digitale e sostenibilità

Datacenter cloud ancora poco green: ecco i nodi irrisolti

L’impronta ambientale dei datacenter preoccupa gli esperti: non si fa ancora abbastanza per renderli “ecologici”, in termini di investimenti in efficienza e uso delle rinnovabili. Bisogna correre verso il green cloud computing

Pubblicato il 07 Ott 2021

Marco Bettiol

Dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali, Università degli studi Padova

Eleonora Di Maria

docente di Economia e gestione delle imprese - Dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali, Università degli studi Padova

Elham Talebbeydokhti

Dipartimento Scienze Economiche e Aziendali dell’Università di Padova

La crescente attenzione verso la sostenibilità ambientale e verso l’uso più consapevole delle risorse non riguarda solamente le imprese manifatturiere, ma sempre più vede in primo piano anche gli operatori del mondo del digitale.

In modo particolare la crescente mole di dati e di contenuti che vengono generati e scambianti a livello mondiale aumenta la domanda di servizi cloud computing, tecnologia che, a fronte di importanti vantaggi anche dal punto di vista ambientale, presenta un’impronta ecologica che oggi non può più essere ignorata.

Se l’attenzione delle imprese e dei manager del digitale nei confronti della sostenibilità è sempre più alta e questo sta spingendo degli investimenti nei confronti di soluzioni a minor impatto ambientale e con una maggior attenzione al tema delle energie rinnovabili; tuttavia, c’è ancora una scarsa sensibilità verso un approccio circolare che tenga in considerazione l’impatto di tutti i componenti di un data center, come nel caso dei rifiuti elettronici.

La strada verso il green cloud computing è ormai tracciata, insomma, ma ciò non toglie che il cammino sia ancora lungo. Vediamo perché.

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I benefici (anche ambientali) del cloud

I servizi che quotidianamente utilizziamo, dalla videoconferenza ai file condivisi in rete, ci appiano come del tutto immateriali. In realtà dietro ad ogni contenuto disponibile online si nasconde un’infrastruttura fisica composta da server, gruppi di continuità, connessioni ad alta velocità. In una parola: i data center. Per poter funzionare, i servizi in cloud computing utilizzano uno o più data center dove risiedono dati e soluzioni applicative.

I benefici che il cloud computing offre sono molti: riduzione dei costi di infrastruttura per gli utilizzatori, costi proporzionali all’intensità di utilizzo (pay per use), semplificazione amministrativa, flessibilità e accessibilità dei dati. Proprio durante la pandemia, questi benefici sono diventati ancora più tangibili. Sia i singoli cittadini che molte imprese hanno potuto fare leva sui servizi di cloud computing per continuare a lavorare in modo flessibile e a distanza (smart working). Si può quindi comprendere come i servizi digitali siano diventati sempre più importanti nelle nostre vite, tanto che oggi difficilmente riusciamo ad immaginare di poterne fare a meno.

Oltre alla flessibilità e alla facilità di accesso, i servizi di cloud computing hanno dei benefici in termini ambientali. Il processo di dematerializzazione che permette di realizzare connettendo in modo virtuale più persone ed organizzazioni ha un impatto positivo dal punto di vista dell’uso delle risorse (es. gestione documenti cartacei, CO2 legata ai trasporti ecc.). Lo potremmo definire come un “effetto di sostituzione”. Se prima ad esempio eravamo noi a viaggiare, oggi sono i bit che viaggiano al posto nostro, garantendoci comunque la possibilità di interagire in modo efficace a distanza. Più attività online significano minori attività tradizionali che hanno generalmente un impatto ambientale superiore.

L’impronta ecologica del cloud computing

Tuttavia, questo crescente ricorso al digitale sta portando a una maggiore consapevolezza in merito ad una misurazione più precisa dell’impatto ambientale. Per quanto inferiore rispetto ad attività di tipo tradizionale, i servizi cloud hanno un’impronta ecologica che oggi non può più essere ignorata e che deve essere valutata con crescente attenzione. In fin dei conti ogni video che guardiamo online ha un suo impatto, per quanto piccolo, in termini di produzione di C02. Per non parlare poi dei nuovi servizi basati sull’intelligenza artificiale che, per poter essere messi a punto richiedono un considerevole consumo energetico (Cowls, Tsamados, Taddeo1,2 and Floridi, 2021). Come evidenziato da uno studio recente (Thompson, Greenewald, Lee, Manso, 2020), l’addestramento degli algoritmi di deep learning richiede un’elevata capacità computazionale che si traduce quindi, con le tecnologie attuali, in un elevato dispendio energetico, con un conseguente impatto ambientale.

Nella letteratura scientifica ci sono diversi studi che hanno provato a stimare l’impatto ambientale del digitale. Sebbene le stime prodotte varino molto e non ci sia ad oggi una metodologia condivisa di calcolo, aiutano ad avere una quantificazione. Dal punto di vista della produzione di CO2 confrontando diverse infrastrutture tecnologiche (device individuali, TV, reti, data center), gli studi evidenziano un ruolo importante dei data center con una “forchetta” di MtCO2 stimate nel 2020 che va da 127 a 217 (fonte: Freitag et al. 2020). Il trend di utilizzo dell’energia (TWh) nel decennio 2020-2030 da parte dei data center viene stimato arrivare al 2030 con un valore pare ai 366 (scenario migliore) ovvero 974 (scenario atteso) (fonte: Andrae, 2020). Al 2018 il valore stimato era pari a 205 TWh (fonte: Masanet et al. 2020), pari allo 0,8% della domanda finale globale di elettricità.

Da un punto di vista tecnico, le ragioni di questo intenso utilizzo di energia elettrica sono principalmente connessi al problema del raffreddamento delle attrezzature informatiche (server) che dissipano molto calore nel loro funzionamento. Non sorprende quindi che uno degli indicatori chiave utilizzati nell’industria dei data center sia il Power Usage Effectiveness o PUE che misura il rapporto la quantità totale di energia usata da un data center e l’uso di energia delle apparecchiature IT. Più questo rapporto è vicino ad 1, maggiore sarà l’efficienza del data center perché questo significa che la totalità dell’energia elettrica è utilizzata per il funzionamento dei server e non per il loro raffreddamento. Per questa ragione oggi il PUE appresenta il principale indicatore utilizzato per la valutazione dell’efficienza energetica di un data center e sintesi della “sostenibilità” dell’infrastruttura.

Gli investimenti per migliorare l’efficienza

Consapevoli del crescente impatto ambientale dell’industria e di una aumentata attenzione anche del consumatore finale verso la sostenibilità dei servizi digitali, gli operatori del settore che offrono servizi basati su data center hanno investito per migliorare l’efficienza e quindi per ridurre i consumi di elettricità. Su questo fronte la direzione intrapresa è promettente, con un valore PUE medio mondiale passato da 2,5 nel 2007 a 1,59 nel 2020 (fonte Statista).

Per raggiungere questo importante risultato, gli operatori hanno investito in diverse direzioni. Innanzitutto, sulla localizzazione delle infrastrutture di data center verso aree geografiche caratterizzate da temperature rigide o con particolari caratteristiche come, ad esempio, la presenza di energia geotermica. Poi puntando sul miglioramento sia delle singole componenti tecnologiche sia del design complessivo dei data center trovando nuove modalità di combinazione tra hardware e software (come il caso dei data center Hyperscale di cui parliamo più avanti).

Il ricorso a fonti rinnovabili

Un altro fronte sul quale gli operatori del settore si stanno impegnando riguarda la fonte dell’energia: si sta cercando di utilizzare in modo sempre maggior fonti rinnovabili (solare, eolico, idroelettrico). Se l’efficienza energetica ha infatti un limite, una soluzione radicale per affrontare la sostenibilità del settore è quella di utilizzare energia che non proviene da fonti fossili. Si tratta di un processo in corso e che tuttavia ancora non consente di rinunciare completamente alle fonti fossili. Soprattutto per ragioni tecniche. I data center devono poter funzionare in sicurezza, costantemente (h24) e in qualsiasi condizione climatica.

La variabilità ad esempio dell’energia solare, e delle fonti rinnovabili, non consente quindi ancora una gestione “carbon neutral”. Inoltre, l’utilizzo delle risorse rinnovabili può esso stesso generare dei problemi se non opportunamente gestito, basti pensare alle implicazioni nell’uso del terreno in caso di produzione di energia eolica o energia solare. A questo si aggiungono inoltre gli impatti negativi correlati all’utilizzo dei prodotti chimici di raffreddamento ovvero, in una prospettiva più ampia, le criticità nella gestione del fine vita delle infrastrutture dismesse (rifiuti elettronici).

Un approccio strategico al green cloud computing

La sfida nella gestione delle infrastrutture dei data center consiste nella definizione di un approccio strategico al green cloud computing, che prevede di poter investire in più direzioni. Un primo ambito riguarda il miglioramento costante del PUE così come di altri indicatori rilevanti: DCiE (efficienza dell’infrastruttura del centro dati (DCiE) = 1/PUE * 100%), CUE (efficacia nell’uso del carbonio = emissioni di CO2 causate dal totale energia del data center / utilizzo di energia delle attrezzature IT), WUE (efficacia dell’uso dell’acqua: uso annuale dell’acqua del sito in litri (L) / utilizzo di energia delle apparecchiature IT in kilowattora (Kwh).

A questi occorre aggiungere l’attenzione verso la riduzione dell’uso di materiali pericolosi, promuovere la riciclabilità o la biodegradabilità dei prodotti utilizzati e dei rifiuti, così come massimizzare l’efficienza energetica durante la vita del prodotto.

Due tendenze possono influire sul consumo energetico globale dei data center, in direzioni opposte. Da un lato l’efficientamento energetico può ridurre il consumo, in termini di infrastrutture IT sempre più efficienti. È importante avere una prospettiva dell’intera catena del valore, che includa una valutazione inerente all’impatto ambientale della propria fornitura, non solo in chiave energetica. Da questo punto di vista sono stati definiti a livello europeo dei criteri per gli Acquisti Verdi (Green Public Procurement) che possano consentire alle pubbliche amministrazioni di avere una guida per l’acquisto di servizi cloud e sviluppo infrastrutture più sostenibili. Dall’altro lato la domanda crescente di servizi spinge verso un aumento dell’energia utilizzata. Diventa importante considerare i processi di virtualizzazione del software così come della migrazione verso soluzioni a scala maggiore o hyperscale data center. L’evoluzione dei data center ha consentito in parte di mitigare la crescita dell’utilizzo dell’energia (+3% tra 2010 e 2019) attraverso una ricomposizione interna tra data center tradizionali con il cloud e l’hyperscale (Fonte IEA), rispetto ad un workload e una crescita del traffico Internet che sono aumentati dal 2010 al 2019 del +650% e 1100% rispettivamente.

Conclusioni

I grandi operatori del settore dei servizi digitali si stanno impegnando in costante processo di miglioramento su più fronti. I risultati ottenuti sono incoraggianti. Ad esempio Google ha recentemente dichiarato che circa il 63% dell’energia elettrica utilizzata nei propri data center proviene da fonti rinnovabili con lo volontà di portare questa quota al 90% nel prossimo futuro. Questi risultati hanno spinto anche molti altri operatori del settore (anche quelli di minore dimensione) a prendere importanti iniziative di miglioramento ambientale.

Da una serie di focus group che abbiamo condotto come Dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali dell’Università di Padova con i principali operatori del mercato italiano emerge una situazione in profonda trasformazione.

Emerge tuttavia, anche una scarsa sensibilità verso un approccio circolare.

Una delle ragioni di questa ancora bassa attenzione sia a livello internazionale che nazionale al tema dell’economia circolare applicata a questa industria è la mancanza di una serie di indicatori che rendano più facile ai manager non solo identificare il problema, ma anche mettere a punto delle soluzioni. La diffusione di un indice come il PUE ha sicuramente aiutato a prendere decisioni più consapevoli e mirate. L’augurio è che identificando degli indici specifici per i data center, le imprese possano ulteriormente ridurre il proprio impatto ambientale.

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