La normativa IVA prevede che nella ipotesi di omessa fatturazione o di emissione di fattura irregolare il destinatario della cessione o della prestazione debba attivarsi per rimediare alle inadempienze surrogandosi al soggetto obbligato, ovvero per segnalare alla Agenzia delle Entrate le omissioni o irregolarità. In tali casi, l’inerzia del soggetto passivo del rapporto determina sanzioni a suo carico, per cui è importante analizzare la corretta tempistica e le eventuali criticità delle azioni da porre in essere.
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Fattura elettronica irregolare o omessa, le norme
L’introduzione della fattura elettronica obbligatoria ha tra i tanti meriti quello di aver reso certo lo scambio documentale (sia in positivo che in negativo) tra le due parti del rapporto IVA. Vigente il sistema analogico, la modalità di consegna della fattura non era stata specificamente codificata, per cui di fatto era affidata a mezzi che non attribuivano la certezza del buon esito (consegna, spedizione a mezzo posta, etc.); salvo casi particolari, non essere in possesso della fattura per una operazione effettuata (quindi con consegna di beni o pagamento del corrispettivo) non rappresentava un elemento oggettivamente idoneo a ritenere con certezza assoluta la esistenza di una omissione del soggetto obbligato.
Tuttavia la normativa pre-vigente (articolo 6, commi 8-9, del decreto legislativo 471/1997)[1] poneva a carico del destinatario della fattura obblighi (e correlate sanzioni) che presupponevano la certezza della omissione[2]. Ciò aveva determinato uno scarso successo della norma, anche perché la sua attivazione prevedeva che la regolarizzazione della operazione avvenisse previo pagamento dell’IVA relativa alla operazione, e qualora la omissione della fattura fosse stata conseguente al pagamento del corrispettivo, il cessionario/committente si trovava costretto ad essere inciso due volte dall’IVA, una prima volta avendo pagato il corrispettivo al fornitore e non avendo ricevuto la fattura (senza quindi poter esercitare la detrazione), la seconda volta al momento della regolarizzazione con la emissione della autofattura e il pagamento dell’IVA all’Erario, a fronte della quale era riconosciuto il diritto alla detrazione.
Fermo restando comunque il principio secondo cui la “regolarizzazione” del cessionario/committente non rappresentava un surrogato dell’obbligo del cedente/prestatore, ma una condotta necessaria per evitare l’assoggettamento a specifiche sanzioni[3].
Le modifiche
La norma in questione è stata modificata dall’art.2 del Decreto legislativo del 14/06/2024 n. 87, con effetto dal 29/06/2024, che ha sostituito l’obbligo sopra indicato di regolarizzare la omissione/irregolarità con l’obbligo di emissione di un documento avente le caratteristiche di una autofattura, di pagamento contestuale dell’IVA corrispondente e di comunicazione all’Agenzia delle Entrate della omissione/irregolarità[4].
L’Agenzia delle Entrate ha aggiornato di conseguenza le specifiche tecniche per la trasmissione della fattura elettronica:
- Introducendo un nuovo tipo documento, TD29 da utilizzare per la comunicazione di omessa o irregolare fatturazione (art. 6, comma 8, D.Lgs. 471/97);
- Modificando le regole per l’utilizzo del tipo documento TD20, limitando la sua applicazione alle ipotesi di emissione dell’autofattura per regolarizzazione e integrazione delle fatture (ex art. 6 c. 9-bis d.lgs. n. 471 del 1997 o art. 46, comma 5, D.L. n. 331 del 1993.
TD29 comunicazione per omessa o irregolare fattura
Il Cessionario/Committente che abbia acquistato beni o servizi senza che sia stata emessa fattura nei termini di legge o con emissione di fattura irregolare, deve comunicare l’omissione o l’irregolarità all’Agenzia delle entrate con tipo documento TD29 da inviare tramite SDI entro novanta giorni dal termine in cui doveva essere emessa la fattura o da quando è stata emessa la fattura irregolare. La data entro cui effettuare la comunicazione non segue quindi la data della operazione ma del termine entro cui si sarebbe dovuta emettere la fattura; il termine pertanto potrebbe variare secondo quando indicato nel prospetto che segue[5].

Si ritiene che in caso di inadempimento possa trovare applicazione il ravvedimento previsto dall’articolo 13 del Decreto Legislativo 472/1997.
Il cambiamento radicale dell’adempimento a carico del cessionario/committente, che ha trasformato l’obbligo di emissione di un documento – autofattura e il pagamento dell’imposta all’erario in una semplice comunicazione senza alcuna rilevanza ai fini degli obblighi di registrazione IVA, ha reso certamente la procedura più accessibile e semplice.
Cosa prevedono le specifiche tecniche
Le specifiche tecniche prevedono che i dati da indicare del documento TD29 da trasmettere all’Agenzia delle Entrate tramite il SDI siano i seguenti:
- Blocco <CedentePrestatore>: dati del C/P.
- Blocco <CessionarioCommittente>: identificativo IVA del C/C che comunica l’omissione o l’irregolarità.
- Blocco <DatiTrasmissione>: il campo 1.1.4 <CodiceDestinatario> deve essere valorizzato con 7 zeri “0000000” e il campo 1.1.6 <PECDestinatario> non deve essere valorizzato.
- Nel campo 2.1.1.3 <Data> della sezione <DatiGenerali> del file trasmesso deve essere riportata la data di effettuazione dell’operazione di cessione o di prestazione di servizi, come previsto dall’articolo 21, comma 2, del d.P.R. n. 633 del 1972.
- Indicazione dell’imponibile non fatturato dal C/P o dell’imponibile non indicato nella fattura inviata dal C/P e della relativa imposta calcolata dal C/C (o della Natura nel caso di non imponibilità o esenzione).
- Indicazione della fattura di riferimento nel campo 2.1.6 <DatiFattureCollegate> solo nel caso di emissione di una fattura irregolare da parte del C/P.
- Campo 2.1.1.4 <Numero>: si potrà inserire una numerazione progressiva ad hoc.
Quindi tutto risolto? Quasi …
E’ indiscutibile come la introduzione della fattura elettronica abbia contribuito ad attribuire certezza alla avvenuta emissione della fattura per una data operazione; con riferimento all’articolo 6 del DPR 633/1972, qualora la effettuazione della operazione sia determinata dal pagamento del corrispettivo, la indicazione nel documento TD29 dell’imponibile e dell’imposta non presenta particolari difficoltà, se non quella di stabilire eventualmente quale sia la corretta aliquota applicabile. Ma se l’operazione riguardasse la cessione (con consegna) di beni, potrebbe esserci qualche difficoltà nella determinazione del prezzo, soprattutto nei casi in cui a monte della operazione non vi sia un ordine, o un altro elemento obiettivo, da cui poter ricavare il corrispettivo.
Resta irrisolto il problema della detrazione qualora il cessionario/committente abbia effettuato un pagamento, IVA inclusa, senza aver ricevuto la fattura; in questo caso l’IVA pagata non può essere detratta perché non associata ad alcun documento valido a tal fine; questo resta un vulnus aperto e di difficile soluzione, se non con una rivoluzione copernicana dell’IVA del B2B, ossia generalizzando il reverse charge a tutte le operazioni [6] [7].
TD20 autofattura per regolarizzazione e integrazione delle fatture
Questa ipotesi riguarda la regolarizzazione sia di operazioni soggette al reverse charge c.d. interno (art.6 comma 9-bis D.Lgs.vo 471/1997) che le operazioni con fattura elettronica intra-UE soggette al reverse charge c.d. esterno (art.46 comma 5, D.L 331/1993).
Nel primo caso (reverse charge interno), di norma, il cedente/prestatore dovrebbe emettere la fattura elettronica senza applicazione dell’IVA ai sensi dell’articolo 17, comma 6, o dell’articolo 74, DPR 633/1972[8] (“fase 1”)[9]; il cessionario/committente, ricevuta la fattura, dovrebbe integrarla e registrarla in modo da rendersi debitore e creditore al contempo dell’IVA (quindi operazione a saldo 0) e ciò si può fare mediante la trasmissione al SDI di un documento TD16 (“fase 2”).
Identico ragionamento – sempre di norma – vale nel secondo caso, con la variante che la fattura del cedente/prestatore (non residente in Italia) non può essere elettronica perché assoggettata a legislazione diversa da quella italiana (“fase 1”)[10], e il Tipo Documento da emettere per la “fase 2” sarà alternativamente un TD17 (acquisti dall’estero), TD18 (acquisto di beni intracomunitari) o TD19 (cedente non residente per beni ubicati in Italia).
Cosa fare se la fattura è irregolare
Nel caso in cui la fattura non sia emessa o sia stata emessa in maniera irregolare, il cessionario/committente dovrà:
- emettere un TD20 per generare / correggere il documento relativo alla “fase 1”;
- completare la “fase 2” per come sopra indicato[11].
La tempistica per la emissione del documento TD20 per le omissioni/irregolarità per reverse charge interno (articolo 6, comma 9-bis, D.Lgs.vo 471/1997) è il medesimo di quello previsto per la comunicazione “TD29” (vedi sopra)[12], invece nei casi di reverse charge esterno è quello previsto dal comma 5 dell’articolo 46 del D.L. 331/1993, ossia
- nel caso di mancato ricevimento della fattura entro il secondo mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione, il documento TD 20 deve essere emesso entro il giorno 15 del terzo mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione, in unico esemplare;
- nel caso di ricevimento di una fattura indicante un corrispettivo inferiore a quello reale, la fattura integrativa deve essere emessa entro il giorno 15 del mese successivo alla registrazione della fattura originaria.
Una volta che il SDI riceve l’autofattura TD20 (mi riferisco soprattutto alla ipotesi di reverse charge interno) l’operazione viene acquisita sia lato cessionario/committente che lato cedente/prestatore; in sostanza quest’ultimo si trova a “beneficiare” della attivazione della sua controparte commerciale pur essendo rimasto inerte rispetto all’obbligo a suo carico di emissione della FE[13]. Appare quindi opportuno che l’architettura del SDI imponga una revisione del principio generale a cui ha fatto riferimento la Corte di Cassazione nella sentenza sopra citata in nota, secondo cui gli obblighi di emissione della fattura restano sempre e comunque in carico al cedente/prestatore: nel caso in esame, infatti, questi potrà sempre avvalersi del ravvedimento ma se emettesse la fattura originariamente non emessa si creerebbe una duplicazione posto che già esiste un documento identico nel SDI. Su tale aspetto l’Agenzia delle Entrate dovrebbe esprimere il suo orientamento, al fine di dare un chiave di lettura corretta e coerente col progetto SDI.
Nei procedimenti sopra indicati vedo solo una stonatura: l’obbligo di emissione del documento TD20-autofattura nei casi previsti dall’articolo 46 comma 5 del D.L. 331/1993. Infatti, in questa ipotesi il SDI non riceve alcun documento e il cessionario/committente registra (ai fini IVA) solo il documento-integrazione TD17, TD18 o TD19. Probabilmente ciò è stato pensato dall’Agenzia delle Entrate solo per fare in modo che nel SDI esista un documento giustificativo della tardiva emissione del documento-integrazione, ma tale risultato si sarebbe potuto ottenere anche con la previsione di uno specifico campo nel tracciato record del documento-integrazione. Occorre quindi stare attenti a neutralizzare contabilmente e ai fini delle registrazioni IVA il documento TD20 che, di fatto ed in questa precisa ipotesi, assume un ruolo perfettamente sovrapponibile a quello svolto dalla Comunicazione TD29.
L’evoluzione del Sistema di interscambio: da contenitore di dati a banca dati strutturata
E’ sotto gli occhi di tutti come il Sistema di interscambio sia diventato molto di più che un semplice contenitore delle fatture elettroniche. Ciò è immediatamente visibile dalle continue evoluzioni nella codifica, che ha reso sempre più completo il puzzle delle informazioni che confluiscono nella dichiarazione annuale IVA con il modello 730 precompilato. Il problema è che alla evoluzione tecnologica non ha fatto seguito né una evoluzione normativa adeguata, né una altrettanto favorevole predisposizione della utenza, anche qualificata, alla assimilazione ed integrazione con la operatività giornaliera dei potenti mezzi informatici ed informativi esistenti.
La prima rivoluzione culturale sarebbe quella di consacrare il principio secondo cui i dati risultanti dal SDI equivalgono ad una dichiarazione IVA. Vero è che dal SDI non è possibile verificare la esatta detraibilità, oggettiva o soggettiva, dell’IVA[14], ma certo è che avere lasciato inalterato l’impianto sanzionatorio rispetto alla evoluzione-rivoluzione informatica dell’ultimo decennio mi sembra una distrazione inaccettabile[15]. Tutt’oggi sono vigenti le norme del D.Lgs.vo 74/2000 puniscono con la “… reclusione da due a cinque anni chiunque al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni relative a dette imposte, quando l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte ad euro cinquantamila”[16].
Vero è che tale norma dovrebbe essere abrogata con effetto dal 1/1/2026 ad opera dell’articolo 101 del D.Lgs.vo 173/2024, ma se si esamina l’articolo 30 del citato provvedimento, si può ben vedere come le sanzioni pecuniarie siamo rimaste invariate[17] rispetto ad un contesto storico passato che, il termini di informazioni in possesso dell’Agenzia delle Entrate, può essere considerato preistoria.
Analogo ragionamento vale per le LIPE, di fatto oggi ricostruibili– con le avvertenze sopra richiamate e con qualche semplice integrazione – dai dati in possesso nel SDI. In definitiva, se l’amministrazione finanziaria è in grado di produrre una dichiarazione IVA “precompilata”, per quale ragione questa non debba essere giuridicamente considerata come tale, salva ovviamente la facoltà del contribuente di presentarne una con contenuto diverso, soprattutto per operare eventuali integrazioni di carattere soggettivo?
Il SDI come database completo dei dati IVA
Probabilmente occorrerebbe aver il coraggio di riconoscere al SDI il ruolo ufficiale di database completo dei dati IVA, integrandolo con le altre informazioni oggi mancanti (prime fra tutte, le informazioni sulla detraibilità), che potrebbero ben essere un Tipo documento specifico, da correlare al documento principale, in maniera analitica o sintetica. D’altronde il legislatore ha dimostrato il coraggio di sancire la inutilità dei registri IVA per tutte le operazioni che transitano dal SDI[18] [19], ovviamente sempre che i soggetti obbligati forniscano le informazioni necessarie al raccordo tra i dati del SDI e la liquidazione dell’IVA. Tuttavia di ciò si avuta scarsa risonanza: sembra che la trasfusione nel sistema normativo e nelle procedure contabili del progresso tecnologico sia un percorso avversato da una nutrita schiera di soggetti che, invece, dovrebbero essere i sostenitori.
I nodi che frenano il cambiamento
I primi – ahimè – siamo noi Dottori Commercialisti, che per timore che la tecnologia possa rendere superflui molti adempimenti che oggi sono fonte di compensi per la categoria, ci guardiamo bene dal passare al setaccio della logica e della tecnologia il vasto repertorio di adempimenti formali, la maggior parte dei quali sono palesemente inutili o comunque razionalizzabili.
Il secondo nemico è il legislatore (e, di riflesso, chi dovrebbe esserne il pungolo) che non procede ad una revisione dell’intero sistema tributario sgombrando il campo dalle pericolose presunzioni che da un lato rendono altamente rischioso l’esercizio di una qualsiasi attività di lavoro autonomo e dall’altro rappresentano il facile rifugio degli Uffici dell’ADE per il raggiungimento degli obiettivi programmatici dei controlli e delle verifiche[20]. La normativa tributaria dovrebbe camminare a braccetto con il progresso e con la disponibilità concreta di dati offerti dalla tecnologia, sia al fine di rendere “centrati” i controlli, sia al fine di incentivare la iniziativa privata; invece le norme (e i relativi controlli) ancora oggi sembrano rincorrere piuttosto che prevenire fenomeni di evasione/elusione.
L’Amministrazione Finanziaria purtroppo va a corrente alternata, nel senso che vi sono stati momenti di grande progettualità (vedi fatturazione elettronica), anche in quanto a condivisione con le categorie interessate, ma vi sono anche momenti di stasi, probabilmente dovuti anche al cambio di “government” e alla “pressione”, non sempre benefica, da parte degli stakeholders[21]. Sembra che la incapacità di utilizzare in maniera efficiente ed efficace la infinita mole di dati in possesso della Amministrazione Finanziaria sia così consolidata da far nascere il sospetto che ciò non sia solo frutto di incapacità.
Senza un coordinamento razionale e onesto intellettualmente di tutti gli attori, sia pure nel rispetto dei rispettivi ruoli, non è possibile neppure immaginare un futuro; pensare ad una crescita senza considerare che il punto di partenza sia un rapporto normativo e comportamentale paritario ed efficiente con la Pubblica Amministrazione (Fisco in testa) è un freno insuperabile.
Note
[1] 8. Il cessionario o il committente che, nell’esercizio di imprese, arti o professioni, abbia acquistato beni o servizi senza che sia stata emessa fattura nei termini di legge o con emissione di fattura irregolare da parte dell’altro contraente, è punito, salva la responsabilità del cedente o del commissionario, con sanzione amministrativa pari al cento per cento dell’imposta, con un minimo di euro 250, sempreché non provveda a regolarizzare l’operazione con le seguenti modalità:
a) se non ha ricevuto la fattura, entro quattro mesi dalla data di effettuazione dell’operazione, presentando all’ufficio competente nei suoi confronti, previo pagamento dell’imposta, entro il trentesimo giorno successivo, un documento in duplice esemplare dal quale risultino le indicazioni prescritte dall’articolo 21 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, relativo alla fatturazione delle operazioni;
b) se ha ricevuto una fattura irregolare, presentando all’ufficio indicato nella lettera a), entro il trentesimo giorno successivo a quello della sua registrazione, un documento integrativo in duplice esemplare recante le indicazioni medesime, previo versamento della maggior imposta eventualmente dovuta.
9. Se la regolarizzazione è eseguita, un esemplare del documento, con l’attestazione della regolarizzazione e del pagamento, è restituito dall’ufficio al contribuente che deve registrarlo ai sensi dell’articolo 25 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633.
[2] O, meglio, la davano per scontata.
[3] Si segnala al riguardo la sentenza 7 maggio 2021, n.12146 della Corte di Cassazione Civile Sez. tributaria, che ha confermato, sulla scia di quanto già affermato dalla Corte Costituzionale, che “solo il prestatore deve essere considerato debitore dell’imposta sul valore aggiunto nei confronti delle autorità tributarie” ha, poi, chiarito che, “nell’ipotesi di mancata emissione di fattura da parte del soggetto che ha compiuto l’operazione imponibile, non esiste alcun obbligo di rango comunitario a considerare la persona beneficiaria dell’operazione come ulteriore debitore d’imposta”, e che “l’estensione all’auto fattura, e all’imposta ivi indicata e pagata all’erario, del regime della detrazione è una mera conseguenza dell’avvenuta regolarizzazione”, sicché si tratta di una “detrazione di oneri di natura diversa”, non potendo essere configurata quale detrazione inerente al sistema della detrazione dell’Iva, il quale, dovendo assicurare la neutralità dell’imposta, “presuppone che l’importo dovuto costituisca oggetto di un debito di imposta”. La Corte ha concluso affermando che “il cessionario, invero, regolarizzando la propria posizione, versando l’imposta e annotando l’autofattura nei propri registri, con conseguente detrazione di quanto versato, ha fatto venire meno i presupposti per la irrogazione della sanzione nei propri confronti, ma tali adempimenti non sono estintivi dell’obbligazione di pagamento dell’Iva gravante sul cedente, sicché in questo si concretizza la mancata percezione dell’Iva da parte dell’erario”. Ciò vuol dire che la regolarizzazione da parte del cessionario/committente ai sensi dell’articolo 8, comma 6, non era di ostacolo alla contabilizzazione della fattura e alla detrazione dell’IVA, anche se emesse tardivamente, a regolarizzazione avvenuta.
[4] E’ utile evidenziare che in tale occasione è stato altresì previsto che “E’ escluso l’obbligo di controllare e sindacare le valutazioni giuridiche compiute dall’emittente della fattura o di altro documento, riferite ai titoli di non imponibilità, esenzione o esclusione dall’imposta sul valore aggiunto derivati da un requisito soggettivo del predetto emittente non direttamente verificabile”. Questa norma è molto importante perché elimina le incertezze dovute ai casi in cui la fattura emessa possa presentare irregolarità connesse a profili soggettivi dell’emittente; sembra tuttavia che non si possa estendere il “sindacato” al caso di indicazione da parte del cedente /prestatore di una aliquota IVA errata, posto che tale circostanza non sembra potersi riferire ai titoli di non imponibilità, esenzione o esclusione previsti dalla norma.
[5] Ai sensi dell’articolo 21 comma 4 del DPR 633/1972:
- la fattura immediata deve essere emessa entro 12 giorni dalla effettuazione della operazione (consegna beni o pagamento)
- la fattura differita deve essere emessa entro il giorno 15 del mese successivo a quello di effettuazione delle operazioni di riferimento, ovvero entro il mese successivo alla consegna per le cessioni di beni effettuate dal cessionario nei confronti di un soggetto terzo per il tramite del proprio cedente.
[6] Resta sempre la possibilità di chiedere la emissione della fattura prima di effettuare il pagamento, ma non sempre si è nelle condizioni pratiche per poterlo fare.
[7] Continuo a chiedermi da anni perché di fronte alla certezza che l’applicazione dell’IVA nel B2B sia suscettibile di provocare frodi ed evasione di imposta, non si sia pensato, in ambito comunitario, di ribaltare il principio generale dell’IVA secondo cui la regola diventasse l’applicazione del reverse charge: si eliminerebbero costi ed adempimenti inutili, stante la sostanziale neutralità dell’imposta nei rapporti B2B e, soprattutto, i debitori d’imposta sarebbero soltanto quelli effettivi, ossia coloro che operano con privati o coloro che avessero iva indetraibile. I vantaggi per l’economia, per le imprese e per lo Stato sarebbero incalcolabili.
[8] Salvo che non sia soggetto al regime forfettario, per cui l’operazione sarà sempre non soggetta ad IVA, ma ai sensi dell’art. 1, commi da 54 a 89 della L. 23 dicembre 2014, n. 190.
[9] Nel documento TD20, occorrerà indicare
- l’imponibile dell’operazione e il sottocodice della Natura N6 relativo al tipo di operazione cui si riferisce l’autofattura
- come C/P l’effettivo cedente o prestatore e come C/C sé stesso
[10] Nel tipo documento TD20, occorrerà indicare
- l’imponibile e il sottocodice della Natura N2.1 nel caso di acquisti da soggetto UE di servizi o di beni già presenti in Italia oppure la Natura N3.2 nel caso di acquisti intracomunitari;
- come C/P l’effettivo cedente o prestatore e come C/C sé stesso
[11] Che comunque è perfettamente identica al caso in cui sia stata ricevuta la fattura regolare.
[12] Valgono le stesse considerazioni sopra svolte in relazione alla possibilità di ravvedimento.
[13] Mutatis mutandis è ciò che succede anche nella ipotesi prevista dall’articolo 34 del DPR 633/1972 per gli agricoltori esonerati, in cui l’obbligo di emissione della fattura è a carico dei cessionari.
[14] Ma anche questo è un falso problema, perché per la indetraibilità oggettiva i controlli potrebbero essere semplici, per quella soggettiva il consolidamento dei dati in possesso del SDI crea di fatto un database quasi completo.
[15] Così come è inaccettabile che gli esperti si affannino ad interpretare le norme ma facciano poco per evidenziarne la palese asimmetria esistente tra norme e evoluzione tecnologica
[16] Ci sarebbe da riflettere circa il rapporto fine-mezzo contenuto nella norma: “al fine di evadere…” è una dichiarazione non congrua, perché di fatto oggi l’unico fatto prodromico alla evasione è diventato la omessa fatturazione, per il resto i dati sono in pancia al SDI, quindi il “fine di evasione” per la omessa dichiarazione è solo un reperto archeologico.
[17] Sanzione amministrativa del 120 per cento dell’ammontare del tributo dovuto per il periodo d’imposta o per le operazioni che avrebbero dovuto formare oggetto di dichiarazione, con un minimo di euro 250, esattamente conforme all’attuale articolo 5, comma 1, del Decreto legislativo 471/1997.
[18] Articolo 1, comma 3-ter del Decreto Legislativo 127/2015:
“I soggetti obbligati alla comunicazione dei dati delle fatture emesse e ricevute ai sensi del comma 3 del presente articolo sono esonerati dall’obbligo di annotazione in apposito registro, di cui agli articoli 23 e 25 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633”.
Articolo 2, comma 2, secondo periodo, del decreto legislativo 127/2015:
“ La memorizzazione elettronica e la connessa trasmissione dei dati dei corrispettivi sostituiscono gli obblighi di registrazione di cui all’articolo 24, primo comma, del suddetto decreto n. 633 del 1972.”
[19] In effetti l’Agenzia delle Entrate ha ridimensionato tali disposizioni, limitandone la possibilità solo nelle ipotesi di “convalida” dei registri predisposti dall’ADE, permessa solo ai soggetti trimestrali (vedi provvedimento del Direttore dell’ADE Prot. n. 183994/2021, punti 5.1 e 3.2). Non si comprende la ragione di tale limitazione. Il problema non è tanto nella tenuta dei registri, quanto nel mantenimento di sanzioni progettate in un’era in cui la registrazione dei documenti era fondamentale ai fini del controllo, oggi sappiamo tutti che non è più così.
[20] Non mi stancherò mai di evidenziare come miscelando il super potere degli Uffici con la inadeguatezza degli organi Giudiziari tributari si crea una miscela esplosiva che mina alla radice la libertà alla iniziativa economica, tutelata dall’articolo 41 della Costituzione: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.”
[21] Vedi per esempio la questione relativa alla conservazione delle fatture elettriche, un inutile orpello che semina ancora terrore (ricordiamo questo articolo)










