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AI alleata del consumatore contro le asimmetrie informative



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Dopo decenni di squilibri informativi, l’AI potrebbe riequilibrare i mercati, offrendo strumenti di analisi accessibili a tutti. Tuttavia, il vantaggio resta a chi controlla i modelli più avanzati e le risorse computazionali

Pubblicato il 6 nov 2025

Maurizio Carmignani

Founder & CEO – Management Consultant, Trainer & Startup Advisor



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L’intelligenza artificiale sta trasformando uno dei pilastri dell’economia di mercato: le asimmetrie informative, quel vantaggio che venditori e professionisti hanno sempre avuto sui consumatori.

Dopo aver esplorato come gli algoritmi possano colludere per gonfiare i prezzi, è tempo di guardare l’altro lato della medaglia: quando l’AI diventa strumento di trasparenza e riequilibrio.

A Market for Lemons: George Akerlof, Information Asymmetry, Imperfect Information & Market Failures

Dalla collusione algoritmica alla trasparenza informativa

La collusione algoritmica è la nuova frontiera delle esternalità negative dei mercati digitali: le macchine apprendono strategie che l’uomo non aveva previsto, con effetti anticoncorrenziali. Ma non tutte le conseguenze dell’AI vanno in quella direzione. In altri casi, la stessa tecnologia può correggere alcune delle più antiche distorsioni del capitalismo: le asimmetrie informative, cioè i vantaggi che venditori, professionisti e intermediari hanno sempre avuto rispetto ai consumatori.

Cos’è un’asimmetria informativa

Un’asimmetria informativa si verifica quando una delle due parti di una transazione possiede più informazioni dell’altra e può sfruttare questo vantaggio a proprio favore. Un concetto introdotto in economia da George Akerlof, premio Nobel nel 2001, nel celebre articolo The Market for Lemons (1970). Akerlof mostrò che nel mercato delle auto usate il compratore non può sapere se l’auto è buona o difettosa (“lemon”). Questo squilibrio genera sfiducia, spinge i prezzi verso il basso e scoraggia i venditori onesti.
L’esempio divenne così famoso da entrare nella cultura popolare americana attraverso una battuta ricorrente nelle campagne elettorali: “Would you buy a used car from this man?” — Comprereste un’auto usata da quest’uomo? L’espressione, nata negli anni ’60 durante la campagna contro Richard Nixon e già allora celebre, anticipava in un certo senso il tema che Akerlof avrebbe formalizzato pochi anni dopo: la diffidenza che nasce quando una parte del mercato sa di più dell’altra.

Il mercato dei “lemons” e le sue eredità moderne


Nel modello di Akerlof, il mercato delle auto usate rappresenta in miniatura tutti i mercati caratterizzati da informazioni imperfette. Quando gli acquirenti non possono distinguere tra prodotti di qualità diversa, offrono un prezzo medio.

Questo spinge i venditori onesti a ritirarsi, lasciando spazio solo ai prodotti scadenti. Il risultato è un circolo vizioso, meno fiducia, meno scambi, meno efficienza. Oggi lo stesso meccanismo si applica ai contratti assicurativi, ai prestiti online, alla consulenza finanziaria e persino ai servizi sanitari.

L’effetto correttivo dell’AI

Secondo un’analisi pubblicata da The Economist , l’intelligenza artificiale potrebbe finalmente ridurre questa distorsione strutturale. Quando i consumatori possono usare ChatGPT o Claude per decifrare un contratto di leasing, verificare una diagnosi o confrontare offerte assicurative, la barriera informativa si abbassa.

Oggi chiunque può:

  • caricare un contratto e farsi spiegare ogni clausola in linguaggio chiaro;
  • confrontare preventivi e condizioni con strumenti automatizzati;
  • stimare il valore reale di un prodotto o di un servizio;
  • scoprire voci di spesa nascoste o termini ingannevoli.

In breve, ogni consumatore ha un consulente personale nel proprio smartphone.
È l’evoluzione del processo di trasparenza iniziato con Internet, ma con una differenza sostanziale: l’AI non si limita a cercare dati, li interpreta.

Dalla trasparenza all’equità: il costo cognitivo delle scelte

L’introduzione dell’AI nei processi decisionali dei consumatori può anche ridurre il cosiddetto costo cognitivo delle scelte, ossia lo sforzo richiesto per valutare alternative complesse. Nei mercati dove la qualità è difficile da percepire, come sanità, istruzione, finanza, l’AI può fungere da interfaccia di fiducia, traducendo la complessità in informazioni utili e comparabili. Ad esempio, un modello linguistico può evidenziare le differenze chiave tra due polizze assicurative o tra due preventivi di ristrutturazione, riducendo il rischio di scelte errate e rendendo più equilibrato il rapporto tra chi offre e chi acquista. Se l’asimmetria informativa favoriva la disonestà, l’AI può favorire la trasparenza, rendendo i mercati più efficienti e meno manipolabili. Il consumatore diventa un soggetto attivo, in grado di negoziare, verificare, contestare. La qualità dei servizi tende a migliorare, i prezzi a stabilizzarsi. C’è anche un effetto culturale: l’AI traduce il linguaggio tecnico e giuridico, eliminando una delle principali barriere cognitive. In questo modo, ciò che prima richiedeva competenze specialistiche diventa comprensibile e accessibile.

Il nuovo equilibrio tra consumatori e imprese

Le imprese, infatti, non restano a guardare. Oltre a sfruttare l’AI per il pricing dinamico, molte aziende integrano sistemi predittivi che analizzano i comportamenti dei consumatori, i pattern di abbandono o la propensione all’acquisto. In questo modo, personalizzano offerte e campagne di marketing in tempo reale, migliorando i margini ma anche creando nuove asimmetrie di potere informativo. Nei mercati B2B, i sistemi di analisi basati su AI vengono utilizzati per anticipare le mosse dei concorrenti, ottimizzare la supply chain e prevedere variazioni della domanda. In teoria, tutto ciò aumenta l’efficienza complessiva; in pratica, chi dispone di più dati o di infrastrutture computazionali più avanzate consolida la propria posizione di vantaggio. Ma l’equilibrio non è stabile. Le stesse tecnologie che oggi rafforzano i consumatori vengono adottate anche dalle imprese, che le usano per ottimizzare prezzi, strategie e messaggi. Nasce così una nuova forma di asimmetria algoritmica: non più legata alla quantità di informazioni, ma alla potenza computazionale e alla qualità dei modelli. Chi dispone di un modello proprietario più avanzato o di una base dati più ampia può tornare ad avere un vantaggio competitivo difficilmente colmabile.

L‘AI come leva di riequilibrio: condizioni e casi concreti

L’AI può essere un grande equalizzatore, ma solo se restano garantite tre condizioni:

  1. Accesso diffuso agli strumenti di analisi e di valutazione;
  2. Trasparenza dei sistemi di raccomandazione e di pricing;
  3. Competenze digitali diffuse, che permettano di usare consapevolmente l’AI.

Esempi concreti non mancano. Le piattaforme di confronto assicurativo che integrano modelli di linguaggio consentono ai clienti di identificare in pochi secondi le clausole più penalizzanti dei contratti. Applicazioni AI nei servizi bancari permettono di stimare la sostenibilità di un mutuo o il rendimento reale di un investimento, senza dover dipendere completamente dal consulente. In ambito sanitario, chatbot e sistemi diagnostici automatizzati aiutano i pazienti a comprendere preventivi e referti, riducendo il rischio di sovratrattamenti o di spese superflue. Senza queste basi e senza casi d’uso realmente aperti e verificabili, la promessa di un mercato più equo rischia di trasformarsi in una nuova concentrazione di potere informativo, non più nelle mani dei venditori, ma di chi controlla i modelli di intelligenza artificiale.

Dall’asimmetria informativa all’asimmetria algoritmica

L’intelligenza artificiale sta riscrivendo le regole dell’economia dell’informazione.
Può smascherare l’opacità, aiutare i consumatori e riequilibrare i rapporti di forza.
Ma può anche creare nuove disuguaglianze basate sull’accesso privilegiato alla potenza cognitiva dei modelli. Il vero punto di svolta non è più chi possiede l’informazione, ma chi possiede l’intelligenza che la interpreta. Come direbbe Akerlof, il problema non è l’informazione in sé, ma l’uso che se ne fa e la distribuzione del potere cognitivo che ne deriva. Il futuro dei mercati dipenderà da questo: dalla capacità di usare l’AI non per sostituire l’uomo, ma per democratizzare la conoscenza.


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