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Il Sistema sanitario verso la cartella clinica virtuale: cos’è e come farla

Ogni seria analisi sul futuro del servizio sanitario nazionale non può prescindere dalla necessità che si diffonda una cultura data-centric, basata sul dato dematerializzato. Ecco cosa serve per fare il salto verso la cartella clinica virtuale, che superi non solo quella cartacea ma anche quella digitale

Pubblicato il 25 Ott 2018

Mauro Moruzzi

Dipartimento Trasformazione Digitale-Presidenza del Consiglio dei Ministri, Scuola di Welfare Achille Ardigò

agenda

Tutti gli ospedali italiani e le Asl, hanno oggi il problema impellente di completare il processo di dematerializzazione della sanità – lungo l’asse Ricetta-Referto Elettronico/FSE/Dossier Sanitario/Workflow di continuità assistenziale – con un efficace ed efficiente aggregato intelligente di bit per la cura e la prevenzione delle malattie del paziente.

Una cartella clinica digitale che non può essere una ripetizione dei vecchi strumenti di sanità elettronica messi a punto negli anni 80 e 90 del ‘900. ‘Cartelle’ che, di fatto, riproducono in formato elettronico i documenti della burocrazia medica e amministrativa. Formati di generazione ‘Excel’ nei casi migliori. Inaccessibili allo sguardo del paziente, ma, cosa ben peggiore, complicati e ben poco attrattivi per i medici che finiscono per pronunciare la solita frase: “Ci fate perdere più tempo con il computer rispetto a quello che possiamo dedicare ai nostri pazienti”.

Non tutte le cartelle cliniche elettroniche sono uguali

Ovviamente non tutte le cartelle cliniche elettroniche sono uguali. Quelle di ultima generazione presentano una grafica e un livello di interoperabilità non confrontabili con i vecchi software medici. L’esperienza che è stata fatta all’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano negli ultimi due anni di implementazione della CCE – una delle più avanzate nella sanità pubblica nazionale – ha permesso di fornire ai medici oncologi un software totalmente interoperabile sia con gli applicativi di reparto o settoriali – come la farmaceutica – sia con i repository che interfacciano FSE, Dossier Sanitario e Presa in Carico del paziente (per i pazienti cronici nel ‘modello lombardo’) e presto la customer long term relationship dell’assistito.

Nonostante ciò, e avendo seguito direttamente l’esperienza dell’INT, ci si rende conto che culturalmente questi strumenti, pur di ottima qualità tecno-organizzativa e oggi senz’altro innovativi nello scenario nazionale, non superano il confine culturale della vecchia ‘sanità elettronica’ che porta al pieno utilizzo della massa di informazioni dematerializzate in funzione del paziente.

Cosa manca per una vera cultura data-centric

Quello che manca è ancora il passaggio da un digitale tradizionale, che ha come finalità il controllo dei dati (in una prospettiva di Businness Intelligence, sempre difficile da raggiungere per la governance amministrativa, aziendale e clinica per il paziente), ad una cultura Data-Centric, basata sul dato dematerializzato.

Per comprendere questo concetto occorre aver ben chiaro il passaggio dall’economia materiale del novecento a quella digitale di oggi. Esso è semplicemente avvenuto separando il mondo dei bit da quello degli atomi. Il progetto, in byte (informazioni dematerializzate), si fa a Torino o in California, l’oggetto in Romania o in Cina. La Sanità vive questa epocale separazione – come tutti i servizi di welfare – ma non può facilmente delocalizzare i corpi dei pazienti (anche se qualche pullman pieno di pazienti odontoiatrici è già partito per la vicina Croazia dove istallano a basso prezzo protesi dentarie).

Anche la cultura digitale Open appare sotto questo aspetto insufficiente, in quanto costituisce solo un aspetto primordiale, sia pur importante, del passaggio all’era Data-Centric (e non casualmente si è afflosciata la strategia Open Government su cui tanto ha scommesso la Comunità Europea con la famosa Carta di Lisbona).

Tecnologie digitali di immersione

Una cultura digitale da Open a Data-Centric, porta, anche nel welfare e nella sanità, la costruzione del prodotto assistenziale in bit come fase iniziale di ogni materializzazione della cura (e anche della prevenzione). Questo processo, inevitabilmente ormai alle porte, richiede tecnologie digitali di immersione (ovviamente nei bit!) e il passaggio dalla digitalizzazione ‘generale’ alla risoluzione dei problemi a livelli settoriale e individuale con le tecniche virtuali, come hanno osservato correttamente i relatori di Gartner durante il recente Innovation Lab di Santa Severa.

La tecnologia di immersione porta poi a ‘prodotti’ che hanno un corredo informativo di dati incrementale, lungo la traiettoria del media: cartaceo – dematerializzato – virtualizzato. Passando poi dalla realtà virtuale a quella ‘aumentata’ e ‘mixellata’ (un mix tra virtuale e reale, o anche tra virtuale e digitale inteso come primo stadio della dematerializzazione).

Un nucleo di dati ristretto garantisce – è ancora Gartner ad esporre questo concetto – la trasmissione dell’innovazione attraverso i processi, come una specie di codice genetico.

L’uso del dato dematerializzato in sanità

Anche l’utilizzo del dato dematerializzato cambia in sanità (come per altro ovunque): da un uso burocratico (cultura del controllo) si è già passati, con FSE e Dossier, ad un uso funzionale (l’Electonic Medical Record per curare il paziente).

Nella nuova fase si aggiunge l’uso ‘predittivo’: non mi accontento di curare le malattie che hai, voglio curare-prevenire quelle che avrai per ragioni genetiche e ambientali (e perfino sociali).

In questo processo ulteriore i dati raccolti in formato digitale (cioè in bit, ma già si raccolgono dati in quanti e in altri formati) non saranno più soltanto quelli generati dal sistema medico-sanitario, ma anche i dati auto-prodotti dal paziente, che registrano real time lo stato soggettivo di salute dell’assistito (a partire dalla soddisfazione per le cure ricevute e dal dolore percepito).

Le CCE più evolute già raccolgono questi dati soggettivi che costituiscono una parte essenziale delle nuove ricerche medico-scientifiche.

La cartella clinica virtuale

L’insieme di questi processi porta in sanità ad una Cartella Clinica Virtuale e non più soltanto digitale (e in prospettiva a un FSE virtualizzato), utilizzando tecnologie virtuali, di realtà aumentata e mixellata, che abbandonano definitivamente non solo il documento cartaceo, ma anche quello digitale tradizionale.

Voglio qui ricordare che già nel 2005 Cup 2000 aveva implementato un Cup nel social Second Life che prenotava regolarmente visite ed esami per il sistema sanitario bolognese. I pazienti si registravano con credenziali reali come avatar. Il sistema non ebbe sviluppi significativi per la crisi di Second Life e per le difficoltà insormontabili che gli sperimentatori della in-house bolognese incontrarono a far accettare questo livello di innovazione alle aziende sanitarie e alla Regione. Si preferì concentrare gli sforzi sul nascente FSE, anch’esso accolto con grande sospetto in un mondo politico-amministrativo molto autoreferenziale.

La cartella clinica elettronica ‘tridimensionale’, a ‘realtà aumentata’, virtuale e non soltanto digitale, è l’ologramma del corpo umano. È fatta di dati, come la CCE di oggi, ma sfrutta – come hanno spiegato i tecnici di Cineca presenti anch’essi a Santa Severa – l’enorme potenza di calcolo dei moderni PC e calcolatori. L’obbiettivo non è soltanto ‘grafico’, ma quello di superare definitivamente ogni residuo di burocrazia elettronica, costruendo una autentica rappresentazione virtuale del singolo corpo umano e non solo di un corpo umano. Generando skill in modalità Human Factor che rendono possibile la condivisioni dei dati dinamici di salute tra paziente e medico.

Sono passati circa diciotto anni da quando cominciammo a pensare (e, pochi anni dopo, a progettare) il Fascicolo a Sanitario Elettronico Italiano. I primi dieci di questi diciotto anni sono stati impiegati per impedire che le resistenze burocratiche, ampiamente consolidate nella sanità pubblica italiana, soffocassero l’innovazione sul nascere. Oggi, ogni seria analisi sul futuro del servizio sanitario pubblico nazionale non può prescindere dalla diffusione dell’FSE. È quindi legittimo continuare a sognare.

Di questo si è parlato una mattina ventosa di un giovedì di settembre al magnifico Castello di Santa Severa, a nord di Roma, sulla costa laziale nell’ambito di un Innovation Lab Assinter Academy sulla realtà virtuale. L’obiettivo era di condividere l’innovazione virtuale applicata ai vari campi dell’eWelfare: la Sanità (eHealth), i servizi sociali (eCare), la dematerializzazione dei percorsi culturali. A Santa Severa – dove LazioCrea ha attivato un laboratorio sulla virtualizzazione – le introduzioni ai lavori, assegnate a esperti di Gartner e di Cineca, hanno aperto però, come abbiamo visto, ben più vasti scenari.

Alcune aziende in-house e di mercato, le più dinamiche, sognano. Qualche loro manager era presente al Castello di Santa Severa. Sarà in grado di sognare anche la nuova governance nazionale del servizio sanitario italiano? C’è molta attesa tra cittadini e operatori, ma anche, per ora, troppi silenzi.

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