innovazione e normativa

L’evoluzione digitale della farmacovigilanza: potenzialità e incertezze normative

Il futuro della farmacovigilanza va verso il monitoraggio dei farmaci non solo dal punto di vista della sicurezza, ma anche dell’efficacia. Il supporto digitale richiesto sarà notevole, in particolare per l’analisi e la processazione dell’incredibile mole di dati raccolti nel mondo reale. Sfide e opportunità dell’evoluzione

Pubblicato il 03 Giu 2021

Monica Torriani

Editor, Consulente scientifico, Wellness4good founder

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La farmacovigilanza ha affrontato un significativo percorso di crescita e sviluppo negli ultimi 15 anni, che l’ha trasformata da semplice funzione afferente alla regulatory compliance ad attività integrata e proattiva.

L’ascesa di nuove discipline, una fra tutte il risk management, e la crescente acquisizione di valore nell’ambito dei processi regolatori hanno giocato un ruolo apprezzabile, ma il vero impulso per compiere il salto è stato impresso dalla digitalizzazione. È stata l’evoluzione tecnologica a permettere l’implementazione di sistemi come EudraVigilance, il database europeo per la farmacovigilanza, che hanno potenziato il flusso di informazioni sulla sicurezza dei farmaci.

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Oggi, tuttavia, nuovi fattori complicano l’environment farmaceutico. L’irruzione delle ATMP, statisticamente poco equipaggiate e pertanto molto dibattute sotto il profilo della safety, a fronte di uno straordinario valore terapeutico aggiunto rispetto ai trattamenti tradizionali, mette alla prova gli strumenti oggi disponibili e stimola il dibattito sul futuro.

Mentre fioccano le riflessioni sul gap fra innovazione scientifica e capacità normativa, appare chiaro che la strada della hyper-regulation non è un’opzione, poiché, rallentando l’accesso alle cure, confligge con lo stesso scopo per cui la regolamentazione è prevista.

Le direttrici di sviluppo

Va da sé che, nell’impossibilità di aumentare ulteriormente la già impattante complessità normativa, dovranno essere rafforzate le attività di monitoraggio. Un aspetto rimarcato nel manifesto della Farmacovigilanza 2030 vergato dall’ex Direttore Esecutivo dell’Agenzia Europea dei Medicinali Guido Rasi con Sabine Straus, Chair del PRAC (il comitato rischi di EMA) e Peter Arlett, Responsabile della task force Data Analytics and Methods della stessa agenzia.

Le principali conclusioni della pubblicazione del trio di super esperti si muove sull’accidentato crinale che separa tradizione e innovazione, presente e futuro, auspicando un’evoluzione controllata. La digitalizzazione non deve essere fine a se stessa e assecondare, in maniera più o meno inconsapevole, un trend generale e generazionale, ma farsi strumento per affrontare quella che rimane la vera sfida della farmacovigilanza: influenzare i comportamenti di pazienti e operatori sanitari sulla base di prove scientifiche robuste in termini di performance di sicurezza ed efficacia e di un decision making strutturato.

Se da un lato cresce a dismisura la mole di lavoro da smaltire, dall’altro occorre fare i conti con lo scarso numero di persone sufficientemente preparate per accedere a questo tipo di innovazione ed implementarla nelle attività di sorveglianza del farmaco. Per ridurre questo divario, sarà necessario predisporre interventi finalizzati alla modifica delle strutture aziendali, all’adattamento dei ruoli e all’elaborazione di una nuova visione organizzativa. Oltre, naturalmente, a provvedere ad un’integrazione più sostanziale fra regolatorio e farmacovigilanza e ad una revisione delle piattaforme di monitoraggio e della tecnologia a supporto.

Un ulteriore aspetto critico riguarda i costi, relativamente elevati per lo svolgimento delle attività di farmacovigilanza. Negli ultimi anni la pressione determinata dall’aumento delle complessità regolatorie e, parallelamente, dei costi da sostenere per le aziende, ha portato alla nascita di progetti interni finalizzati alla riorganizzazione e all’ottimizzazione delle attività di farmacovigilanza. Per ottenere vantaggi economici, sarà necessario ottimizzare l’evoluzione digitale in funzione delle richieste specifiche dei singoli contesti.

Il case processing

Su questo punto non sembrano esserci dubbi: l’attività di raccolta e processazione delle segnalazioni spontanee, la principale risorsa per la farmacovigilanza, dovrà essere ancora più automatizzata e adattata per essere in grado di accogliere nuove fonti di segnali. Per garantire il raggiungimento di nuovi obiettivi, sarà necessario lo sviluppo di strumenti aggiuntivi, nonché competenze addizionali, di data science.

Sono molti gli aspetti per i quali il case processing sembra rappresentare l’ambito più impegnativo per assorbimento di risorse. Secondo una survey realizzata da Deloitte nel 2018, il 90% delle aziende ritiene la riduzione dei costi legati al case processing l’obiettivo primario nella riorganizzazione della farmacovigilanza.

In generale, una percentuale variabile fra il 40 e l’85% del budget complessivo destinato alla farmacovigilanza viene speso per la raccolta e la processazione delle segnalazioni. Non solo: il volume dei dati da analizzare cresce del 10-15% ogni anno, costringendo i piccoli player a ricorrere all’outsourcing e rendendo molto complicata la compliance agli adempimenti.

In questo panorama, sempre in accordo allo studio Deloitte, le aziende confidano che l’adozione di sistemi automatizzati e di soluzioni dedicate per la gestione del case processing possa fare loro risparmiare il 30% della spesa complessiva.

Le fonti dei segnali

La maggior parte delle aziende farmaceutiche continua ad utilizzare i sistemi tradizionali per la rilevazione del segnale, come la segnalazione spontanea, la ricerca clinica e il data mining degli archivi sanitari. Poche stanno sfruttando la real world evidence e ancora meno numerose sono quelle che si avventurano nell’ascolto dei social media e nell’estrazione di dati da wearables e app mediche. Un’opportunità che richiederebbe più dibattiti e riflessioni, in particolare sulla possibilità di investire nella direzione della segnalazione predittiva.

La normativa che regola la vigilanza, in particolare le Good Pharmacovigilance Practice IV, prevede l’ascolto dei social media e di internet, più in generale, per l’acquisizione di informazioni sulle reazioni avverse ai farmaci. Nelle GVP VI il legislatore specifica che il detentore dell’autorizzazione all’immissione in commercio è tenuto ad effettuare una ricognizione del web e dei social media per individuare potenziali report di sospette reazioni avverse, che la legge considera a tutti gli effetti come segnalazioni spontanee.

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Il valore dei social media per identificare reazioni avverse

Nel 2019 sono stati pubblicati i risultati di uno studio parte del progetto WEB-RADR nell’ambito dell’iniziativa IMI (Innovative Medicine Initiative), promossa dall’UE, sul valore dei social media a supporto dell’identificazione di potenziali reazioni avverse e nella rilevazione del segnale in farmacovigilanza.

Il consorzio WEB-RADR ha elaborato considerazioni sulla qualità, gli aspetti etici e di privacy dell’acquisizione di informazioni sulla sicurezza dei medicinali generate dal pubblico attraverso le piattaforme dei social network e dei forum pazienti. Applicando algoritmi specifici per l’analisi di questi canali di comunicazione, ha cercato di attribuire il corretto valore ai dati estratti in termini di utilità per la farmacovigilanza, dal punto di vista di record linkage, identificazione di eventi avversi e signal detection.

Lo studio ha portato alla messa a punto di una serie di raccomandazioni nell’uso del web per le attività di sorveglianza della sicurezza dei medicinali.

La più importante sembra essere quella di focalizzare l’obiettivo, evitando ricerche aspecifiche, che, a fronte di un aumento dei costi correlati, non offrono risultati apprezzabili: sebbene alcuni post pubblicati dai pazienti nei social media includano dettagli significativi, la maggior parte di essi veicola informazioni di scarsa utilità ai fini della farmacovigilanza.

Meglio orientare lo sforzo predisponendo l’ascolto degli ambiti più verosimilmente associati a dati significativi, che sembrano essere quelli relativi ai farmaci ad alto impatto sulla qualità di vita dei pazienti. È consigliata l’applicazione di un algoritmo per la selezione preventiva delle queries che hanno più possibilità di condurre a risultati significativi in termini di ricerca, per evitare costi inutili.

Aspetti come l’insonnia, l’ansia e, in generale, la patologia psichiatrica ed i farmaci attivi sul sistema nervoso centrale, le molecole più soggette a fenomeni d’abuso e l’utilizzo dei medicinali in gravidanza rappresentano i temi meglio trattati dai pazienti nei social media.

Per contro, la possibilità di intercettare dati interessanti su potenziali reazioni avverse a farmaci orfani o di tipo oncologico è maggiore nei forum dei pazienti.

L’utilizzo secondario del Fascicolo Sanitario Elettronico per estrapolare dati sulla sicurezza dei farmaci appare come un ulteriore, efficiente sistema per la rilevazione del segnale, con un buon potenziale di aumento del numero e della qualità della segnalazione spontanea. In particolare, il dossier farmaceutico, parte del nucleo minimo di dati che il legislatore impone siano presenti nel FSE in ottemperanza al Decreto del Presidente del Consiglio n. 178 del 29 settembre 2015, è caratterizzato da finalità relative alla qualità, al monitoraggio, all’appropriatezza nella dispensazione dei medicinali e all’aderenza alla terapia ai fini della sicurezza del paziente.

Real world data, real time decision making

L’evoluzione della farmacovigilanza da mera funzione di compliance ad attività proattiva e articolata è ormai alle spalle. Guardando al futuro, la proiezione è verso il monitoraggio dei farmaci durante la loro permanenza nel mercato non solo dal punto di vista della sicurezza, ma anche per quanto riguarda l’efficacia.

Questo passaggio, su cui si concentra la pubblicazione di Rasi-Straus-Arlett, rappresenta il vero salto di qualità di questa disciplina, quello per il quale dovranno essere messe a disposizione più risorse strategiche. Nello specifico, il supporto digitale richiesto potrebbe essere notevole, in particolare per l’analisi e la processazione dell’incredibile mole di dati raccolti nel mondo reale.

Le informazioni recuperate da questa attività potrebbero, in maniera circolare, essere poi sfruttate per orientare più efficacemente il processo di drug discovery.

Rientrano in questo quadro iniziative come Sentinel di FDA negli Stati Uniti e il network OHDSI (Observational Health Data Sciences and Informatics).

Potenziare l’engagement di pazienti e operatori sanitari

La necessaria espansione del coinvolgimento di tutti gli stakeholder in Sanità, dai professionisti ai pazienti, rivoluzionarie new entry in questa categoria, estenderà l’impatto, anche sociale, della farmacovigilanza.

L’aumento dei livelli di digitalizzazione sembra essere favorito anche dalla sempre maggiore propensione dei pazienti all’utilizzo di strumenti tecnologici secondo un approccio responsabile, un aspetto imprescindibile quando il tema all’ordine del giorno è la salute. Ormai accettata, anche se obtorto collo, la sorprendente credibilità attribuita dal pubblico a Dr Google e dato per scontato l’utilizzo consapevole di social media e applicazioni web, le direzioni da percorrere sono quelle dell’intelligenza artificiale e del machine learning.

Le stime di McKinsey attribuiscono all’introduzione piena del big data management e del machine learning nell’industria farmaceutica un potenziale di 100 miliardi di dollari all’anno di aumento di valore. Una cifra giustificata da indubbi vantaggi: dal miglioramento del decision making, all’ottimizzazione degli interventi di innovazione, alla maggior efficienza delle attività di ricerca e sviluppo clinico dei farmaci, fino alla creazione di nuovi strumenti per gli operatori sanitari, i pazienti ed i regolatori e il loro aggiornamento real time.

La strutturazione di una Global Drug Safety Data Bank (GDSDB) centralizzata accessibile da regolatori, operatori sanitari e pazienti potrebbe amplificare ulteriormente il coinvolgimento generale limitando i costi associati e, mediante la piena realizzazione delle potenzialità dei big data, focalizzare gli sforzi verso l’ottimizzazione della rilevazione e della gestione del segnale.

In un framework nel quale la centralità del paziente ha acquisito il ruolo, legittimo, di nuova direttrice di sviluppo, l’engagement di questa figura non può permettersi discontinuità: per questa ragione, sarà necessario investire nella formazione di pazienti capaci non solo di utilizzare correttamente i supporti tecnologici, ma anche di comprendere l’anima della farmacovigilanza, il suo ruolo sociale e l’importanza di parteciparvi.

La crescente complessità delle cure, sempre più avanzate, e l’ampliamento della platea di soggetti coinvolti richiederà l’implementazione di piattaforme sempre più sofisticate, dotate di capacità analitiche superiori.

Il fattore governance

Il Gruppo di Lavoro Ernesto Montagna di SIMeF (Società Italiana di Medicina Farmaceutica) ha condotto una survey allo scopo di migliorare la comprensione del ruolo della farmacovigilanza nelle attività digitali. Su questo punto, nel panorama italiano sono presenti ancora molte incertezze.

Le aree grigie riguardano in particolare gli strumenti di governance e le linee guida da seguire per implementare le iniziative digitali: il rapidissimo sviluppo tecnologico non è stato seguito da una altrettanto veloce codifica di indicazioni specifiche da parte delle autorità competenti.

Le aziende sono globalmente molto attive sui loro canali web istituzionali e su social come LinkedIn, oltre che per quanto riguarda attività specifiche su app mediche, portali per la salute e nell’ascolto dei social media. Inoltre, attribuiscono vasto consenso al coinvolgimento della farmacovigilanza nei canali digitali, anche come fonti di dati. Ma più del 40% delle aziende impegnate nel settore farmaceutico non dispone di procedure di farmacovigilanza focalizzate su canali digitali o di sistemi di governance per il monitoraggio di questi canali e meno del 70% ha équipe dedicate a queste attività.

I numeri che sono emersi dallo studio indicano dunque la necessità di cooperazione fra le associazioni scientifiche e quelle di categoria, come Farmindustria, al fine di formalizzare linee guida strutturate che rappresentino un riferimento per le aziende di settore e costituiscano un tema di scambio con il regolatore per la formulazione delle future normative.

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