privacy e il controllo. Avere AI che ricordano tante informazioni su di noi e che possono agire autonomamente su dati e servizi comporta rischi se non gestito con attenzione. Protocollo aperto non significa privo di regole: dovranno essere implementati robusti meccanismi di autorizzazione (ad esempio il mio agente personale potrà accedere al mio calendario ma non condividerlo con chiunque, e ogni richiesta dovrà essere tracciabile e revocabile). Inoltre, come evidenziato da alcuni ricercatori, integrazioni così strette espongono a nuovi tipi di vulnerabilità: prompt injection (attacchi in cui dati malformati inducono l’AI a comportarsi in modi imprevisti) o agenti malevoli che fingono di essere affidabili per ottenere accesso a informazioni sensibili. La collaborazione tra big tech su MCP include anche affrontare insieme questi problemi, definendo best practice e aggiornando lo standard man mano che emergono minacce. L’utente finale dovrà poter fidarsi che il proprio agente lavora nel suo interesse e che i suoi dati non finiranno nelle mani sbagliate. Ciò implicherà probabilmente nuove interfacce per permetterci di supervisionare e istruire le nostre AI (ad esempio decidere “ricorda questo, dimentica quest’altro” oppure avere dashboard di audit sulle azioni svolte dagli agenti in nostro nome).

Verso esperienze con le AI più naturali e affidabili

I ragionamenti sul futuro degli agenti AI tracciano un quadro entusiasmante di cosa potremmo aspettarci nei prossimi anni: assistenti digitali più intelligenti, collaborativi e integrati nelle nostre vite, grazie a importanti miglioramenti nella memoria e a nuovi protocolli aperti di comunicazione. L’idea di un web agentico prospetta un ecosistema in cui le AI non sono più isole separate ma nodi interconnessi di una rete dinamica di servizi e conoscenze. Protocolli come MCP rappresentano i mattoni fondamentali di questo futuro: standard comuni che permettono all’immaginazione e alle esigenze degli utenti di guidare lo sviluppo, anziché imporre limiti artificiali dovuti a barriere proprietarie.

Certo, le sfide non mancano – dai costi computazionali per gestire memorie sempre più ampie, alle questioni di sicurezza e privacy – ma la direzione è chiara. I principali attori tecnologici hanno riconosciuto che lavorare insieme su standard aperti conviene a tutti e accelera il progresso. Per gli utenti comuni questo si tradurrà, si spera, in esperienze con le AI più naturali e affidabili, dove il nostro assistente virtuale saprà davvero di noi quel tanto che basta per aiutarci in modo proattivo e personalizzato. Per le imprese e gli sviluppatori, si aprirà un panorama di opportunità inedite per costruire soluzioni AI interoperabili, componibili e ritagliate sui problemi reali.

In definitiva, la strada verso agenti AI più evoluti passa per memoria e connessione: memoria intesa come capacità di apprendere dal passato e contestualizzare il presente, e connessione intesa come capacità di attingere alle risorse del mondo digitale attraverso regole condivise. Come insegnano le rivoluzioni tecnologiche precedenti, quando queste condizioni si realizzano, l’innovazione prende velocità. Il prossimo capitolo dell’AI potrebbe dunque essere scritto da agenti che, lungi dall’agire in solitudine, lavorano insieme ricordando e comprendendo il nostro mondo – un mondo in cui uomini e macchine collaborano attraverso interfacce sempre più trasparenti e intelligenti. Le fondamenta si stanno posando ora: non resta che vedere quali incredibili costruzioni sorgeranno sopra di esse nei tempi a venire.


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