Strategie convergenti

FSE e telemedicina “cuore” della nuova sanità comunitaria: come farla davvero

Una nuova sanità proattiva, di comunità, collegata al sistema delle alte competenze medico-scientifiche non può che essere basata sul binomio Fascicolo Sanitario Elettronico-telemedicina e su una solida progettualità regionale e territoriale. Sfide, limiti, opportunità

Pubblicato il 20 Giu 2022

Mauro Moruzzi

Dipartimento Trasformazione Digitale-Presidenza del Consiglio dei Ministri, Scuola di Welfare Achille Ardigò

Connettivita ed healthcare analytics

Il rapporto Fascicolo Sanitario ElettronicoTelemedicina è una leva formidabile per una nuova sanità a base “comunitaria” come prevista dal recente Decreto ministeriale 71 recante “Modelli e standard per lo sviluppo dell’assistenza territoriale nel Servizio sanitario nazionale”.

Un binomio che abiliterebbe il necessario passaggio ad una nuova sanità proattiva, di comunità collegata al sistema (ospedaliero e universitario) delle alte competenze medico-scientifiche è, quindi, tutt’uno con quella dell’approdo a una sanità digitale consumer o meglio – come amava scrivere il grande sociologo Achille Ardigò – “lato cittadino-paziente-comunità”. Renderebbe inoltre il Sistema Sanitario Nazionale compatibile sotto il profilo delle risorse professionali ed economiche disponibili grazie al PNRR, dopo errori valutativi compiuti dalla programmazione sanitaria mai finora incentrata sul paziente.

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Il cambio di medium che cambia la sanità

Il cuore di questa nuova organizzazione non può che essere un FSE che mette a disposizione una sintesi intelligente e dinamica dei dati dell’assistito (storia clinica e Patient Summary) e una telemedicina a esso ancorata. Anzi, l’esperienza di tante e costose sperimentazioni ci porta ad affermare che senza questo FSE non può esserci un moderno sistema di telemedicina che arrivi fino alla casa dell’assistito come “primo luogo di cura”.

Il cambio di medium, l’introduzione a livello non sperimentale ma massivo di una tecnologia di seconda generazione per far comunicare pazienti, medici e operatori sanitari e sociali è dunque una sfida globale per rendere compatibili gli obiettivi del DM 71 con le dinamiche reali delle risorse economiche e umane del SSN ma anche una straordinaria opportunità per elevare la produttività del sistema assistenziale riformato.

La trasformazione digitale della Sanità in era pre-covid

Prima del covid19 e del PNRR, la trasformazione digitale della sanità italiana era un concetto interpretabile in diversa maniera dagli attori del sistema, dal mondo medico e da quello politico e manageriale. L’Agenda Digitale Italiana, pur prevedendo un “welfare verticale” e non ignorando l’eHealth, ha sempre avuto un focus debole sulla sanità. Il Fascicolo Sanitario Elettronico era considerato, di fatto, un’esperienza limitata ad alcuni contesti regionali. A Roma si è continuato a sviluppare il Progetto Mattoni costruito dal ministero della Sanità con dati amministrativi e contabili forniti dal MEF. Metà delle ASL italiane non avevano nemmeno attivato un progetto di Cartella Clinica Elettronica, solo il 20% ne aveva una e i medici continuavano a lamentarsi che i computer sottraevano tempo e attenzione ai pazienti.

Il dopo Covid ha provocato un vero cambio di paradigma. Nessuno oggi mette più in discussione la “trasformazione digitale della sanità”. Ma, come accade spesso in questi frangenti di grandi cambiamenti epocali, non sempre le strategie degli attori principali della governance sono convergenti. Si avverte ancora la presenza e il retaggio di vecchie culture assieme all’irrompere sulla scena dell’eHealth di nuovi e dinamici protagonisti. Ma andiamo per ordine.

In periodo COVID19 si è avvertita tutta l’inadeguatezza di un sistema tecnologico di comunicazione della sanità italiana strutturato principalmente su dati e flussi amministrativi, cioè su base economica, fiscale e anagrafica (Sistema della Tessera Sanitaria) e non sui dati di salute e malattia della persona e della comunità. In Italia si sa tutto sull’assistito, quante visite ed esami specialisti effettua, quante volte si reca dal medico di famiglia, al Cup e al pronto soccorso, quanti farmaci prende, quanto spende, fatta eccezione sul suo stato di salute.

La sanità italiana funestata da una cultura non patient centered

Il passaggio alla sanità digitale è stato così rallentato da una cultura pre-Internet per decenni dominante nel SSN. Una cultura non patient centered, tanto meno community centered o connected care. Si è creata con il tempo un’asimmetria preoccupante tra un web consumer – che vede i cittadini impossessarsi di Internet nella vita quotidiana – e un SSN anchilosato ai vecchi paradigmi comunicativi.

Negli ambienti della Governance più attenti all’innovazioni si è presa coscienza che questa asimmetria poteva essere superata soltanto con un pieno decollo delle principali innovazioni già messe in atto nei territori e soprattutto in alcune realtà regionali come l’Emilia-Romagna, la Lombardia e parzialmente anche in Puglia e in Piemonte e nelle regioni dell’arco alpino. Un nuovo welfare sanitario territoriale, indirizzato verso la comunità, sarebbe stato impossibile senza il decollo del FSE, della Telemedicina, delle nuove Piattaforme Tecnologiche e una gestione dei Big Data.

L’FSE è stato il protagonista del drammatico periodo Covid, ma anche la domanda di telemedicina ha preso corpo durante il lockdown assieme alle altre forme di comunicazione a distanza come la DAD e la FAD. L’utilizzo diffuso di dati e informazioni elettroniche per la salute ha aumentato l’interesse collettivo verso l’intelligenza artificiale e il machine learning, in funzione di una cultura data-driven nella cura del paziente, della prevenzione comunitaria e del governo dei sistemi organizzativi complessi della sanità. Nei poli territoriali maturi e poi in tutto il paese è cresciuta la “domanda di futuro” riferita alla salute della comunità, ma anche di percorsi ad alta personalizzazione per la cura e di nuove modalità di accesso ai servizi.

Si è compreso, in sostanza, che queste innovazioni eHealth cresciute nell’ultimo decennio nei territori delle regioni sono le “basi di lancio” della trasformazione digitale della sanità italiana.

Il passaggio a una nuova sanità proattiva

Una sanità “proattiva” e non “di attesa” è economicamente e organizzativamente sostenibile soltanto con le tecnologie di ultima generazione Internet, certificate, standardizzate e interoperabili, ma soprattutto progettate “lato assistito“ e “lato medico”. Esse aiutano i cittadini a diventare manager del proprio corpo e della propria vita sana; aiutano l’organizzazione sanitaria a scoprire che i pazienti non sono tutti uguali. Aiutano infine la sanità del territorio, di comunità, a collegarsi ai centri clinici di eccellenza e a colmare la frattura tra medicina di base e medicina ad alta intensità di cura.

Una sanità proattiva ha inoltre bisogno di tanti dati dematerializzati che devono fotografare dinamicamente l’andamento della salute di ogni cittadino a partire da quelli affetti da patologie croniche. Deve essere quindi data-driven. Soltanto l’FSE, così come è stato ideato e progettato nelle più evolute esperienze regionali dalla collaborazione tra attori pubblici e di mercato, può fornire in tempo reale questa massa di dati. Il Fascicolo è il cuore – con “sangue arterioso” (dati clinici) che si aggiunge al vecchio “sangue venoso” (dati amministrativi) – del nuovo medium digitale della sanità.

L’FSE al centro della progettualità del PNRR

La progettualità PNRR ha messo giustamente l’FSE al centro della trasformazione digitale della sanità anche se non mancano critiche e limiti all’esperienza compiuta dalle Regioni, per altro richiamati nella stessa presentazione delle nuove Linee Guida. Perché le resistenze e i ritardi nell’attuazione del Fascicolo hanno soprattutto origine nella vecchia cultura digitale di governo del SSN. Se si considera la sanità digitale come il prodotto di una somma di applicativi dipartimentali in grado di generare gerarchicamente “sistemi informativi aziendali” senza una chiara distinzione tra dati amministrativi e dati clinici di salute del cittadino, allora è chiaro che non c’è spazio e futuro per l’FSE.

Un distretto sanitario con gli standard previsti dal DM 71

Osserviamo un distretto sanitario con gli standard previsti dal DM 71. Un Distretto di circa 100 mila abitanti avrà almeno una “Casa della Comunità Hub” ogni 40.000-50.000 abitanti; “Case di Comunità Spoke” con ambulatori di MMG e PLS; almeno un Infermiere di Famiglia e Comunità ogni 3.000 abitanti; almeno una Unità Speciale di Continuità Assistenziale (1 medico e 1 infermiere); una Centrale Operativa Territoriale a valenza distrettuale; almeno un Ospedale di Comunità dotato di 20 posti letto ogni 100.000 abitanti. Ci saranno l’Unità di Continuità Assistenziale (l’équipe mobile distrettuale per la gestione di situazioni clinico-assistenziali di particolare complessità), l’Assistenza Domiciliare come servizio a valenza distrettuale; l’Unità di Cure Palliative Domiciliari, il Consultorio Familiare, e altro ancora, tra cui il servizio farmaceutico.

Chi integra questa straordinaria e necessaria complessità? Soltanto il Fascicolo Sanitario Elettronico (ben presto, socio-sanitario) può svolgere la duplice funzione di aggregatore intelligente di dati individuali di salute e di My Page semplificata per l’accesso ai servizi.

Che poi i dati anonimizzati o “atomizzati” di tutti i fascicoli confluiscano nei repository della governance locale (non solo aziendale!), regionale e nazionale, è un fatto già previsto dalle Linee Guida e indispensabile per la gestione data-driven di tutto il sistema socio-sanitario.

Una visione paziente-centrica (non aziendalista) della sanità elettronica

La vecchia cultura informatica non è in grado di offrire soluzione al governo di questa complessità centrata sul paziente e la comunità locale. È noto che questa cultura ha una visione aziendalista della sanità elettronica. Parte, infatti, dall’idea che la messa in rete dei diversi applicativi a livello aziendale (ASL) possa “fare sistema” sui tre versanti amministrativo (ERP), clinico (CCE) e territoriale (Cartella territoriale socio-sanitaria) e che le forme di maggiori aggregazioni dei dati altro non fossero che aggregazioni di sistemi aziendali. Al centro di questo impianto culturale non c’è il cittadino-assistito-paziente ma l’amministrazione aziendale, i suoi processi e il controllo economico-manageriale.

Per decenni anche i centri di formazione accademica hanno insegnato la cultura pre-Internet dei “sistemi informativi” e non quella paziente-centrica dell’eHealth, dei CUP e dell’FSE, e molti continuano a farlo. Gli sviluppi più recenti di questa “cultura informatica” vanno nella direzione dei sistemi informativi clinico-ospedalieri fortemente integrati (di matrice statunitense), con software in grado di ricostruire virtualmente l’intero percorso clinico. Anche la telemedicina è qui vista come forma di estensione nel territorio della potenza tecnologica della intensità di cura ospedaliera. Il sistema assistenziale americano, a base assicurativa, assai diverso da quello europeo, offre un retroterra più favorevole a questo impianto strutturato. Come noto, infatti, anche le soluzioni “consumer”, privatamente proposte dai grandi provider del web come Google, Microsoft e Apple, non hanno avuto un terreno fertile negli Stati Uniti a differenze delle altre forme di eCommerce, comprese quelle rivolte al mondo fitness.

Non bisogna dimenticare che la formazione della classe manageriale del SSN è avvenuta, per decenni, nell’alveo della “cultura dei sistemi informativi”. Alcune regioni italiane non hanno sviluppato l’FSE – un progetto ormai tecnologicamente maturo e normato a partire dal 2013-15 – non per carenza di tecnologia e know how ma per resistenze culturali.

Verso la convergenza di due impianti culturali

La progettualità PNRR, nei suoi più recenti sviluppi, ha cercato di trovare una soluzione realistica di ricongiungimento dei due impianti culturali presenti nella sanità italiana, promuovendo una forma integrata tra fascicolo sanitario elettronico (FSE 2.0), sistema della telemedicina e nuova organizzazione sanitaria del DM 71. Il PNRR stesso ha in nuce questa “mediazione culturale”: la Missione 6 getta le basi delle ‘Reti di prossimità e delle strutture di telemedicina per l’assistenza sanitaria territoriale (C1); ma anche di una digitalizzazione del servizio sanitario nazionale basato su FSE (C2) e servizi a favore del paziente.

Le Linee Guida proposte delineano un percorso di circa cinque anni che ha l’obiettivo di far utilizzare il Fascicolo a oltre sessanta milioni di italiani, a tutti i medici e agli operatori del sistema sanitario pubblico e delle strutture accreditate, private, a ogni professionista della sanità. Prevedono una gigantesca azione di standardizzazione, di omogenizzazione e di nuova implementazione del FSE in un arco di tempo estremamente limitato. L’FSE deve semplificare e uniformare l’accesso e l’uso dei servizi del SSN per cittadini e operatori sanitari; integrare e condividere dati clinici tra professionisti e strutture sanitarie; supportare una sempre maggiore qualità e personalizzazione delle cure; rendere possibile un’analisi dei dati a supporto dell’azione di governo del SSN e della ricerca scientifica. C’è in sostanza tutto.

La Piattaforma Nazionale di Telemedicina

Il secondo pilastro è il potenziamento e l’adeguamento dei percorsi di telemedicina per facilitare la presa in carico, acuta e cronica, da parte delle cure territoriali e migliorare la qualità delle cure di prossimità. Per raggiungere questo obiettivo è stata concepita una piattaforma abilitante nazionale (Piattaforma Nazionale di Telemedicina – PNT) che ha la funzione di governo e validazione delle soluzioni – e non più di sussidiarietà rispetto ai sistemi locali – e di verifica e applicazione delle regole comuni di processo (workflow clinico), delle codifiche e degli standard terminologici, di valutazione degli outcomes. La piattaforma abilitante di telemedicina sarà connessa con i verticali di telemedicina regionali, ma non vi è dubbio che la telemedicina in Italia potrà uscire dal lungo cammino sperimentale solo con il pieno decollo delle esperienze locali, dei territori, delle regioni basandosi sull’FSE. Come per il Fascicolo, non è pensabile che le difficoltà finora incontrate nelle regioni possono essere risolte magicamente da un’azione centrale. Semmai è importante il coordinamento tra le esperienze territoriali, tra gli attori pubblici, privati di mercato e le società in House delle Regioni.

Due sistemi integrati, non sovrapposti

I due sistemi dovranno essere integrati e non sovrapposti. Il sistema FSE raccoglierà tramite il gateway i documenti e i dati degli eventi prodotti dai soggetti erogatori (aziende e cliniche sanitarie), mantenendo la struttura federata degli Indici (Registry) per la gestione documentale e introducendo la gestione di dati ed eventi tramite l’Ecosistema Dati Sanitari (EDS), che offrirà sia componenti di memorizzazione (Data Repository) che un layer di servizi per l’accesso al dato.

Le Piattaforme regionali di telemedicina utilizzeranno l’FSE al pari delle strutture sanitarie locali. Il Modello per l’assistenza domiciliare (le Linee Guida organizzative sono state pubblicate in Gazzetta Ufficiale il 29 aprile 2022) fornisce tutte le indicazioni per realizzare i servizi di telemedicina e si inserisce nel contesto degli interventi volti al potenziamento dell’assistenza territoriale.

Conclusioni

Tra gli effetti determinati dall’emergenza pandemica del Covid-19 c’è stata una forte accelerazione dei processi innovativi legati a una straordinaria disponibilità di risorse. È abbastanza naturale che questi fenomeni spingano verso la centralizzazione delle soluzioni e delle infrastrutture, soprattutto di sanità digitale, nel tentativo di abbreviare i tempi e di garantire governance efficaci.

Il nuovo repository clinico del Fascicolo Sanitario Elettronico, la Piattaforma nazionale di Telemedicina, l’EDS, l’Anagrafe centrale Assistiti creano un sistema di strutture e archivi centrali diverso da quello del primo FSE, delle esperienze di TMD e anche della Tessera Sanitaria.

Ma tutto questo sarà un valore aggiunto solo se poggerà sui pilastri di una solida progettualità regionale e territoriale, anch’essa dotata di strutture interoperabili ma soprattutto collegate ai cittadini e alle comunità locali nella loro straordinaria vitalità.

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