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Compliance integrata: quando le regole diventano vantaggi



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La pressione normativa crescente impone alle aziende di ripensare la compliance come funzione strategica integrata. L’approccio frammentato non è più sostenibile di fronte a regolamenti sempre più complessi che toccano ogni aspetto del business

Pubblicato il 27 mag 2025

Luca Libutti

compliance director EMEA – Zimmer Biomet

Giuseppe Vaciago

Partner 42 Law Firm e Docente di Data Ethics e Data Protection al Politecnico di Torino



purpose aziendale (1) compliance aziendale

La pressione normativa sulle aziende è ormai enorme e continua ad aumentare. Viene spontaneo un paragone con la fisica: un razzo, per sfuggire alla gravità terrestre, deve raggiungere una certa velocità di fuga (escape velocity), altrimenti ricade al suolo. Allo stesso modo, la funzione compliance di un’impresa ha bisogno di uno slancio sufficiente per “staccarsi” dalla gravità delle vecchie strutture organizzative e prendere il volo.

Sempre più manager si chiedono se sia stato raggiunto questo punto critico. In altre parole, la mole di regolamenti è diventata tale che i tradizionali meccanismi di controllo rischiano di non reggere più: serve una spinta dedicata e nuovi modelli per mantenere la conformità. Abbiamo superato la “velocità di fuga” della compliance aziendale, oppure siamo ancora trattenuti a terra dal peso delle norme?

Per rispondere, occorre esaminare lo scenario attuale. Negli ultimi anni, infatti, il contesto normativo in Europa è diventato via via più articolato, toccando ogni aspetto del business. Di conseguenza, il ruolo della compliance all’interno delle aziende è cambiato: da semplice funzione di controllo è ormai un pilastro della governance aziendale, sempre più strategico e al tempo stesso complesso da gestire.

Il panorama normativo europeo: un’accelerazione continua

Negli ultimi anni il legislatore europeo ha introdotto una serie di normative chiave che hanno ridefinito i confini della compliance aziendale. Tra le più importanti possiamo ricordare:

  • Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati GDPR – 2016: ha imposto standard rigorosi sulla privacy e sulla gestione dei dati personali, aumentando le responsabilità delle imprese e prevedendo sanzioni molto pesanti per le violazioni.
  • Direttiva UE sul Whistleblowing – 2019: ha rafforzato la protezione di dipendenti e collaboratori che segnalano illeciti nelle organizzazioni, richiedendo alle aziende di implementare canali interni sicuri per le segnalazioni.
  • Direttive NIS e Regolamento DORA – 2016-2022: hanno introdotto obblighi stringenti di sicurezza informatica e di notifica degli incidenti cyber, garantendo la resilienza digitale soprattutto nel settore dei servizi finanziari.
  • Normative sulla sostenibilità (CSRD, CSDDD, Tassonomia, “Stop the clock”) – 2022-2025: stanno imponendo maggiore trasparenza e rendicontazione sulle performance ESG (ambientali, sociali e di governance), trasformando la sostenibilità in un fattore chiave della reputazione e del reporting aziendale. Di recente, l’iniziativa “Stop the clock” ha persino previsto un rinvio dei termini applicativi di alcune norme, segno della mole di obblighi in arrivo.
  • Regolamento sull’Intelligenza Artificiale AI Act – 2024: mira a garantire che i sistemi di intelligenza artificiale siano sicuri, trasparenti e affidabili, tutelando i diritti fondamentali dei cittadini e al contempo promuovendo l’innovazione tecnologica.

Questa accelerazione normativa, per quanto necessaria per affrontare nuove sfide, rappresenta un’enorme sfida per le imprese. Nel giro di meno di un decennio le aziende europee si sono trovate a dover adeguarsi a una mole crescente di regole in ambiti diversi, dalla privacy alla finanza, dalla sostenibilità alla tecnologia. Mantenere una visione d’insieme coerente e aggiornata di tutti questi obblighi è diventato complesso. Molte organizzazioni hanno reagito creando team separati per ciascun ambito (privacy, antiriciclaggio, sicurezza, sostenibilità, ecc.). Questo approccio settoriale, però, rischia di alimentare “silos” di compliance, ognuno focalizzato sul proprio campo. In parallelo, sono emerse figure specializzate: il Data Protection Officer (DPO) per la privacy – introdotto proprio dal GDPR – è ormai presente in molte aziende, così come nuovi ruoli dedicati alla sostenibilità (ESG manager, comitati di sostenibilità). Ciò conferma che la compliance sta guadagnando autonomia all’interno dell’organizzazione. Tuttavia, se questi presidi rimangono isolati l’uno dall’altro, la frammentazione persiste.

I rischi della frammentazione e dei silos della compliance

La gestione frammentata della compliance comporta diversi rischi e inefficienze. Quando ogni normativa viene affrontata da un team o reparto separato, senza un coordinamento centrale, è facile perdere la visione globale del rischio. Si possono creare duplicazioni di attività, lacune nei controlli e approcci incoerenti tra un ambito e l’altro.

Ad esempio, le procedure pensate per garantire la privacy dei dati potrebbero non essere allineate con quelle adottate per la sicurezza informatica, o le iniziative di sostenibilità potrebbero essere portate avanti senza tenere conto delle implicazioni sul rispetto di normative finanziarie o di trasparenza. Questi silos isolati fanno sì che la compliance resti spezzettata: ogni funzione lavora per conto proprio, con strumenti e metriche differenti.

Questo approccio a compartimenti stagni ha un costo. Innanzitutto in termini di efficienza operativa: diversi team potrebbero star svolgendo compiti simili senza comunicare, sprecando risorse preziose. Si creano anche disagi per i dipendenti, che possono perdersi tra procedure sovrapposte o incoerenti, con maggiori probabilità di errore nell’applicazione quotidiana delle regole. In aggiunta, aumenta il rischio di non accorgersi per tempo di violazioni o problemi interconnessi tra aree diverse. Un requisito normativo nuovo potrebbe sfuggire perché ritenuto “non di nostra competenza” da un reparto, salvo poi impattare l’azienda altrove.

Per i manager, questa frammentazione significa avere una governance meno solida. Manca spesso un quadro chiaro e unificato sul livello di conformità complessivo dell’organizzazione. In caso di controlli esterni o incidenti, diventa complicato rispondere rapidamente e in modo coordinato. Il rischio reputazionale cresce: una falla in un ambito (ad esempio un caso di corruzione o di violazione ambientale) può vanificare gli sforzi compiuti in altri settori, minando la fiducia degli stakeholder.

Strumenti digitali integrati e AI: le opportunità per la compliance

Di fronte a questa complessità, la chiave per raggiungere la “escape velocity” della compliance risiede anche nell’innovazione tecnologica. L’adozione di strumenti digitali integrati e l’impiego dell’intelligenza artificiale (AI) stanno aprendo nuove opportunità per gestire la conformità in modo più efficiente e proattivo.

Piattaforme di Governance, Risk & Compliance (GRC) di nuova generazione consentono di aggregare in un unico sistema tutte le informazioni e le attività legate alla compliance. Questo approccio integrato permette ai vari team (legale, IT, finanza, sostenibilità ecc.) di lavorare su una base dati comune, condividendo segnalazioni, controlli e aggiornamenti normativi. In pratica, si abbattono le barriere dei silos: la compliance diventa trasversale all’azienda, con processi coordinati e una visione unificata.

L’intelligenza artificiale può dare ulteriore slancio a questo modello. Ad esempio, algoritmi di machine learning possono analizzare in tempo reale grandi volumi di transazioni o di log aziendali, identificando anomalie o comportamenti sospetti da sottoporre all’attenzione degli esperti (si pensi al rilevamento di transazioni a rischio riciclaggio, o di accessi anomali ai sistemi informatici). Allo stesso modo, sistemi di natural language processing possono aiutare a esaminare nuovi testi di legge e regolamenti appena pubblicati, evidenziando automaticamente le novità più rilevanti per l’azienda e suggerendo gli adeguamenti necessari.

Non solo: strumenti digitali avanzati consentono di implementare un monitoraggio continuo della conformità. Si passa da verifiche manuali e periodiche a controlli automatizzati in tempo reale. Dashboard e indicatori aggiornati permettono al management di sapere in ogni momento qual è lo stato di compliance dell’azienda nei vari ambiti, e di intervenire subito se qualcosa non è in linea. Questo approccio proattivo riduce il rischio di non conformità “sorpresa” e permette di anticipare possibili problemi, trasformando la compliance in un processo dinamico e preventivo.

Inoltre, liberando il team compliance da molte attività ripetitive e di puro controllo, la tecnologia permette di dedicare più tempo all’analisi strategica. La conformità può così diventare un fattore abilitante per il business: pensiamo allo sviluppo di prodotti e servizi già “compliant by design”, che rispettano fin dall’inizio i requisiti normativi e le aspettative etiche del mercato. Le aziende che sfruttano queste opportunità digitali non solo tengono il passo con le regole, ma riescono spesso a innovare più rapidamente dei concorrenti, perché integrano la compliance nel processo decisionale sin dalle prime fasi.

La digitalizzazione della compliance consente insomma di fare di più con meno: richiede certo un investimento iniziale, ma nel medio periodo riduce i costi legati alle violazioni e alle inefficienze, liberando risorse che possono essere dedicate al core business. In questo modo la compliance cessa di essere un centro di costo e diventa a tutti gli effetti un fattore di valore per l’azienda.

La compliance come leva strategica per il futuro

Alla luce di questo scenario in rapida evoluzione, la domanda iniziale rimane aperta: abbiamo davvero raggiunto l’escape velocity della compliance aziendale? La risposta, per ora, non è univoca. Da un lato, molte organizzazioni stanno effettivamente investendo in sistemi di compliance sempre più robusti e integrati, dimostrando capacità di adattamento e innovazione. Queste aziende pionieristiche riescono a stare al passo con l’evoluzione normativa e talvolta a trasformare i vincoli in opportunità di miglioramento.

Dall’altro lato, la corsa non è finita. L’evoluzione del contesto normativo continua senza sosta, specialmente in campi emergenti come la sostenibilità e l’intelligenza artificiale. Ciò impone un impegno costante: la compliance non può più essere pensata come un progetto da “mettere a posto” una volta per tutte, ma come un processo continuo di apprendimento e adeguamento.

Guardando al futuro, la compliance si configura sempre più come una leva strategica e non solo come un vincolo da rispettare. Le aziende che sapranno accelerare oltre la “gravità” burocratica, adottando una visione integrata e sfruttando appieno le tecnologie digitali, potranno volare più in alto. In questo modo, non solo eviteranno sanzioni e rischi, ma rafforzeranno la fiducia di clienti, partner e investitori. In un mercato globale sempre più esigente e consapevole, essere compliant in modo intelligente e lungimirante significa essere competitivi, resilienti e pronti a cogliere nuove opportunità.

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